|
|
Patrick Street – Street Life Testo di Alfredo De Pietra L’ultimo dei supergruppi La longevità e la freschezza dei Patrick Street ci sono testimoniate dal loro ultimo album, come sempre sotto etichetta Green Linnet. Una grande testimonianza di coerenza e rigore stilistico. “Beh, io questo Patrick Street non so assolutamente chi sia, ma vi posso assicurare che questa band suona veramente bene!...” Rimase storica, questa frase pronunciata da uno sprovveduto spettatore alla fine del concerto di debutto del “supergruppo” per eccellenza della musica tradizionale irlandese. Era il 1986, e Andy Irvine, Jackie Daly e Kevin Burke decisero di formare un gruppo; chiesero ad Arty McGlynn di partecipare, e fu così che i Patrick Street videro la luce. Un supergruppo, si diceva, a giudicare dall’altisonanza dei nomi dei musicisti coinvolti nel progetto, anche se questo termine è stato sempre rifiutato dalla band. Una delle cose che colpisce maggiormente dei Patrick Street è la longevità: a diciassette anni dall’esordio il gruppo, scritturato sin dall’inizio dalla casa discografica americana Green Linnet (http://www.greenlinnet.com), è ancora saldamente sulla breccia, come è dimostrato da questo loro ultimo disco, Street Life, che presentiamo ai lettori di “Keltika” di questo mese. Verosimilmente la causa di questa lunga vita è da ricercare in due fattori: innanzitutto Burke & compagni sono arrivati a questo esperimento in età non più giovanissima, con una ricca serie di esperienze alle spalle; sin dall’inizio venne poi convenuto che l’attività della band si sarebbe limitata ad un periodo massimo di quattro mesi l’anno: in questo modo si sarebbe mantenuta più facilmente nel tempo una certa freschezza e la gioia di suonare insieme, lasciando inoltre ciascuno dei musicisti libero, per il restante periodo, di andare per la propria strada a caccia di nuove esperienze musicali. Questo è infatti un elemento ormai riconosciuto come economicamente strategico dalla maggior parte dei musicisti irlandesi, che tendono ormai sempre più a diversificare il più possibile la fonte dei propri guadagni, laddove invece affidare le proprie fortune esclusivamente a un singolo gruppo può risultare un’operazione assai rischiosa (a meno di non chiamarsi Chieftains o Dubliners…). Ma torniamo al line-up dei Patrick Street: l’idea della band venne al fiddler Kevin Burke, inglese di genitori irlandesi originari di Sligo, regione rinomata per la musica per violino. Burke è una delle leggende viventi della musica irlandese, avendo suonato con tutti i più grandi (Christy Moore, Arlo Guthrie ela Bothy Band solo per fare qualche nome). Il fiddler, verso la metà degli anni Ottanta, viveva a Portland, in Oregon, e fu proprio in seguito ad un paio di session assieme al mitico cantante/chitarrista/ compositore Andy Irvine che si concretizzarono i Patrick Street: all’accordion venne ingaggiato il grande Jackie Daly (ex De Dannan), e dopo un lungo valzer di chitarristi, alla fine si unì al gruppo Arty McGlynn. Il nome della band si deve a Jackie Daly, che un giorno se ne uscì con un: “In fondo, ogni città irlandese ha una sua Patrick Street!”, quasi a rimarcare ancora maggiormente, se possibile, lo stretto legame della band alla tradizione irlandese. Una svolta importante nella storia del gruppo si ebbe nel 1990, anno in cui venne pubblicato l’album Irish Times, in cui erano presenti anche il piper Declan Masterson, il chitarrista Gerry O’Beirne e il creatore di Riverdance, Bill Whelan, alle tastiere. Tra l’altro in quell’album fa la sua prima comparsa il brano della Penguin Cafe Orchestra “Music For A Found Harmonium”, che è ormai diventato un classico della musica irlandese, contando ormai innumerevoli versioni discografiche. McGlynn lasciò definitivamente i Patrick Street nel 1996, sostituito da Ged Foley, per arrivare così a quella che è la formazione ormai stabile da allora (Burke-Irvine-Daly-Foley) e che è presente anche su questo brillante e brioso Street Life, un vero compendio di musica tradizionale irlandese, sia pure con frequenti strizzate d’occhio verso la musica d’oltreoceano. Le dieci tracce dell’album (cinque i brani strumentali) sono state registrate in Irlanda e in America, e i musicisti ospiti sono questa volta il percussionista Steve Cooney, il fiddler/banjoista/chitarrista americano specializzato in Old Timey music Bruce Molsky, e il compositore Cal Scott, che ha curato l’arrangiamento della sezione fiati su diverse track del disco. Sulla nostra compilation di questo mese troviamo a presentare Street Life una song, “Down In Matewan/Lost Indian”, composta da Andy Irvine, una vera garanzia di qualità. Lasciamo che sia lo stesso autore a presentare questo brano: “Durante la mia giovinezza ho ascoltato molta Old Timey music, in genere vecchi 78 giri comprati da collezionisti. Molti dei musicisti che registrarono questa musica negli anni Venti e nei Trenta, avevano lavorato nelle miniere di carbone del West Virginia, e mi colpì l’assoluta mancanza di canzoni che affrontassero il tema dei contrasti sociali, degli scioperi e delle violenze che si verificarono in quelle miniere, e che culminarono nella “battaglia della Blair Mountain”, in cui a sedare i disordini furono chiamati addirittura l’esercito e l’aviazione americana. Per questo motivo ho composto “Down In Matewan” mantenendo il testo il più fedele possibile alla tradizione Old Timey: la canzone narra come i minatori fossero vessati dalle istituzioni, sotto la spinta dei proprietari delle miniere, che si servivano anche di forze di polizia privata del tutto prive di scrupoli. Alla canzone fa seguito la versione di Eck Robertson di “Lost Indian”.” |