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Téada (Irish Traditional Music) – Oisín Mac Diarmada (Ar An Bhfidil)
La musica irlandese di questi ultimi anni tende in modo sempre più netto verso la globalizzazione, e il trionfo dei mass media spinge oggi un numero crescente di musicisti dell’isola di Smeraldo ad affrontare esperienze artistiche di incontro e di fusione con le altre culture popolari del globo: questo stesso numero di Keltika mostra del resto come, ad esempio nel caso della cantante nord-irlandese Gillie MacPherson, questa musica possa ad esempio coesistere felicemente con le sonorità proprie dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Esiste però ancora un buon numero di artisti che ritengono di rimanere fedeli allo spirito della tradizione: attenti – sembra che ci dicano – in questa maniera si finirà per smarrire la vera identità della nostra musica e delle nostre tradizioni! È questo il caso del violinista Oisín Mac Diarmada e del suo gruppo Téada, autore di due album (uno solistico, intitolato Ar An Bhfidil, e l’altro – intitolato semplicemente Irish Traditional Music – insieme alla sua band) da cui sono tratti due brani presenti sulla nostra compilation mensile, “Mary Brennan’s Favourite, The White Leaf” dall’album per solo fiddle, ed i reel “The Crock Of Gold, Johnny’s Gone To France, The Tailor’s Thrimble” dal CD dei Téada. Un approccio rigoroso, quasi da purista: nulla di strano, e se si ascoltassero questi dischi senza guardare la copertina ci immagineremmo musicisti in età avanzata, fedeli cultori da svariati decenni di questa musica…e invece no. Oisín e i suoi compagni sono invece giovanissimi, e anche se il loro sound è solido e compatto, tipico di una band con tanta esperienza alle spalle, la loro biografia ci racconta invece di un’unione artistica nata, per caso, solo da un paio di anni. Reduci da lunghi e acclamati tour in America e in Germania, i Téada di Oisín Mac Diarmada si apprestano a sbarcare in Italia nel prossimo mese di marzo per la gioia dei nostri appassionati di musica tradizionale irlandese, nell’accezione più pura del termine. Oisín, iniziamo dal nome: come mai Téada? Cosa significa? “Il termine téada è un vocabolo irlandese, e significa “corde”. Quando la band si formò, all’inizio del 2001, la formazione consisteva quasi esclusivamente di strumenti a corda: fiddle, banjo, chitarra e bouzouki (più lo strumento a percussione, il bodhrán). Così ci è parso naturale chiamare il nostro gruppo Téada, un termine che rifletteva le caratteristiche acustiche della nostra musica. Inoltre, dal momento che due di noi parlano perfettamente l’irlandese, abbiamo optato per un nome irlandese, piuttosto che scegliere qualcosa che derivasse dall’inglese. In seguito tuttavia il nostro chitarrista, John Blake, ha preso a suonare anche il flauto, per cui devo ammettere che ormai il termine téada oggi non è in realtà appropriato al cento per cento…” Le origini della band? “Il nostro gruppo è nato all’inizio del 2001, quando mi venne richiesto di formare una band per una interessante serie televisiva che stava per essere registrata dalla stazione televisiva in lingua irlandese TG4: in un certo senso quella serie di trasmissioni fu il nostro primo concerto, e ad essa seguì la nostra partecipazione al Celtic Flame Festival del 2001, a Dublino, a fianco della Sharon Shannon band. Nei sei mesi successivi i Téada, formati da me - Oisín Mac Diarmada - al fiddle e alla voce solista, da John Blake (flauto e chitarra), da Seán McElwain (banjo e bouzouki) e da Tristan Rosenstock al bodhrán, intrapresero un lungo tour in America e in Finlandia. Sin dall’inizio la determinazione della nostra band è stata presentare al pubblico una musica tradizionale irlandese che fosse pura e autentica, inframmezzata da canzoni della tradizione in lingua irlandese. L’approssimarsi di un successivo tour in Germania, a marzo del 2002, ci fornì la motivazione per cominciare a pensare in modo serio e concreto alla produzione di un album. Il nostro disco di debutto venne infatti pubblicato proprio in prossimità della nostra data di partenza per la Germania. È stato proprio questo album che ci ha dato una popolarità ancora oggi crescente, per un approccio alla musica legato alla tradizione, pieno di brio ma con un buona dose di “intimità”, se così posso dire. Siamo stati apprezzati in modo particolare negli Stati Uniti, dove in effetti torneremo per un lungo tour nel 2003.” Esatto: già al primo ascolto il vostro album di esordio si distingue soprattutto per la netta sensazione di voler restare saldamente “all’interno” della tradizione, e questo potrebbe anche sembrare strano, vista la giovane età degli elementi della vostra band… “Sì, tutto ciò viene costantemente evidenziato nelle varie recensioni del nostro disco…ma dal momento che tutti noi della band abbiamo grande rispetto e considerazione della autentica musica tradizionale irlandese, era naturale che ciò si manifestasse anche nel nosro CD di esordio. In realtà noi crediamo fermamente nel valore musicale della musica che suoniamo, e non ci interessa lo sforzo di modernizzare ad ogni costo una tradizione culturale così unica e ricca di storia. E poi secondo noi il pubblico va sempre più alla ricerca di autenticità nella musica, e apprezza i musicisti che si sforzano di presentare una forma d’arte nella sua dimensione più vera, resistendo alla superficialità che le tentazioni commerciali tendono talvolta ad incoraggiare. Insomma, se una band si autodefinisce una “Irish traditional band”, è un fatto normale che poi mostri la propria coerenza innanzitutto con la musica eseguita! Purtoppo invece si assiste spesso al fenomeno contrario: non mancano le cosiddette Irish traditional band che non forniscono al pubblico un quadro autentico e veritiero della musica tradizionale. Mi piace pensare ai Téada come a una band che cerca di perpetuare una tradizione tramandata fino ad oggi per via orale, nella maniera più sincera e genuina possibile.” Queste sue considerazioni portano inevitabilmente ad un’altra domanda: con queste premesse, cosa pensa delle molteplici nuove direzioni della musica irlandese, sempre più spostata verso la musica etnica di altre parti del mondo, il pop, la new age? “Naturalmente ascolto musica di ogni genere, ma il crescente fenomeno della fusion nel mondo della musica etnica, a livello mondiale, mi lascia abbastanza perplesso: quando con questa tendenza si tende ad esagerare, c’è sempre il rischio di una diluizione della vera essenza della musica tradizionale, fino alla perdità della sua identità. Personalmente mi interesserebbe di più ascoltare la vera musica tradizionale italiana, ad esempio, che una sua versione annacquata, che miri in realtà ad un easy listening capace di incrementarne le vendite. In campo musicale quel che conta è l’unicità: è essa che rende l’ambiente musicale vivo e interessante. E le diverse culture musicali dovrebbero essere conservate, invece di preoccuparsi di fare fusion ad ogni costo. Intendiamoci, non c’è nulla di male a sperimentare con la musica, anzi è una pratica da incoraggiare, ma purtroppo ho la sensazione che alcuni musicisti abbiano cercato di spingersi un po’ troppo “oltre”, in questo senso, con la musica irlandese: non ho alcun problema nei confronti di questa musica, ma non capisco perché debba essere chiamata “musica tradizionale irlandese”! Questa sperimentazione così spinta può confondere un pubblico che si volesse avvicinare alla “vera” musica tradizionale irlandese. Il popolo della musica folk cerca invece un’arte sempre più genuina, soprattutto oggi che la musica popolare è stata privata della propria spontaneità e della propria identità.” Nel vostro CD c’è un particolare uso del banjo, strumento non eccessivamente presente negli album di musica tradizionale irlandese... “È evidente che il banjo non abbia la stessa diffusione, nella musica irlandese, di strumenti come il violino o il flauto, e la causa di ciò sta nella scarsa adattabilità di questo strumento alle caratteristiche tipiche della nostra musica tradizionale. Penso tuttavia che il banjo possa offrire tanto alla nostra musica, particolarmente da un punto di vista ritmico. Parlando da violinista, mi piace moltissimo suonare accompagnato da un banjo, e difatti nel 2000 ho pubblicato un album per l’etichetta Clo lar-Chonnachta insieme ad un banjoista, Brian Fitzgerald, e ad un arpista, Michael Rooney. Quindi mi è sembrato naturale includere nei Téada il banjo di Seán McElwain, che tuttavia negli spettacoli dal vivo suona anche il bouzouki.” Sia il disco in gruppo che il suo album solistico escono in modo autogestito per la sua etichetta Ceol Records… “Sì, entrambi gli album sono pubblicati dall’etichetta Ceol Records, consorella della Ceol Productions. Ho fondato le due compagnie quest’anno perché l’approccio indipendente consente una maggior flessibilità al musicista: così è possibile registrare secondo i propri gusti, senza i condizionamenti esterni legati all’aspetto commerciale di un prodotto. Mi riprometto di scritturare anche altri musicisti nei prossimi anni, e ovviamente la traccia sarà sempre basata su un approccio il più aderente possibile alle caratteristiche della vera musica tradizionale. Attualmente sono, tra l’altro, anche il manager dei Téada, e spero nei prossimi anni di espandere anche questa esperienza con altri artisti. Certo, non è facile, ma per me sono attività molto stimolanti.” Ci sono differenze di impostazione importanti tra il suo disco solistico, Ar An Bhfidil, e quello con i Téada? “L’approccio è molto differente, anche se entrambi i dischi sono stati registrati nello stesso periodo, la primavera del 2002. Il progetto dell’album solistico si ripromette di presentare la musica nella sua essenzialità, una vera e propria esplorazione del fiddle nella musica tradizionale irlandese. La maggior parte delle track del mio disco vedono solo il mio violino, registrato senza accompagnamento nè effetti di alcun genere, mentre l’album dei Téada presenta un suono ricco per la presenza dell’accompagnamento ad opera della chitarra e del bouzouki. Ecco, in questo album dei Téada penso di non essermi comportato da purista: storicamente parlando la musica irlandese, nel corso dei secoli, è infatti sempre stata eseguita senza accompagnamento. Ho anche avuto la fortuna di avere come produttore Harry Bradshaw, che lavora con la compagnia televisiva statale, la R.T.É. Harry condivide con me la stessa passione per la musica dei grandi del passato della nostra tradizione, ed ha svolto un ruolo fondamentale nel remastering di molte vecchie incisioni registrate in America negli anni ’20 e ’30 dai grandi violinisti originari di Sligo come Michael Coleman, James Morrison e Paddy Killoran. Tra l’altro anche io vivo nella contea di Sligo, e forse anche per questo la loro musica mi attrae in modo particolare. Ritengo che per un musicista il concetto di stile personale sia molto importante, e spero che ciò sia evidente all’ascolto dei due album: alla base della musica irlandese non vi deve essere una imitazione pedissequa dei grandi del passato. Al contrario ciascun musicista dovrebbe comunque cercare di individualizzare la propria espressione artistica, ovviamente rimanendo all’interno della tradizione.” A marzo suonerete in Italia. È la vostra prima volta qui da noi? “Non solo è la prima volta che suoniamo in Italia, ma personalmente è anche la prima volta che riesco a visitare il vostro Paese. E devo ammettere che sono veramente elettrizzato all’idea, e non solo per le attrattive di un posto così pieno di storia, ma anche perché mi pare di capire che italiani e irlandesi siano abbastanza simili nel modo di intendere la vita: il senso dell’umorismo, ad esempio, mi sembra sia lo stesso. La musica tradizionale irlandese può risultare piena di gioia e di vitalità, e immagino che siano queste le caratteristiche con cui essa viene identificata in Italia. Faremo un tour di tre settimane in Austria e in Italia. In Italia credo che ci siano almeno cinque date, ma forse c’è anche la possibilità di qualche altro concerto in Sicilia, alla fine del tour. Ad ogni modo ogni dettaglio verrà pubblicato in tempo reale anche sul nostro sito web.” Qualcosa a proposito delle track tratte al disco con i Téada e da Ar An Bhfidil, presenti sul CD-sampler di Keltika? “Penso che le due track che lei ha scelto rappresentino perfettamente il nostro approccio a questa musica. Nel brano dei Téada si avverte la vitalità e la gioia tipiche della musica tradizionale irlandese di cui si parlava, mentre nella mia “Mary Brennan’s Favourite, The White Leaf” sono riconoscibili gli aspetti intimistici che caratterizzano spesso la nostra musica per fiddle.” Tornando alla musica del solistico Ar An Bhfidil, si tratta di una ottima rassegna di brani irlandesi per solo fiddle, riarrangiati in uno stile personale all’interno della grande tradizione violinistica della contea di Sligo. Solo in alcune delle track sono presenti artisti come John Carthy al fiddle, Seamus Quinn al piano, Seán McElwain al bouzouki, Damien Stenson al flauto, John Blake alla chitarra e Tristan Rosenstock al bodhrán. Il disco dei Téada vede invece un gradevole alternarsi di brani vocali e strumentali nella più pura tradizione stilistica del folk irlandese. È infine da ricordare che questo disco per diverse settimane è risultato il più venduto nelle classifiche del celebre Celtic Note Music Store di Dublino: un biglietto da visita di tutto rispetto. Sia Ar An Bhfidil che Irish Traditional Music dei Téada possono essere ordinati direttamente presso il sito web della Ceol Records: www.ceolproductions.com, contenente moltissime informazioni sull’attività artistica di Oisín Mac Diarmada e della band Téada. Questi due dischi costituiscono una scelta obbligata per chi desideri tuffarsi nella musica tradizionale irlandese, nell’accezione più genuina del termine.
Intervista di Alfredo De Pietra Téada - Give Us A Penny And Let Us Be Gone Testo di Alfredo De Pietra Tradizione vuole in Irlanda che il 26 dicembre, ovvero il giorno di Santo Stefano, gruppi di ragazzi vestiti in abbigliamento abbastanza pacchiano vadano in giro di casa in casa, di pub in pub, a suonare semplici melodie tradizionali in cambio di qualche soldino: sono i Wren boys – ed è questo il motivo per cui quella data è detta in Irlanda anche the Wren Day – e la frase con cui i ragazzi terminano ogni volta la loro esibizione tendendo il cappello è più o meno questa: “Dateci un penny e fateci andare da un’altra parte” o se preferite, in inglese: Give Us A Penny And Let Us Be Gone, che è poi il titolo del secondo album dei Téada, album che presentiamo questo mese sulla nostra compilation con il brano “THE STEPPING STONE/AN TSEANBHEAN BHOCHT”. Il riferimento al Wren Day è confermato anche dall’immagine presente sulla copertina dell’album, una vecchia foto (siamo nella Dublino del 1947) che riprende un gruppo di Wren boys, quasi che la band capitanata dal giovanissimo fiddler Oisín Mac Diarmada voglia per una volta identificarsi con una delle figure più tipiche – i wren boys per l’appunto – della tradizione musicale irlandese. Perché volendo, sia pure in senso lato, in fondo proprio di questo si tratta, nel campo dell’Irish music, e il parallelismo con le band di musica tradizionale dell’isola di Smeraldo è abbastanza evidente: gruppi di musicisti che girano il mondo, chiedendo il giusto compenso per le loro esibizioni, pronti a vagare da un pub all’altro (ma anche da un palcoscenico all’altro…) diffondendo le loro melodie tradizionali. È il secondo album dei Téada, si diceva, ed è stato pubblicato dalla americana Green Linnet (http://www.greenlinnet.com/) nel 2004: segno dell’interesse della casa discografica americana nei confronti di uno dei gruppi più apprezzati in terra d’Irlanda: vincitori l’anno precedente del titolo di “Best Traditional Newcomers” nel concorso bandito dall’”Irish Music Magazine”, ovvero miglior banda emergente di stampo tradizionale, i Téada erano passati, poco prima di queste registrazioni, alla formula del quintetto, in parte anche snaturando il loro nome: il termine gaelico “téada” significa infatti “corde”, e il nome era stato scelto proprio in quanto gli strumenti a corda (fiddle, chitarra, banjo, bouzouki…) erano la costante del gruppo. Evidentemente col tempo ci si era resi conto che sarebbe stato meglio ampliare il fronte sonoro, e così entrarono nell’organico strumenti come l’accordion e il flauto. In seguito alla pubblicazione del loro primo disco, intitolato del tutto semplicemente Traditional Irish Music, i Téada (http://www.ceolproductions.com/teada.html) intrapresero una serie di tour in America, ma proprio durante uno di questi il leader, il fiddler Oisín Mac Diarmada, accusò violentissimi dolori alla colonna vertebrale: era il segno di una neoplasia che dovette essere rimossa in gran fretta, e che fortunatamente si rivelò di natura benigna. Giusto il tempo di rimettersi in sesto, e “i wren boys della musica irlandese” ripartirono alla grande nel loro peregrinare da una parte all’altra del mondo. Oggi i Téada sono una delle figure più apprezzate nel mondo dei puristi dell’Irish traditional, con una formazione che, oltre al già citato Mac Diarmada, vede Paul Finn al button accordion, Damien Stenson ai flauti e al whistle, Seán Mc Elwain al bouzouki e alla chitarra e infine Tristan Rosenstock al bodhrán. Le quattordici tracce di Give Us A Penny And Let Us Be Gone sono, neanche a dirlo, all’insegna della tradizione, con un intreccio in varie formule di due o tre linee strumentali all’unisono con il resto della band che si occupa del contrappunto e della ritmica: in fondo gli elementi tipici della musica irlandese, eseguiti tuttavia con un gusto e una maestria veramente superiori alla media. Barndance, slip jig, reel, air, hornpipe, hop jig, highland fling e set dance si alternano vorticosamente nell’album, le cui dettagliatissime note di copertina non fanno che confermare la serietà dell’approccio professionale e il rispetto di questi musicisti poco più che ventenni nei confronti del materiale oggetto della loro arte. Che dire…nel caso che questi musicisti bussassero alle porte delle vostre case, magari non necessariamente il giorno di Santo Stefano, date loro un penny, e lasciate poi che vadano a suonare da qualche altra parte…
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