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Mark Saul – Mixolydian Intervista di Alfredo De Pietra Le bagpipes, come non le avete mai sentite! Uno strumento tradizionale su un tappeto di elettronica. A prima vista un’operazione quasi “pericolosa”, in realtà un’intelligente e gradevole new direction per uno degli strumenti più classici della tradizione scozzese. Forse la chiave di comprensione di questo album che vi andiamo a presentare è tutta nel titolo di uno dei suoi brani, “It’s An Instrument”. Sostiene infatti il suo autore, il funambolico piper australiano Mark Saul: “Una delle cose che cerco di instillare nei miei allievi è di trattare la cornamusa scozzese come uno strumento, alla stessa maniera di uno studente di violino, o di oboe o di clarinetto: perché dopo tutto si tratta di uno strumento. Mentre invece quello che la maggior parte dei puristi sostiene è che si tratta sì di uno strumento, ma che nasce ed è destinato a suonare solo musica per cornamusa. Ed è sbagliato, profondamente sbagliato: deve essere invece uno strumento che nasce per eseguire musica. Senza altri aggettivi, musica e basta!” Questa è la filosofia artistica di Mark Saul (http://marksaul.tv/), filosofia trasportata di pari passo in questo suo album, intitolato misteriosamente Mixolydian: un disco il cui autore non esita a suonare le sue Scottish bagpipes addirittura in un blues in 6/4 (!) emblematicamente intitolato “Forget The Golden Rules”, ovvero “scordatevi le regole”... E naturalmente non è solo un discorso di metrica o di genere: la rivoluzione di Mark Saul è indirizzata essenzialmente nella direzione – molto rischiosa, quando si tratta di strumenti tradizionali – della fusione più completa e totale con l’elettronica: musica per bagpipes e per low flute certo, ma inserita in una giungla elettronica sempre più spinta verso una specie di “new global dance music”. Un po’ Hevia e un po’ Mike Oldfield, il piper australiano, che suona praticamente tutti gli strumenti presenti su Mixolydian, con l’eccezione delle chitarre (Simon Rowley, Don Stewart), del banjo e del fiddle (Hamish Davidson, Maryanne Rotschild). Da dove nasce il titolo Mixolydian? “Mixolydian è il nome di una particolare scala musicale. Sostanzialmente è simile alla normale scala maggiore, ma la settima nota della serie è anticipata di un semitono. La cornamusa scozzese suona secondo una scala di tipo mixolidio, e ho scelto questo titolo per il CD perché riassume l’essenza stessa della cornamusa in una sola parola. E la cosa divertente è che molti suonatori di bagpipes ignorano che il proprio strumento suona secondo questa scala, quindi mettiamoci anche uno scopo scherzosamente educativo!” Ma qual è il suo percorso musicale? Insomma, lei è un musicista tradizionale con la passione per la musica elettronica o sta facendo questo percorso nella direzione inversa? “Veramente sin da quando ero giovanissimo ho amato un po’ qualsiasi tipo di musica, dalla classica all’elettronica, passando anche per il folk. Quando però si è trattato di iniziare a suonare uno strumento mi sono appassionato alle Highland bagpipes, anche se non ho alcun tipo di ascendenza scozzese. Suonando la cornamusia ho iniziato a esplorare la musica tradizionale di altri Paesi celtici come l’Irlanda, la Bretagna e la Galizia, ma anche altri versanti sonori, come la musica bulgara e macedone. Per anni ho suonato con un approccio assolutamente tradizionale sia le bagpipes che il flauto in vari contesti, ma nel frattempo continuavo a coltivare la mia passione per la musica elettronica. Ecco, forse quello che è successo è che questi due interessi, rimasti separati per un certo periodo di tempo, ora finalmente sono riusciti a trovare un punto di incontro!” E come mai ha deciso di iniziare a suonare proprio la cornamusa? “Era da tempo che lo avevo in mente, sin da ragazzino a dire il vero, ma chissà perché, ero convinto che per farlo bisognasse essere uno scozzese! Poi un giorno vidi un mio coetaneo – all’epoca avevo dodici anni – che la suonava, ed era di evidenti origini asiatiche! Quel giorno stesso decisi di smetterla con i miei scrupoli…” Sicuramente conoscerà la musica di Hevia. Vede qualche punto in comune con la sua musica? “Sì, di recente ho scoperto la musica di Hevia. Un grande musicista, riesce a fare cose fantastiche. Ritengo però che, pur avendo probabilmente alcuni punti di partenza in comune, le nostre opere finiscano per prendere strade molto differenti. Martyn Bennett è un altro artista che riesce a fondere con successo l’elettronica con le cornamuse e con gli altri strumenti della tradizione celtica. Insomma, credo che il potenziale di questa fusione tra strumenti tradizionali ed elettronica sia enorme, e che stiamo solo iniziando a vederne i possibili risultati.” Che ci dice della popolarità della musica celtica in Australia? “Lo scenario australiano della musica celtica attualmente è ricchissimo, con tanta ottima musica sia nei pub e nei bar, che nei tanti grandi festival folk che si succedono da noi. Credo che ciò dipenda in buona parte dall’immigrazione di tanta gente originaria di Paesi di origine celtica nei primi anni della colonizzazione del Continente australiano.” E in questo scenario, ci sono altri musicisti che adottano il suo stesso approccio? “Che io sappia, nessuno! D’altronde la musica celtica per lo più si avvale di una strumentazione acustica, e poi la musica elettronica è vista sempre come qualcosa di sperimentale. Insomma, non capita spesso che questi due mondi si incontrino! Ma lei, attualmente, cosa ascolta di solito? “Mi piace ascoltare il maggior numero di stili e di tipi di musica possibile. Cerco sempre di imparare a conoscere le mille sfaccettature della musica, capire il modo in cui avviene la creazione dei vari generi musicali e comprendere le tecniche di suono dei vari strumenti, anche perché cerco poi di importare queste influenze e queste nuove idee nelle mie creazioni musicali.” Ovviamente non si tratta di un album che ci sentiamo di consigliare ai puristi. Basterà però ascoltare il brano, tratto da Mixolydian, presente sulla nostra compilation di questo mese, l’entusiasmante “Journey To The Centre Of The Celts” per avvertire nettamente lo spessore artistico e le qualità compositive di Mark Saul, un nome sul quale ci sentiamo di scommettere per il futuro.
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