Pol MacAdaim
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Pól MacAdaim: If We Don’t Help Them Now 

“Musica folk con un’impronta radicale”

Intervista di Alfredo De Pietra

Una voce differente, quella del cantautore nord-irlandese. Un’esperienza umana e professionale profondamente toccata dalle drammatiche vicende della vita nell’Ulster. Ma anche un grande album di esordio, da parte di un musicista che ha partecipato al celebre film “The Magdalene Sisters”.

Non capita spesso di incontrare un personaggio come Pól MacAdaim. È un cantautore, certo, e proviene dalla martoriata Irlanda del Nord. Ma a differenza di tanti altri suoi colleghi, non ha la minima esitazione a parlare delle sue amare esperienze, e il suo repertorio è uno dei più “forti” e attuali che si possano immaginare.

Se è vero che l’artista folk deve essenzialmente narrare le storie in cui si imbatte, è del tutto naturale, così, che l’assurda vicenda delle bambine di Ardoyne, che hanno bisogno della scorta per andare a scuola, diventi una delle canzoni di questo interessantissimo If We Don’t Help Them Now, opera prima del cantautore nord-irlandese.

Non teme l’etichetta di artista politico, MacAdaim. Non teme neanche di esporre in modo schietto e aperto le sue idee: coraggio e onestà innanzi tutto, sembra ci raccomandi il cantautore, e soprattutto bando all’ipocrisia, al volgere la testa da un altro lato, al far finta di niente.

Intendiamoci, la figura artistica di MacAdaim potrebbe risultare condizionata – nel bene e nel male – dal suo eccessivo insistere sui suoi ideali. Ma è proprio l’ascolto di If We Don’t Help Them Now che si rivela in questo senso illuminante: a prescindere dalla valenza politica e sociale dell’autore, siamo in presenza di un musicista di prim’ordine (oltre a cantare, MacAdaim è validissimo alla chitarra, al bodhrán, alle pipes e al whistle) saldamente nel filone della musica irlandese, e la sua voce, calda e intensa, colpisce per espressività ed efficacia. Il sito web di Pól MacAdaim è raggiungibile all’u.r.l. www.polmacadaim.com

Pól, ci siamo imbattuti in lei grazie a un suo messaggio su un forum, in cui lei presentava il suo album in termini di “musica folk con un’impronta radicale”. Qual è il senso di una simile auto-presentazione?

“Intendevo dire semplicemente che alcune delle canzoni che scrivo e che canto possono toccare argomenti che sono oggetto di controversie. I testi di queste canzoni cercano di spronare alla riflessione, nell’intento che la gente, ascoltandole, smetta di ignorare certi problemi, o addirittura di rimuoverli. Una volta un uomo politico mi disse che io riesco a fare pensare la gente, nel senso positivo del termine: bene, se ciò è vero, penso di essere riuscito a raggiungere uno degli scopi principali della mia esistenza.”

Sì, ma quella copertina…cosa c’entrano con la sua musica lo sterminio dei Curdi, Lenin e gli scontri di strada?

“E’ una immagine dello sterminio dei Curdi ad opera dell’esercito turco: in breve tempo la Turchia potrebbe far parte dell’Unione Europea, ed è bene che la gente sia informata su certe cose. Lo scandalo delle prigioni turche, delle torture, degli omicidi politici, dei rapimenti deve terminare, una buona volta. Il fenomeno degli scioperi della fame, che in Turchia hanno portato alla morte di 108 scioperanti, mi ha portato a scrivere la canzone “If We Don’t Help Them Now” (“Se non li aiutiamo ora”, n.d.r.).

Le scene degli scontri indicano quanta strada debba essere percorsa prima che alcuni riescano ad accettare il cambiamento, e quanto questo percorso sia spesso faticoso. Simili scene sono comuni nell’Irlanda del Nord. Pensi alle scolarette della Holy Cross, ad Ardoyne (North Belfast), costrette ad assistere a queste scene per andare a scuola: bambine anche di quattro anni, obbligate a passare attraverso ali di folla che lanciava loro di tutto, dalle molotov ai sassi, dalle bottiglie di vetro ai sacchetti di plastica riempiti di urina. Ho scritto “Bigots Scaring Children” per denunciare quanto assurdamente settaria possa essere la nostra società.

L’immagine di Lenin che parla alla folla sta infine a ricordare che se è vero che gli ideali sono la base del cambiamento, è anche vero che dobbiamo stare molto attenti a come metterli in pratica, per far sì che gli stessi ideali conducano a un vero, positivo cambiamento.”

Ma non teme, così, di essere etichettato come un musicista politicizzato?

“E’ un’etichetta che non temo. In fondo un livello politico può essere intravisto in qualsiasi canzone! La stessa musica folk non è che un modo di condividere l’esperienza della vita quotidiana della gente comune, e Woodie Guthrie, Joe Hill e Victor Jara non sono che alcuni di coloro che hanno contribuito a portare avanti questa tradizione. È come una staffetta, ieri loro hanno portato la torcia, oggi la stessa torcia la porto io assieme ad altri musicisti, e prima o poi la passeremo ad un’altra generazione. Ecco perché penso che quasi tutti i cantautori siano comunque più o meno politicizzati. Sa, nel passato alcuni hanno anche cercato di farmi fuori: sì, sono sopravvissuto ad alcuni tentativi di omicidio ad opera di gente che si opponeva alle mie idee. Evidentemente il fatto che io sia politicizzato costituisce più un problema per loro che per me.”

Quindi il fatto di vivere nell’Irlanda del Nord ha un suo peso, in questo senso…

“Un peso fondamentale sulla mia musica, indubbiamente! Ho avuto la disgrazia di assistere a cose sconosciute a buona parte dell’umanità: la mia famiglia spazzata via dalla guerra, i miei fratelli imprigionati per molti anni…siamo cresciuti separati, e all’età di quindici anni fui preso e interrogato per tre interi giorni dalle forze di polizia inglesi. Mi sbatterono in galera senza alcun motivo, ho dovuto vedere mio fratello semiparalizzato dopo che gli spararono, ho perso molti amici in questa guerra…Sì, l’Irlanda del Nord mi ha insegnato molto. Tanti hanno sofferto, e la mia è solo una delle tante voci che esprimono questa sofferenza.”

E ci sono altri cantautori nord-irlandesi che condividono il suo stesso approccio?

“Molti! E ognuno di essi con una proposta musicale del tutto individuale nell’affrontare gli argomenti delle proprie canzoni. Ma in fondo, lo stesso Christy Moore non è forse un cantautore per molti versi radicale?”

Come reagisce il pubblico alle sue canzoni? Ammetterà che la sua non è la classica immagine del cantautore…

“La reazione è quasi sempre postiva. Certo, ogni tanto capita che qualcuno del pubblico si alzi e cominci a importunare, ma fortunatamente la forza del cambiamento ha emarginato questi sentimenti negativi ad un livello quasi insignificante. E sono contento che la mia immagine non sia quella stereotipata del cantautore. Mi piace il fatto di avere comunque una mia diversità! 

In ogni caso, lei rimane saldamente all’interno della tradizione…

“Amo la musica tradizionale irlandese al pari di quella di tutto il mondo. Certo, la nostra musica ci rende del tutto particolari nel panorama musicale mondiale, ma mi piacerebbe incorporare anche esperienze “estere” nelle mie canzoni.”

Cosa ci dice della sua esperienza nel film di Peter Mullan “The Magdalene Sisters”?

“Ho messo insieme la band che suona nelle scene iniziali del film. Ho arrangiato i brani tradizionali e ho insegnato a Seán Macken (il prete che canta) sia la canzone “The Well Below The Valley”, che i lettori della vostra rivista potranno ascoltare nella compilation mensile, che a suonare il bodhrán. Inizialmente la parte di Macken era stata offerta a me, ma non me la sentivo proprio di vestire i panni di un prete, e poi ciò avrebbe ridato la stura alle polemiche nei miei confronti! Nella band io suono la cornamusa, e faccio anche un pezzo al bodhrán in duo con il prete. Abbiamo avuto solo due giorni di tempo per le prove, in una parrocchia a Dumfries, in Scozia. Era estate, il caldo era insopportabile, e noi eravamo vestiti con abiti pesantissimi. Devo dire di essere rimasto molto deluso nel vedere che in sede di montaggio la nostra parte si era enormemente ridotta, considerato che passammo in quel caldo otto ore al giorno! Comunque, è stata un’occasione che non mi potevo lasciar sfuggire. Il film è eccezionale, e affronta un tema importante nella storia sociale d’Irlanda, un periodo tristissimo che non dovrà mai più ripetersi.”

Ma lei si sente più un cantante, un cantautore o un musicista?

“Bella domanda! Mi piace comporre, ma lo vedo finalizzato al fatto di poter cantare le mie canzoni. Forse sono un po’ tutte queste cose insieme…”

Ci ha detto di “Well Below The Valley”. L’altro suo brano presente sulla nostra compilation è “I Don’t Know”…

“I Don’t Know” è una canzone che tratta di questioni legate all’ambiente, all’eguaglianza e al nuovo ordine mondiale. A questo riguardo vorrei tornare alle foto di copertina: è chiaro che hanno comunque a che fare con la bestialità dell’essere umano. Lo stesso fatto che esse possano essere considerate “strane” da alcuni conferma che spesso preferiamo ignorare – o negare – la sofferenza degli altri: è molto più facile chiudere gli occhi che affrontare certe realtà, per quanto sgradevoli possano essere.”