The Ecclestons
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The Ecclestons – Release The Hounds

Che i levrieri siano liberi!

La band canadese giunge, a otto anni dall’esordio, all’album della maturità. Una precisa scelta artistica annunziata sin dal titolo del disco…

Intervista di Alfredo De Pietra

Cambiati, lo sono per davvero, gli Ecclestons (http://www.theecclestons.com/). I lettori del nostro mensile li ricorderanno, un paio di anni fa, come una delle band specializzate nella riproposizione di materiale originale di origine irlandese. Bene, come Greg Madill (“fratello acquisito” degli altri due Ecclestons, Kelt e Colleen) ci confidò qualche mese fa durante una sua lunga vacanza in Italia: “Il fatto è che non si ha idea dell’incredibile numero di gruppi che in Canada si dedicano a un semplice, pedissequo folk revival…Ci siamo chiesti se valesse la pena continuare su questa strada, che a un certo punto ci sembrava anche priva di sbocchi, o se invece non fosse il caso di percorrere nuovi percorsi artistici…

I tre musicisti si sono quindi messi d’impegno: niente brani tradizionali, ma solo originali; l’ingresso di un buon numero di musicisti ospiti; l’apertura verso strumenti più consoni ad altri generi musicali, e infine una produzione discografica di alto livello. Il risultato sono le tredici track dell’ottimo Release The Hounds, disco che si ascolta d’un fiato e con piacere e che mostra che, trascorsi gli anni di una lunga gavetta, gli Ecclestons sono riusciti a raggiungere una propria dimensione artistica. Non un disco per “puristi”, intendiamoci bene, ma il prodotto ben riuscito di una giusta aspirazione ad affermare la propria identità di musicisti certo di derivazione tradizionale, ma tuttavia aperti alle tematiche e alle sonorità dei tempi in cui viviamo.

L’energia e il drive dei dischi precedenti, con tutto ciò, rimangono una costante anche di Release The Hounds, che presentiamo sul nostro sampler mensile con due brani, “Me And My Haggis” e “Big Big World”.

Greg Madill è stato prodigo di spiegazioni sul significato di una scelta artistica improntata alla variazione.

Si ha la sensazione che la chiave per comprendere il cambiamento della vostra musica in questo ultimo vostro album sia già nel titolo del CD…

“Esatto. Sin dall’inizio della nostra attività la figura dei tre cani che si rincorrono in circolo – un’immagine tratta dal libro di Kells, in Irlanda – è stato il nostro simbolo, presente sui CD e sul nostro materiale promozionale. Così, Release The Hounds, ovvero “liberate i levrieri” diventa per noi una metafora: il cerchio viene interrotto, e i levrieri che abbiamo dentro di noi possono finalmente correre liberamente. Voglio dire che in questo album ci lasciamo alle spalle buona parte della musica tradizionale che costituisce il nostro background e andiamo per la nostra strada, registrando esclusivamente materiale originale composto da noi. È chiaro che le nostre radici “celtiche” affiorano comunque, nelle track di Release The Hounds, ma ci teniamo al fatto che sia una nostra interpretazione di queste radici. Ed evidentemente è un messaggio che è arrivato al pubblico, vista la nostra recente nomination come miglior band folk/world, per quanto riguarda lo stato di Victoria.”

Ma scendendo in dettaglio, in cosa Release The Hounds è differente rispetto ai vostri dischi precedenti?

“Dal nostro punto di vista la variazione principale, rispetto ai precedenti tre album, è l’ingresso in formazione di un batterista. È stata una fortuna che Vince Ditrich, drummer degli Spirit Of The West, una delle migliori band canadesi, abbia partecipato alle registrazioni, portando il suo inconfondibile tocco alle nostre composizioni. Ma il disco comprende altre importanti collaborazioni: Hugh MacMillan, pure lui degli Spirit Of The West, ha suonato basso, mandobasso e lap steel guitar. Ivonne Hernandez, una eccellente violinista, suona in due brani e ultimamente è spesso con noi in tour. Poi…un paio di anni fa, dopo un nostro show, ci venne a trovare un ragazzo inglese, Chris Palmer, che abbiamo scoperto suona l’armonica in modo splendido, quindi abbiamo arruolato anche lui per un paio di pezzi. Aggiungerei che anche la scelta dello studio di registrazione ha avuto un peso notevole per la riuscita di Release The Hounds: abbiamo avuto a disposizione le apparecchiature migliori e più recenti, ma a parte questo registravamo in un ambiente splendido, un posto incantevole e rilassante immerso nella natura. Il master alla fine è stato realizzato a Memphis, Tennessee, con apparecchiature analogiche, proprio per garantire al prodotto finale quel “calore” tipico del sound analogico.”

La reazione di pubblico e critica?

“Finora, ottimi riscontri su entrambi i fronti. Le radio mandano continuamente in onda i brani di Release The Hounds, e parlo di radio a diffusione nazionale, non regionale. Quando siamo in tour l’album va regolarmente esaurito dopo i concerti, e anche le vendite online vanno molto bene. C’è anche un video che accompagna il brano “Life Goes On” che comincia a vedersi in televisione…”

Ma più in generale, qual è la situazione per questo tipo di musica in Canada?

“La musica indipendente gode attualmente ottima salute, qui in Canada. La tecnologia è ormai alla portata di tutti, e praticamente chiunque è potenzialmente in grado di prodursi da solo un proprio album: sono molti gli artisti che riescono così ad assicurarsi un certo seguito e a fare in modo che la propria musica sia ascoltata in giro, o anche su internet. Consideri poi che il Canada è una nazione vastissima, che comprende una popolazione realmente multi-etnica: sono molti i festival che evidenziano le tante sfaccettature etniche del nostro Paese, e ciò si traduce nella possibilità di ascoltare il meglio della musica folk non solo canadese, ma anche delle altre parti del mondo.”

Qualcosa infine sui due brani tratti da Release The Hounds che abbiamo incluso sul sampler allegato a questo numero di “Keltika”…

“Me And My Haggis” avrebbe potuto essere il titolo dell’intero album. Era un’idea di mio fratello Doug, che realizza le copertine dei nostri dischi. Poi abbiamo deciso diversamente, ma è rimasto come titolo di un mio brano strumentale. Ci siamo divertiti moltissimo a registrarla, con quella batteria alla Bo Diddley e le parti vocali all’inizio e alla fine, ed è sempre uno dei brani più apprezzati nei nostri concerti. “Big Big World”…beh, dovunque tu sia, c’è sempre qualche altro posto in cui ti piacerebbe essere…insomma, è un brano che ha a che fare con l’universale bisogno dell’uomo di conoscere il mondo che lo circonda: è un modo per elevarsi al di sopra del quotidiano.”