Mozaik
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Mozaik - Live From The Powerhouse 

Testo di Alfredo De Pietra 

Una grande global string-band ensemble! 

Il meglio della musica tradizionale irlandese, con l’aggiunta di ritmi balcanici e una spruzzatina di Old Timey Music: una ricetta estrosa, che nelle mani di cinque grandi musicisti porta a un piatto di altissimo livello. 

Che qualcosa di “importante”, nella lunga carriera di Andy Irvine, fosse all’orizzonte ce lo aveva fatto capire lo stesso menestrello irlandese, in occasione di uno scambio di email di auguri natalizi: in quell’occasione Irvine tendeva a non enfatizzare l’importanza dell’ultimo album del gruppo Patrick Street, ennesimo suo progetto “di lungo corso”, e si lasciò sfuggire una frase che potrebbe tradursi su per giù così: “No, aspetta, appena uscirà il disco dei Mozaik, allora vedrai: sarà una bella sorpresa, credimi…”.

D’altronde, con Andy Irvine è sempre stato così: fateci caso, sono già trenta anni che le sue band, o per meglio dire i suoi progetti musicali, indicano “la strada”: alla fine degli anni Sessanta gli Sweeney’s Men, poi i Planxty nei Settanta, nei due decenni successivi una intensissima attività solistica affiancata all’esperienza con i Patrick Street, ed ecco ora questa entusiasmante proposta artistica che risponde al nome di Mozaik, concretizzata nella pubblicazione dell’entusiasmante Live From The Powerhouse, che presentiamo sulla compilation di Keltika di questo mese con i due brani “A Blacksmith Courted Me/Blacksmithereens” e “My Heart’s Tonight In Ireland/Robinson County/The Trip To Durrow”.

L’idea alla base del “progetto Mozaik”, come racconta lo stesso Irvine, arrivò un giorno durante un tour australiano: mettere insieme alcuni dei musicisti cui si sentiva più legato allo scopo di fare un tour australiano. Senza pensarci su, seguì un vorticoso giro di email con i prescelti, e fortunatamente tutti erano disponibili.

Ma lasciamo che sia lo stesso Irvine a presentare gli elementi della band: “Donal Lunny non ha bisogno di alcuna presentazione, essendo ormai al centro della musica irlandese da oltre trenta anni. Uno dei musicisti irlandesi più innovativi, oltre che uno dei miei più cari amici, sin dai tempi dei Planxty. È anche una persona preziosissima all’interno di qualsiasi band: essendo anche un arrangiatore, lui “sente” la posizione di ciascun musicista al suo interno, e riesce a creare qualcosa di unico dall’unione delle varie personalità artistiche che partecipano al gruppo. Insomma, fa da “collante”, e nel momento stesso in cui lui ha detto di sì ero già certo che avevamo l’asso nella manica. Avevo incontrato Nikola Parov verso la metà degli anni Settanta a Budapest, dove suonava con il suo gruppo di musica balcanica Zsaratnok. Lo strumento musicale che Parov non sia in grado di suonare, ancora non è stato inventato! Con me aveva già suonato, oltre alla gadulka, lo strumento tipico bulgaro (una specie di rebecca ad arco), la gajda (cornamusa bulgara), il kavai, (un flauto bulgaro), la chitarra, il bodhrán e il clarinetto. Altro elemento che aveva già suonato con me, insieme a Parov, nel mio East Wind Trio, era l’olandese Rens Van Der Zalm, che conosco dal 1969 e di cui, musicalmente parlando, non saprei proprio fare a meno: la sua inventiva alla chitarra, al mandolino e al fiddle è unica, ma è bravissimo anche all’accordion, al tin whistle e al basso. E poi c’è Bruce Molsky, che conobbi a un party a casa sua in Georgia: in quell’occasione cantò una canzone, accompagnandosi al violino, che era la cosa più simile a quella Old Timey music americana degli anni Venti e Trenta che tanto mi affascina da sempre. La band era fatta. Restava da darle il nome: Donal Lunny e io nel 1985 avevamo fatto parte di un gruppo di musicisti provenienti da varie nazioni europee che si chiamava Mosaic, e quando proposi un nome simile, ma con uno spelling differente, accettarono tutti…

Così Andy Irvine. Narrano le cronache che a quel punto Donal Lunny arrivò da Dublino, Nikola Parov da Budapest e Molsky da New York, tutti a riunirsi a Irvine e Van Der Zalm, già in Australia. La cosa incredibile, visti i risultati delle splendide registrazioni di Live From The Powerhouse, è che i cinque musicisti ebbero a disposizione per provare i brani, prima del concerto di esordio, solo sei giorni! Sei giorni di prove senza soluzione di continuità, tra brani Old Timey, intricate melodie est-europee in tempi assurdi (22/16, 9/16,15/16 e così via…) e classici della tradizione irlandese, con Parov (anche) nelle vesti di cuoco, e Lunny a organizzare il tutto.

L’idea di combinare musica celtica e dell’est europeo non è nuova, e da sempre è proprio il curioso Irvine ad avventurarsi in simili territori: praticamente non c’è suo disco, anche con i Planxty e con i Patrick Street, che non veda qualche escursione in chiave balcanica. Spesso si tratta di “prove” difficili per orecchie abituate ai semplici ritmi della musica irlandese, e anche su questo argomento, di recente, Andy Irvine è tornato a spiegare il suo punto di vista: “Bisogna allenarsi molto tempo a suonare in queste scansioni ritmiche, prima di riuscire a padroneggiarle in maniera opportuna; ma devo anche ammettere che dalla musica balcanica ho preso solo quello che mi interessava, tralasciando molte altre cose. In altri termini non mi sono mai voluto immergere completamente in quella musica. La maggior parte dei brani bulgari è in 2/4 e in 6/8, e francamente di molti di essi se ne può fare tranquillamente a meno. Fin dall’inizio, è stata la scansione ritmica a intrigarmi: solo dopo qualche tempo ho compreso che potevo continuare a suonare in 4/4 partendo dal loro 7/8 e semplicemente aggiungendo una battuta!

Così, Live From The Powerhouse, realizzato dalla Hummingbird Records (http://www.hummingbirdrecords.com/) e pubblicato da Compass Records (http://www.compassrecords.com/), anche se non è il “tipico” disco di musica irlandese (e neppure "celtica", se preferite) – ma d’altra parte, con le premesse di sopra sarebbe strano il contrario – è a nostro parere un gioiello imperdibile per qualsiasi appassionato di musica etnica, con le sue veloci, spesso imprevedibili scorribande tra le tradizioni europea e americana. Un disco affascinante, senz’altro il più interessante in cui ci siamo imbattuti negli ultimi mesi, che ci mostra ancora una volta lo spessore artistico del grande Andy Irvine, come sempre abilissimo a scegliersi compagni di avventura veramente all’altezza della situazione. Un disco imperdibile.