Steve Tilston
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Steve Tilston

Steve Tilston: Live Hemistry 

A proposito di Steve Tilston è stato detto che anche se non può essere considerato un caposcuola o un innovatore assoluto, si può star certi che qualunque progetto musicale egli decida di intraprendere, sarà comunque in grado di portarlo a termine meglio di chiunque altro. E un’altra cosa è certa: se si prova a chiedere agli addetti ai lavori del folk britannico quale sia il loro chitarrista, cantante e cantautore preferito, ebbene il nome di Steve Tilston sarà quasi sempre presente in tutte e tre le categorie.

Tutto ciò potrebbe sembrare singolare, per un artista la cui popolarità, almeno in Italia, è legata principalmente all’episodica partecipazione di Tilston alla Ship Of Fools di John Renbourn, ma la recente pubblicazione dell’album dal vivo Live Hemistry ci conferma la sensazione di trovarci di fronte a un grande compositore e chitarrista.

Nato a Liverpool, Tilston compone musica – ottima musica – sin dagli anni dell’adolescenza. Tra le sue principali influenze figurano i primi vinili ad opera di Bert Jansch, Davey Graham e John Renbourn, ma anche il blues di Big Bill Broonzy e Josh White. All’età di 19 anni Steve parte per Londra, all’epoca (eravamo alla metà degli anni ’60) capitale mondiale del folk revival. Il giovane di Liverpool inizialmente pensa alla musica esclusivamente nei panni del chitarrista: lo strumento a sei corde viene a quei tempi considerato alla stregua di strumento dei “trovatori del XX secolo”, e Tilston decide che il British folk style tipico di quel periodo sarebbe stata la strada da seguire. Renbourn e Jansch hanno nel frattempo iniziato “l’avventura Pentangle”, che li avrebbe portati di lì a poco alla notorietà internazionale, e Tilston inizia la consueta trafila dei folk club londinesi, ma soprattutto dà il via alle sue produzioni discografiche: Acoustic Confusion, del 1971, viene nominato “album del mese” dal Melody Maker, attirando l’interesse su Tilston dell’allora direttore della Transatlantic Records, Nat Joseph. L’anno successivo la Transatlantic pubblica infatti The Collection, e da quel punto in poi Tilston produrrà, sino a questo Live Hemistry, una dozzina di album.

Proseguirà per Steve la frequentazione dei folk-club ove, agli inizi degli anni ‘80 avverrà l’incontro artistico con la cantante, flautista e suonatrice di bodhrán Maggie Boyle, “specialista” del repertorio tradizionale irlandese. Il binomio Boyle & Tilston si esibirà così in vari contesti, dalla formula in duo al già citato “progetto Ship Of Fools” di John Renbourn, fino alla partecipazione allo spettacolo Sgt. Early’s Dream della compagnia di ballo Ballet Rambert.

Nel corso degli anni le doti compositive di Steve Tilston si vanno nel frattempo affinando, così come la sua bravura alla chitarra, ma comincia a subentrare una certa insoddisfazione di fondo nell’artista di Liverpool: viene tentato uno “sbarco in America” (artisticamente parlando), ma con risultati nettamente inferiori alle aspettative, e per un paio di mesi Steve pensa addirittura di smettere con la musica, trasferendosi in Cornovaglia per riciclarsi nel mestiere di pescatore (!).

Fortunatamente la voglia di musica ritorna ben presto, ma Tilston si sente comunque stanco e deluso dall’esperienza dei folk-club, e acconsente, suo malgrado, ad un impiego quinquennale come compositore professionista di pop song per conto di una compagnia discografica.

La passione per una musica sincera, frutto della propria personalità e delle proprie esperienze, non abbandona comunque il cantautore di Liverpool, che anzi inizia ad abbracciare con maggiore convinzione la musica tradizionale irlandese (e tra parentesi è da sottolineare che Tilston è uno dei pochi musicisti “traditional” inglesi a godere di un buon successo di pubblico nell’Isola di Smeraldo…). Le canzoni di Steve Tilston arrivano ad attirare l’attenzione di grandi della musica tradizionale come i Fairport Convention, North Cregg e The House Band, che incidono alcune sue composizioni nei propri album. E sempre in tema di musica tradizionale, un paio di composizioni di Tilston, nella fattispecie “Slip Jigs & Reels” e “The Naked Highwayman”, riscuotono nel circuito del pubblico folk britannico un enorme successo, al punto da diventare dei veri e propri “classici” del genere.

Arriviamo così agli anni più recenti, testimoniati da questo eccellente album dal vivo, Live Hemistry, che ha per sottotitolo la frase “Registrazioni dal vivo dai Tropici del Cancro e del Capricorno”. Si tratta di incisioni che vanno dal 1997 al 2001, effettuate in Gran Bretagna e in Australia, queste ultime in occasione del tour effettuato lo scorso anno dai Fairport Convention, e di cui Tilston è stato supporting artist.

Abbiamo ottenuto dal cantautore inglese l’autorizzazione ad inserire sulla nostra compilation mensile il brano universalmente riconosciuto come il suo maggiore successo, “Slip Jigs & Reels”, splendida ballad con il tema dell’emigrazione dall’Irlanda in America, che a fatica si riesce a immaginare scritta da un inglese del XX secolo: è una stupenda canzone ad ampio respiro, che per cadenze ed intensità arriva al livello di grandi ballad come “Arthur McBride” o “The Lakes Of Pontchartrain”.

“Slip Jigs & Reels”, ma in realtà l’intero album Live Hemistry, ci dimostra in maniera evidente che Steve Tilston è oggi un maturo ed ispirato cantautore, abilissimo nell’uso dei testi così come preciso ed essenziale nella tecnica chitarristica. Nulla è lasciato al caso nella sua musica, una musica ricca di elementi musicali e pertanto difficilmente definibile, ma comunque affascinante.

Va anche precisato che “Slip Jigs & Reels” non è l’unico brano di Live Hemistry ad ispirazione “Celtic”. Lo stesso Tilston ci ricordava che “The Night Owl” è stato registrato dalla cantante irlandese Dolores Keane, ma è indubbio che il brano regalatoci è oggi l’autentico cavallo di battaglia di Steve, che non a caso lo esegue di regola, come testimoniato anche in questo album live, alla fine dei suoi concerti (e Tilston ci confidava con orgoglio che di “Slip Jigs & Reels” esistono oggi circa una trentina di versioni differenti: insomma un vero e proprio classico della musica folk!).

Un’autentica chicca sorprenderà e lascerà di stucco gli acquirenti di questo ottimo CD: ve la immaginate “O sole mio” interpretata in versione “latin” dai Fairport Convention? No, eh? Ebbene Live Hemistry si conclude proprio in questa maniera, con i mitici Fairport a suonare insieme a Steve Tilston la celeberrima canzone napoletana, ribattezzata per l’occasione – chissà perché – “It’s Now Or Never”! Un finale veramente bizzarro e sorprendente per un album peraltro di ottima fattura.

Live Hemistry può essere acquistato direttamente presso il sito web di Steve Tilston:

www.steve-tilston.co.uk

 

                                                                                                          Testo di Alfredo De Pietra

Discografia 

An Acoustic Confusion (1971) – Village Thing

The Collection (1973) – Transatlantic

Songs From The Dress Rehearsal (1977) – Cornucopia

In For A Penny (1983) – TW Records

Life By Misadventure (1987) – Run River 001

Ship Of Fools (con John Renbourn, Maggie Boyle e Tony Roberts) (1988) – Flying Fish FF446

Swans At Coole (1990) – Run River 011

Of Moor And Mesa (con Maggie Boyle) (1992) – Green Linnet 3087

And So It Goes… (1996) – Flying Fish FF653

All Under The Sun (con Maggie Boyle) (1996) – Flying Fish FF663

Solorubato (1998) – Fellside FECD134

Fully Chromatic (con Maartin Allcock e Pete Zorn) (1998) – WAZ! WAZCD2

The Greening Wind (1999) – Hubris Records HRCD002

Live Hemistry (2001) – Hubris Records HR CD 03

Steve Tilston - Live Hemistry  – Hubris Records HR CD 03

Steve Tilston – Of Many Hands 

Intervista di Alfredo De Pietra 

Un tuffo nella tradizione, alla ricerca delle proprie origini 

Il raffinato chitarrista-compositore britannico paga un tributo alla fonte della propria ispirazione, in un album perfetto per ispirazione e realizzazione. Due brani nella nostra compilation di questo mese.

Steve Tilston è uno di quei musicisti che sai già in partenza che non ti deluderà: c’è consistenza, nella sua arte, c’è la “stoffa”, te ne rendi conto all’ascolto di ogni sua nuova proposta discografica. Musica di sostanza, quella del chitarrista britannico, anche nel caso in cui, come in questo recentissimo Of Many Hands, si assiste a una brusca virata di repertorio: Tilston  (www.steve-tilston.co.uk) è infatti rinomato compositore, ma in questa sua ultima proposta discografica si prende una vacanza – ce ne spiegherà nell’intervista il motivo – dal songwriting, per concentrarsi nella riproposizione di una serie di evergreen “from the tradition”, come sottolinea il sottotitolo di questa splendida raccolta di brani.

La musica di Of Many Hands è pulita e diretta; il fingerpicking di Tilston preciso e mai scontato, e anche i comprimari (Chris Parkinson accordion e armonica, Martin Simpson slide guitar, Nancy Kerr fiddle e viola, James Fagan bouzouki e piano, Maggie Boyle flauti, Scott Devine contrabbasso e Mike Hockenhull banjo) contribusicono in modo determinante alla riuscita di uno degli album più validi – in assoluto – che ci siano capitati tra le mani negli ultimi tempi.

Ci dica innanzitutto qualcosa di questo interessante titolo: Of Many Hands, ovvero “frutto di tante mani”. Mi pare voglia riflettere l’origine della musica tradizionale, creata poco alla volta, quasi rimaneggiata, da tanti sconosciuti compositori…

“La frase “Of Many Hands” non è mia: venne usata dal poeta Robert Graves. Fu il suo tentativo di coniare un’alternativa al termine “anonimo” da abbinare alle melodie tradizionali comprese nella sua antologia di poesie. E in effetti è proprio così, sono perfettamente conscio del fatto di essere solo uno dei tanti interpreti di queste canzoni, in una lunga sequenza di versioni che proviene dal passato e continuerà nel futuro. Ciò considerato, rimane tuttavia un punto fermo: nel nucleo di ciascun brano rimane intatta l’idea originale della singola persona che ha creato quella canzone. Facciamo l’esempio di “Barbry Allen”, di cui esistono migliaia di versioni della più svariata provenienza. Ebbene, la struttura narrativa di questa canzone è ovunque la stessa: un giovane sta morendo d’amore per Barbry Allen, lei arriva a visitarlo, lui muore. Per il rimorso muore anche lei: la morte li unisce nell’amore, e sopra le loro tombe una rosa e un rovo si intersecano tra loro, in un vero e proprio nodo d’amore.”

E come ci si sente nel ruolo di interprete di brani tradizionali? Glielo chiedo, considerato che la sua è più un’ immagine di compositore che di semplice esecutore.

“Con l’avanzare degli anni, e affinando – spero – le mie doti di compositore, mi sono reso conto che la mia principale fonte d’ispirazione sono le canzoni tradizionali. Per il disco ho così scelto alcuni brani che sarei stato orgoglioso di aver composto.”

Sì, ma perché un album di canzoni tradizionali proprio in questo momento della sua vita e della sua carriera?

“È qualcosa che avevo in mente da molto tempo. Dopo Such & Such, il mio album precedente, sentivo di aver dato, artisticamente parlando, il massimo che era nelle mie possibilità. È stato un fatto catartico, ma mi sono anche sentito svuotato, quasi prosciugato. Non mi sentivo pronto a ricominciare un processo compositivo finalizzato alla pubblicazione di un nuovo album, magari a un paio di anni di distanza, ma siccome è vero che la natura aborre il vuoto, avvertivo anche la necessità di riempire in qualche modo questo “vuoto musicale”: un album di musica tradizionale era quello che ci voleva.”

E qual è la reazione del suo pubblico? In fondo siamo abbastanza lontani dai suoi dischi precedenti…

“Credo che la maggior parte abbia gradito, o per lo meno questa è la reazione che arriva alla mia email. Sì, qualcuno mi dice che mi preferisce nelle vesti di compositore, ma si sa, è impossibile accontentare tutti…”

C’è un tratto comune nei brani di Of Many Hands?

“Almeno a livello conscio, direi di no…certo, a pensarci bene il mare fa spesso la sua comparsa…ma comunque, gli elementi comuni sono sempre gli stessi, universali: sono canzoni che parlano di vita quotidiana, morte, amore e abbandono.”

Un tuffo nel passato. Il primo aneddoto che le viene a mente ripensando alle tournee con i Fairport Convention.

“Dunque…sì, dobbiamo ritornare ai primi anni Settanta, eravamo in tour in Scandinavia assieme ai Mott The Hoople. Era l’inizio della primavera e la temperatura era glaciale. Bene, per qualche insano motivo scommisi con Dave Swarbrick una bella sommetta di denaro che lui non si sarebbe gettato, completamente vestito, nella piscina dell’hotel. Naturalmente lui lo fece, ma la cosa assurda non fu questa. Ai tempi, Swarb aveva perennemente un mozzicone di sigaretta acceso che gli pendeva dalle labbra. Ebbene, non ci crederete, ma vi giuro che quando uscì fuori dalla piscina, quel maledetto mozzicone era ancora al suo posto, e per giunta ancora acceso! Follie di gioventù: sesso, droga e folk-rock!”

Aneddoti a parte, queste esperienze con i Fairport sono state importanti per lei…

“Si tratta di un grandissimo gruppo di persone e di musicisti, ed è bellissimo che i Fairport abbiano deciso di suonare, nel corso degli anni, sei delle mie composizioni. L’ultima di queste, “Over The Next Hill”, l’ho scritta proprio come un tributo nei loro confronti, e ho avuto la fortuna di vederla inclusa nel loro ultimo album (il brano in questione è presente nella compilation allegata al numero 87 di “Keltika”, n.d.r.). Ed è inutile negarlo, tutto ciò mi ha portato un gran bene. In un certo senso, molto importante dal mio punto di vista, avere un mio brano valorizzato da un gruppo così importante rappresenta una sorta di riconoscimento supremo della mia carriera di compositore.”

Lo Steve Tilston chitarrista, quali fonti strumentali annovera principalmente?

“Senza alcun particolare ordine di preferenza, citerei Charlie Byrd, Chuck Berry, Buddy Holly, Scotty Moore, Joe Brown, Hank Marvin, Davy Graham, Bert Jansch, Big Bill Broonzy, Josh White, Skip James, Mississippi John Hurt, Julian Bream. Ma di sicuro ne sto dimenticando tanti altri.”

I nomi invece di tre giovani talenti delle sei corde di cui sentiremo parlare nei prossimi anni…

“Clive Carroll, Peter Mulvey, Ian Carr…Veda, la Gran Bretagna è piena di ottimi chitarristi, ma mi pare siano concentrati sul versante strumentale più che sulla proposizione di brani cantati. E inoltre sembra prediligano l’uso del plettro, mentre io privilegio il fingerpicking…

Un altro aneddoto della sua lunga carriera, per finire, ma questa volta legato all’Italia…

“Ah, innanzitutto io sono sempre felicissimo di venire in Italia e spero di poter tornare anche quest’anno; è uno dei miei posti preferiti, non fosse altro che per il cibo, il vino, il clima e la storia. E naturalmente ho moltissimi bei ricordi, di concerti in meravigliosi vecchi teatri…uno fra tanti, legati a un aneddoto? Sì, quella volta che suonammo nei giardini di un palazzo Mediceo con gli Ship of Fools! Ricordo che quel viaggio era iniziato veramente male, perché il mio passaporto era scaduto da alcuni giorni…e non me ne ero accorto. Gli altri partirono senza di me, e io dovetti attendere l’apertura degli uffici per ottenere un passaporto temporaneo. Presi un volo successivo e arrivai giusto in tempo per l’inizio del concerto. Ma le cose non finirono lì: dopo l’ultimo concerto dimenticai quel passaporto temporaneo nella cassetta di sicurezza dell’albergo, ma naturalmente me ne accorsi solo in aeroporto. Quante spiegazioni da dover fornire, quante implorazioni per poter ripartire! Immagino che l’organizzatore del tour, Gigi Bresciani, quella volta fu particolarmente felice nel vedermi partire! Oh, e sempre in quel tour, ma in una situazione più rilassata, dopo un concerto, mi pare fossimo a Brescia, ci portarono in uno splendido ristorante, e dopo cena ci mettemmo tutti a cantare. Ricordo alcune bellissime melodie tradizionali italiane quella sera, ma ciò che non scorderò mai è una entusiasmante versione di “O Sole Mio/It’s Now Or Never” cantata a squarciagola da tutti noi…”

Due i brani tratti da Of Many Hands sulla nostra compilation mensile: “The Girl I Left Behind”, brano conosciuto in Irlanda con il titolo gaelico “An Spailpin Fanach” (in inglese “The Rambling Labourer”); e “Willow Creek”, la cui musica è tradizionale, e alla cui melodia Steve Tilston ha adattato un testo originale: è uno dei brani incisi dai Fairport Convention, cui il chitarrista faceva riferimento nell’intervista.

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