Scott McAllister
Home Musica Amici nel web Keltika Links Page CD Reviews

 

 

Scott McAllister – Journey

Testo di Alfredo De Pietra

Un viaggio tra tradizione e musica classica

Non rinnega il proprio passato di chitarrista classico, Scott McAllister. Il suo album di esordio ci mostra un musicista capace di fare tesoro delle proprie esperienze del passato nella realizzazione di un disco di rara eleganza.

Ce ne convinciamo sempre di più: la Celtic guitar è un fenomeno sempre più americano. Basta guardare agli ultimi numeri della nostra rivista, e troveremo tutta una serie di eccellenti chitarristi, ognuno con la propria peculiarità e con la propria identità artistica, dai “muscolari” ai “lirici”, dai “creativi” agli “ortodossi”. Ma quasi tutti – fateci caso – americani.

In questo panorama Scott McAllister, nato e cresciuto nel Connecticut, e che ora vive con la famiglia nel Vermont, va a occupare un ruolo abbastanza inconsueto, quello del musicista di estrazione e impostazione classica che finisce per innamorarsi della musica celtica, e che riesce a fondere con gusto i due mondi apparentemente lontani della tradizione e dell’accademia.

Il suo album, Journey, da cui sono tratti due brani della nostra compilation di questo mese, “Seaside Jig” e la celeberrima “Si Bhig Si Mhor” consta essenzialmente di arrangiamenti di brani di musica irlandese e di materiale originale per chitarra solista e per ensemble (in entrambi i brani della nostra compilation McAllister è affiancato dall’eccellente violinista Meredith Cooper).

Scott, almeno all’esodio della sua carriera, lei si è avvalso di un approccio di tipo classico al suo strumento. La musica classica è ancora oggi molto importante per lei?

“Ritengo che i miei studi classici siano tuttora importanti per quanto attiene la tecnica, specialmente per quel che riguarda la tecnica della mano destra. Anche se ormai suono solo la chitarra acustica, che ritengo meno versatile dal punto di vista della timbrica, faccio uso di molta della tecnica imparata in quello stile per variare il più possibile il tono dello strumento: anche molti dettagli apparentemente secondari, come ad esempio la cura delle unghie, hanno un ruolo importante sulla tonalità complessiva. E per finire, credo che le mie esperienze nel campo della classica abbiano una grande importanza per quanto riguarda le mie tecniche di arrangiamento: ad esempio, suonando una trascrizione della suite per violoncello di Bach – il cui preludio potete ascoltare anche su Journey – mi colpisce sempre quanto le jig di Carolan somiglino alla giga di quella suite. Certo, il fatto che la scansione ritmica e la tonalità siano le stesse ha il loro peso, ma penso ci sia comunque qualcos’altro. Insomma, quando ci si immerge completamente in uno stile musicale, c’è da scommettere che quello stile continuerà a fare capolino in qualsiasi altro genere si decida di esplorare!”

E l’amore per la musica celtica, quando è arrivato?

“Circa dodici anni fa. Mentre lavoravo, ascoltavo in sottofondo un programma radiofonico, e una volta alla settimana trasmettevano musica celtica. Ricordo che la prima volta chiusero il programma con una canzone di Dougie MacLean che mi entusiasmò. Andai a comprare quel disco, iniziai così ad ascoltare musica celtica, in modo particolare musica tradizionale arrangiata per chitarra, e da allora mi sono concentrato essenzialmente su di essa. Dovendo citare i miei chitarristi preferiti, metterei al primo posto Pierre Bensusan, poi El McMeen, che tende a suonare in modo più lento e lirico, concentrandosi più sulla tonalità che sulla tecnica; Steve Baughman, di cui apprezzo particolarmente il lavoro tecnico della mano destra, e in fine lo scozzese Tony McManus, che riesce a fare cose straordinarie con qualsiasi tipo di musica tradizionale, si tratti di jig, reel, air, pipe march, strathspey…Mia madre, che è italiana, mi chiede sempre quando mi deciderò a imparare qualche canzone tradizionale italiana, ma ancora non mi sento pronto a fare questo passo. Ho ancora tanto da imparare.”

Musica celtica o musica irlandese?

“Personalmente mi piace tutto, ad esempio adoro la musica di Cape Breton, ma per qualche ragione che sfugge anche a me, suono principalmente Irish. Ho iniziato a suonare la musica di Carolan, che mi ha entusiasmato. Certo, mi rendo conto che la maggior parte della musica celtica moderna che ascolto è di origine irlandese, ma non so se sia un fatto voluto. Forse dovrei decidermi a cercare in altre direzioni. Durante un seminario, Tony McManus si esibì alla chitarra in una marcia nuziale bretone, assolutamente fantastica: ecco, vorrei esplorare meglio questo genere di cose.”

Ma non c’è il rischio, in questa maniera, di guardare troppo al passato? Qual è il presente, e il futuro, di questa musica?

“Per come la vedo io, innanzitutto si tratta di una musica che ha comunque una sua attualità. D’altronde, con qualsiasi tipo di traditional music c’è da fare i conti con il passato: è lì che risiede la maggior parte del repertorio. E poi c’è un buon numero di chitarristi che suona in un modo molto diverso dal passato, o che compone i propri brani in quello stile, o ancora che riarrangia composizioni moderne di altri artisti. Per quanto mi riguarda, nel mio prossimo disco vorrei mettere una mia versione di un bel valzer dei Deanta, assieme a un riarrangiamento di “Calliope House” di Dave Richardson.”

Appunto, il suo prossimo disco…in fondo Journey risale ormai a quattro anni fa…

“Beh, tra i miei propositi di Capodanno ho messo anche la conclusione del mio secondo album. Ormai i miei figli hanno un’età che mi permette di avere alcune ore libere la sera (il mio lavoro di avvocato non mi consente di suonare durante il giorno…), così ho ancora qualche mese per potere terminare il lavoro! Comunque sono arrivato alla metà dell’opera…”

Scott McAllister (smcallister@adelphia.net) è oggi molto apprezzato in America: in seguito alla sua pubblicazione, Journey è stato definito “il miglior album per chitarra prodotto nel Vermont”, e la sua tune “Mountain Air” è stata scelta come colonna sonora di un documentario televisivo sulla seconda guerra mondiale.

Da parte nostra possiamo confermare con certezza che si tratta di un album veramente godibile, rilassante e ben registrato, in cui il tocco classico dell’interprete conferisce classe ed eleganza a ciascuna delle tredici track che lo compongono.

Attendiamo con curiosità il chitarrista del Vermont alla sua (ormai prossima) seconda prova.