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Máirtín O’Connor: The Road West Eclettismo, naturale curiosità ed un notevole senso d’indipendenza sono le riconosciute caratteristiche artistiche di Máirtín O’Connor, accordionist noto ai più per la partecipazione alla band originale di Riverdance, show cui ha partecipato sin dall’esordio e per un periodo di un anno e mezzo. Máirtín è naturalmente orgoglioso di quella esperienza, ma se ne sente tuttavia discretamente lontano da un punto di vista emotivo, spinto da uno spirito critico che lo pone in un continuo stato di ricerca delle proprie radici musicali, tenendo tuttavia ben presente che, vivendo ormai in un ventunesimo secolo intriso di globalizzazione anche in senso musicale (e ciò non è necessariamente da intendere come un fatto intriso di connotazioni negative), non ha oggi molto senso per un musicista chiudersi esclusivamente all’interno delle proprie tradizioni musicali, ignorando le molteplici influenze artistiche cui oggi siamo tutti assoggettati. Máirtín O’Connor nasce nel 1955 a Barna, nella Contea di Galway, e proprio a Galway, dove vive ancora oggi, trascorre gli anni della sua adolescenza. Come spesso accade per i musicisti irlandesi, l’adolescente Máirtín riceve una spinta verso la musica dall’interno della propria famiglia (entrambi i nonni paterni suonavano infatti la fisarmonica). Dopo aver seguito per qualche tempo studi di elettronica, il giovane accordionist inizia la propria carriera musicale nel 1976 accompagnando i cantanti Thom Moore e Janie Cribbs ed il chitarrista Gerry O’Beirne. Nel 1978-79 fa parte della band Midnight Well, nel 1980 suona con i Boys of the Lough, ed agli inizi degli anni ’80 è in tour in Europa ed in America con la Reel Union di Dolores Keane. La sua popolarità ha un improvviso balzo in avanti nel 1983, anno in cui Máirtín si unisce ad una delle bands più popolari di tutta la storia recente della musica irlandese, i De Dannan. Assieme ed essi rimane fino al 1987, per poi suonare con il violinista Gerry O’Connor ed in seguito con il gruppo Skylark (1992-95). Il 1995 è l’anno della consacrazione, con il già citato Riverdance; successivamente all’abbandono volontario dello show, Máirtín O’Connor partecipa in qualità di ospite a diversi progetti musicali ed incide alcune colonne sonore. A fianco della carriera musicale sopra descritta, sono da segnalare le incisioni discografiche a proprio nome: l’album di esordio di Máirtín O’Connor, The Connachtman’s Rambles (1978), prodotto da Donal Lunny, è tutto sommato il più tradizionale dell’accordionist di Galway City, ma è un LP che non lascia prevedere l’eclettismo che sarà presente all’interno delle future incisioni discografiche. Trascorrono infatti 12 anni, ed il successivo album Perpetual Motion prende il nome dal Moto Perpetuo di Paganini, andando inoltre ad attingere a generi musicali “lontani” come ragtime, walzer di origine francese ed italiana, una polka ucraina, un fandango di origine basca…Il rischio di tale operazione potrebbe essere un guazzabuglio di sapori e colori troppo diversi tra loro, ma la sensibilità artistica e la grande maestria tecnica di Máirtín O’Connor riescono ad evitare accuratamente tale pericolo, riuscendo a trovare inattesi, splendidi punti di contatto tra questi generi musicali e la musica irlandese. Nel 1993 Máirtín pubblica Chatterbox, interamente costituito da composizioni proprie, ed anche in questo disco riesce a mescolare in modo intelligente Irlanda, Mediterraneo, musica classica e musica dei Balcani. A questo disco, come al precedente Perpetual Motion, partecipano musicisti importanti come i chitarristi Steve Cooney e Jimmy Faulkner, i fiddlers Nollag Casey e Máire Breatnach, il pianista Micheál Ó Suilleabháin ed il percussionista Tommy Hayes. L’occasione di conoscere ed intervistare Máirtín O’Connor ci è stata fornita dal concerto che l’accordionist di Galway ha tenuto lo scorso settembre a Palermo in qualità di guest star del gruppo palermitano Aes Dana, nell’ambito dei festeggiamenti per i 140 anni della Provincia Regionale di Palermo. Gli Aes Dana di Giuseppe Leopizzi hanno quasi costantemente basato il proprio repertorio, nei circa venti anni della loro carriera, sull’unione tra musica irlandese e sonorità mediterranee, spesso con interessantissimi risultati (una delle loro composizioni, “Frontiera”, ha vinto l’anno scorso a New York uno dei premi del John Lennon Songwriting Contest per la categoria world music). In questo senso, alla luce delle caratteristiche artistiche di Máirtín O’Connor, era prevedibile un buon connubio, musicale ed emozionale, tra il gruppo siciliano e l’accordionist irlandese: il concerto in questione ha confermato, e superato, le aspettative della vigilia, denotando un grande affiatamento tra la band siciliana e la guest star irlandese durante l’esecuzione dei brani, tratti da Riverdance e dall’ultimo CD di Máirtín, The Road West, in uscita in questi giorni. A ulteriore conferma di ciò è da rilevare la presenza dell’accordion di Máirtín O’Connor in alcune track del prossimo CD degli Aes Dana. Questo recentissimo The Road West è, ancora una volta, una dimostrazione dell’eclettismo musicale di Máirtín O’Connor. E’ un disco freschissimo, pieno di gioia di vivere, ispirato dalle sensazioni semplici che possono accompagnare la vita di ogni giorno: i titoli dei brani fanno infatti riferimento ad una strada affollata di gente che fa shopping, al continuo alternarsi, tipico del clima irlandese, tra acquazzoni e squarci di sereno, ad una corsa in macchina tra le strette e tortuose strade del Connemara, alla ingenua domanda di un bambino, cui è impossibile dare una risposta… Dal punto di vista prettamente musicale anche in questo CD brilla la grande maestria strumentale di Máirtín, che oltre ad alcune slip jig, reel ed hornpipe, arriva ad esplorare generi musicali quali il reggae (Sunshine and Showers), lo swing stile anni ’30 (Shop Street) ed il walzer (The Venusian Waltz). Decisamente non si tratta di un disco per puristi, ma è comunque un ottimo esempio di musica tradizionale irlandese proiettata nel mondo del XXI secolo. La lista dei collaboratori, molto lunga, comprende tra gli altri Séamus O’Dowd alla chitarra, Nollag Casey e Máire Breathnach al fiddle, Garry O’Briain alle tastiere, Brendan O’Reagan al bouzouki e Liam Bradley alle percussioni. The Road West è distribuito in Italia dalla I.R.D. di Milano. Máirtín può essere contattato all’indirizzo email moco@eircom.net Abbiamo incontrato Máirtín la sera successiva al concerto di Palermo, dopo una calda giornata trascorsa dall’accordionist tra gli scogli del mare di Scopello: E allora Máirtín, innanzitutto questa sua prima esperienza siciliana…“Assolutamente fantastica! Era da tempo che desideravo venire in Sicilia, avevo letto tanto al riguardo…e sai, quando vai in un posto con delle idee preconcette, spesso poi vai incontro a delusioni, ma questi posti sono andati molto al di là delle mia aspettative. Splendide le persone che ho incontrato, generosissime e piene di calore; poi la bellezza fisica dei luoghi, l’intensità dei colori, la temperatura, il cibo, il mare….Se poi ti riferisci all’aspetto musicale, è stata una piacevole esperienza anche da questo punto di vista: per me è stato interessante, e anche gradevole, riproporre alcuni dei brani di Riverdance, che non suonavo già da quasi cinque anni, in un contesto diverso da quello dello show originale. Ed il livello dei musicisti era veramente notevole. Ci siamo veramente divertiti, non so se si è avvertito, ma per me è stato un concerto veramente divertente…” A proposito di Riverdance, ha appena detto che non suonava questi brani da diversi anni. Cosa pensa di questo show a distanza di tanto tempo? “Senza alcun dubbio Riverdance è stato un evento importantissimo per tutta la musica irlandese. Tra l’altro sulla sua scia credo siano nati una ventina di altri show imperniati sulla musica e sulla danza irlandesi: evidentemente c’è tutt’ora molto spazio per questo tipo di spettacoli... Dal mio punto di vista, essendo stato uno dei musicisti che hanno partecipato al “fenomeno Riverdance” sin dai suoi esordi, devo ammettere che all’inizio fu per me un’esperienza veramente eccitante. Anche la prospettiva di poter avere un lavoro di questo tipo, in un certo senso stabile ed a tempo indeterminato era, per noi musicisti che partecipavamo allo show, molto stimolante. Solo, dopo un certo periodo di tempo, ho cominciato ad avvertire in misura sempre maggiore la nostalgia di casa, la necessità di vedere crescere i miei quattro figli, di trascorrere più tempo con la mia famiglia. Non potevo sopportare l’idea di tornare a casa, magari dopo anni on tour con Riverdance, ed accorgermi di aver perso irrimediabilmente alcuni anni della vita dei miei figli, che per me sono la cosa di maggior importanza, di maggior valore nella vita… Ma a parte queste considerazioni familiari, mi sono anche reso conto del fatto che il suonare gli stessi brani nello stesso show, sera dopo sera sempre nella stessa, identica maniera, andava contro il mio modo di intendere la musica, per cui dopo circa un anno e mezzo decisi di lasciare Riverdance. Tornando al concerto di ieri, quello che intendevo dire è che lo stesso fatto di estrapolare i brani musicali di Riverdance dal loro contesto originario, riproponendoli come ieri sera in una differente situazione musicale, li rende ai miei occhi nuovamente interessanti e gradevoli. Quella di Riverdance rimane comunque per me un’esperienza fantastica”. Resta comunque il dato di fatto che il suo nome, e quindi gran parte della sua popolarità, rimangono legati a questo show, anche se in seguito lei ha partecipato a molti altri progetti… “Per me questo non è assolutamente un problema, perché Riverdance è senz’altro il progetto di maggiore popolarità cui io abbia mai partecipato: è comprensibile che il pubblico associ un musicista alla sua esperienza più importante. Certo, nel corso di questi ultimi cinque anni ho partecipato a molte altre realtà musicali, che indubbiamente mi rappresentano in maniera più appropriata che non Riverdance, ma comunque il fatto che il pubblico associ il mio nome a questo grande show per me non costituisce un problema”. Ovviamente le capita spesso di suonare musica irlandese in varie parti del mondo, e spesso, come in questa occasione, insieme a gruppi locali. Trova grandi differenze nell’approccio a questa musica, a seconda del luogo in cui si trova? “Sì, ma è naturale aspettarselo…guardi, è come questa discussione tra noi due: lei è italiano, io sono irlandese, e stiamo comunicando tra di noi in inglese. Ma se per ipotesi qualcuno trasmettesse quanto stiamo dicendo alla radio, di certo un inglese capirebbe che si tratta di dialogo tra un irlandese ed un italiano, o forse uno spagnolo; anche ascoltando un dialogo tra un inglese ed un americano è facile per chiunque capire chi è l’americano. E’ una questione di accenti, se vuole anche di personalità, e lo stesso succede nella musica: per esempio quando suono in Italia ho spesso l’impressione che i musicisti italiani, quando eseguono delle jig spesso, senz’altro inconsapevolmente, le suonino in un modo, come dire, “arrotondato”, “circolare”, che in un certo senso mi ricorda le cadenze della tarantella, mentre probabilmente noi suoniamo in un modo più “squadrato”…ma è perfettamente normale che sia così: è giusto, e anche bello, che chiunque porti nella musica che esegue le proprie tradizioni”. Ascoltando questo suo ultimo CD si ha la conferma della sua poliedricità: anche nell’ambiente musicale irlandese la sua immagine è di un musicista eclettico, di certo non chiuso all’interno della musica tradizionale irlandese. E questo porta ad un’altra domanda: spesso c’è una certa polemica tra i fautori dell’innovazione ed i puristi dell’Irish music… “Innanzitutto, per me è sempre un gran piacere suonare la musica tradizionale irlandese: è la musica delle mie origini, non posso fare a meno di amarla. Andando a questo ultimo CD, è costituito interamente da mie composizioni, per cui è stato molto semplice per me esplorare liberamente nelle più varie direzioni: in fondo è proprio questo l’aspetto che mi entusiasma maggiormente in sala d’incisione. E’ possibile che domani io decida di fare un disco in maniera molto “tradizionale” o “purista”, se preferisce: non avrei alcun problema a farlo, mi sentirei perfettamente a mio agio, e probabilmente mi divertirebbe anche farlo. Il fatto è che personalmente mi sento bene anche quando suono in modo più innovativo: mi riesce naturale inserire nella mia musica elementi jazz, o anche musica classica, o perfino reggae… Certo, alcuni avvertono in modo molto forte, quasi ossessivo, il senso della tradizione, arrivando a sostenere che la musica irlandese dovrebbe essere eseguita esclusivamente in modo solistico, senza accompagnamento, e questo è un fenomeno maggiormente presente in America: è un’opinione rispettabilissima, ma è ugualmente valida l’opinione di coloro che vedono la musica come un qualcosa da condividere, che ritengono cioè che la cosa fondamentale sia suonare insieme. Alla fin fine l’unica cosa certa è che in questo campo non esistono regole, o peggio ancora leggi, che debbano valere per tutti. Nel mio caso ritengo che quando registro un disco, o faccio un concerto, di certo la mia origine di musicista tradizionale irlandese sia innegabile, ma non posso per questo rinnegare il resto della musica che prediligo. Possono coesistere molte possibilità espressive all’interno di un unico contesto…” Un’ultima domanda: in questo suo ultimo CD c’è un brano ispirato al forte dibattito che c’è stato in questi ultimi decenni in Irlanda sulle origini autentiche della musica irlandese, se sia più o meno “celtica”… “Tutto nasce da una serie di documentari, denominati “Atlantean”, realizzati alla fine degli anni ’70 da Bob Quinn, tra parentesi un mio grande amico. In essi veniva addirittura messa in discussione la stessa nozione, normalmente data per scontata, dell’origine celtica del popolo irlandese. Per esempio ben pochi sanno che uno dei simboli stessi dell’Irlanda, il trifoglio, è un vegetale di origine medio-orientale; Bob con Atlantean è riuscito a dimostrare legami sino allora insospettabili tra l’Irlanda e l’Africa settentrionale: la via di arrivo sarebbe stata tramite il Portogallo, poi la parte settentrionale della Spagna, poi ancora la Bretagna ed infine l’Irlanda, attraverso l’Inghilterra. In questi documentari furono fatti alcuni interessanti esperimenti: ad esempio fu osservato che il nostro stile di canto solistico, lo sean nós, ha sbalorditive somiglianze con il modo di cantare di alcuni gruppi di anziani dell’Africa del Nord. Analizzando in parallelo le sonorità e le modalità canore dello sean nós e di questi canti africani era molto difficile distinguere l’uno dagli altri: l’espressione vocale, l’intero feeling del canto risultavano, incredibilmente, praticamente identici. Personalmente anch’io ricordo di aver ascoltato una volta alla radio un brano di musica africana, anche se non ricordo di quale parte dell’Africa, e come d’incanto in quell’occasione mi venne in mente una vecchia jig irlandese: incredibile, le due linee melodiche erano virtualmente identiche! Ed anche la scansione ritmica era quasi sovrapponibile… Alla luce di tutto questo, io ritengo che tutta l’esperienza del cosiddetto mondo celtico sia molto affascinante, ma per quanto riguarda le nostre origini, intendo le origini del popolo irlandese, credo ci sia ancora molto da scoprire, con legami tra l’Irlanda ed altre parti del mondo tutt’ora insospettabili per la maggior parte di noi irlandesi”. …e forse anche questo spiega il suo interesse musicale nei confronti della musica del Mediterraneo, dell’est europeo… “Sì, ma per me non è un fatto cercato, o voluto…Non è che mi sieda a tavolino e dica: “Ora faccio un brano ispirato alla musica africana, domani musica dell’est…”. Per qualche motivo a me sconosciuto, specialmente quando mi trovo in sala d’incisione, le singole track possono evolvere verso determinate direzioni, impreviste all’inizio: se il punto di partenza di un brano che ho in mente è “A”, poi alla fine magari arriverò ad un punto “B” totalmente differente dalle premesse iniziali, e Dio solo sa quali processi mentali, quali percorsi musicali inconsci siano coinvolti in questo processo creativo… A parte questo, mi è sempre piaciuto ascoltare qualsiasi tipo di musica, oltre naturalmente alla musica tradizionale irlandese: come le ho già detto ascolto molta musica classica, il jazz degli anni dello swing, la musica dell’est europeo; e poi sono entusiasta, come molti altri miei colleghi in Irlanda, della musica da ballo dell’Italia meridionale: le tarantelle sono entusiasmanti, le trovo molto simili, nello spirito, alle nostre jig. Quello che voglio dire è che per me è motivo di gioia esplorare tutti questi mondi sonori e che, in qualche modo che non so spiegare, tutte queste mie esperienze di ascolto possono affiorare qua e là nella mia musica…Divertente, non trova?”
Intervista di Alfredo De Pietra Máirtín O’Connor – Rain Of Light Intervista esclusiva da Galway di Alfredo De Pietra Musica…pirotecnica! L’accordionist di Galway è per certi versi “il sale” della musica irlandese: presente in molte produzioni discografiche degli ultimi decenni, ci propone questa volta un album commissionatogli dalla direzione artistica del St. Patrick’s Festival di Dublino. La reputazione di cui gode un musicista si può intuire anche da certe piccole cose. Prendiamo in considerazione la compilation di questo numero di “Keltika”: ebbene, Máirtín O’Connor vi è presente, oltre che con il suo ultimo CD, anche negli album di Séan Keane e degli Aes Dana. E se dovessimo andarlo a cercare nei CD che recensiamo mensilmente, siamo certi che vi troveremmo il suo nome molto frequentemente. D’altra parte difficilmente si può trovare un musicista così aperto e curioso, quasi ansioso di cimentarsi in sempre nuove avventure. Non si tratta quindi un semplice session man, ma piuttosto di un artista cui molti si rivolgono, certi che il buon Máirtín sarà comunque in grado di impreziosire con la sua presenza il loro prodotto. E la reputazione di cui gode in patria O’Connor è testimoniata anche dalla sua ultima produzione discografica, intitolata Rain Of Light, ovvero “pioggia di luce”. Sì, perché proprio di fuochi pirotecnici qui si parla, trattandosi della colonna sonora commissionatagli in occasione dell’ultimo St. Patrick’s Festival, a Dublino. Una nuova sfida, che l’accordionist ha accettato con l’entusiasmo che lo contraddistingue: Máirtín ha raccolto per l’occasione Garry O’Brian (tastiere e mandocello), Kenneth Edge (sax e clarinetto), Seamus O’Dowd (chitarra), Cathal Hayden (fiddle e banjo), e i percussionisti Danny Byrt e Jimmy Higgins. Abbiamo parlato con Máirtín O’Connor di questa sua nuova avventura, tra mille aneddoti e battute, seduti al tavolo di un ristorante di Galway in una piovosa giornata di agosto, in compagnia anche di Cathal Hayden, uno dei membri dei Four Men and A Dog. Máirtín, come nasce questo suo ultimo album? “Un giorno ricevo una telefonata da parte di Dominic Campbell, il direttore artistico del St. Patrick’s Festival a Dublino, che mi chiede se sono interessato a scrivere una suite musicale che accompagni i fuochi d’artificio che si sarebbero svolti nel corso del festival per le celebrazioni di San Patrizio. Ho accettato, e così la mia musica ha avuto una platea di oltre 400.000 persone, lo scorso marzo, e inoltre è stata trasmessa in diretta sia alla radio che in televisione. La compagnia di fuochi pirotecnici – francese – si chiamava Group F: bravissimi, e noti in tutto il mondo. Uno spettacolo veramente indimenticabile.” Lei è praticamente onnipresente: molti dei dischi di musica irlandese la vedono tra i protagonosti. Ma tutto sommato, in che direzione sta andando la sua musica oggi? “Mah…forse la mia musica va semplicemente là dove mi porta la mia immaginazione! Tornando a questo mio ultimo album, che evidentemente è un disco “a tema”, mi sembra che emerga essenzialmente un soggetto, quello dell’emigrazione, della diaspora irlandese, senza dubbio strettamente connesso alle celebrazioni per San Patrizio.” Particolari differenze rispetto ai suoi dischi precedenti? “Trattandosi, appunto, di un disco “a tema”, con ben due suite, forse potrà risultare meno “leggero” rispetto al precedente…” Lei è appena reduce da una serie di concerti con una sorta di supergruppo, questo “Between The Jigs And The Reels”…. “Between The Jigs And The Reels” è stato uno spettacolo entusiasmante. Abbiamo fatto dieci date a Galway, e tra l’altro ho avuto modo, al suo interno, di eseguire la mia suite “Rain Of Light”…purtroppo senza fuochi d’artificio, evidentemente. Da sottolineare in “Between The Jigs And The Reels”, a parer mio, le parti vocali, ad opera della famiglia O’Dhomhnaill: Maighread, Triona e Michael, e le uilleann pipes di Paddy Keenan.” Progetti futuri? “Mi preparo per l’inverno!…No, scherzi a parte, ho diversi sentieri musicali che mi accingo a perlustrare. Per l’anno nuovo sono in cantiere alcune opzioni molto interessanti, compreso un tour in Cina, che per me sarebbe un’esperienza del tutto nuova.” In Cina, quindi…e in Italia? “Al momento non vi è nulla di programmato per quanto riguarda l’Italia ma certo, ogni volta che vengo da voi non vorrei più andare via. Ho splendidi ricordi della mia permanenza in Sicilia, ad esempio, e quest’estate sono stato in vacanza con la mia famiglia in Sardegna. Quindi, qualora si presentasse l’occasione, sappiate che sono sempre pronto a tornare in Italia.” Anche lei ora si è deciso ad aprire un sito web…(http://mairtinoconnor.com) “Sì, ma non è opera mia, di queste diavolerie non mi occupo. È stato realizzato da un mio amico olandese. Magari io l’avrei fatto in un altro modo, ma in questo campo decide lui.” Per finire, un breve commento su alcuni dei brani di Rain Of Light che ci hanno particolarmente colpito: “The Emigrant”, “St. Patrick’s Dream”, “The Snake”… “Nella suite “The Emigrant” affronto il tema della tristezza dell’emigrazione, ma tuttavia con un fondo di ottimismo. Sino a poco tempo fa, come ben saprà, l’Irlanda è stata terra di emigrazione, e i bambini originari del Connemara spesso conoscono meglio Boston che Galway. Quanto agli altri due brani da lei citati, si dice che San Patrizio ebbe molte visioni, una delle quali si riferiva agli irlandesi che lo richiamavano indietro, dopo che aveva lasciato l’isola di smeraldo alla volta dell’Inghilterra. Un’altra cosa nota, a proposito di San Patrizio, è che cacciò i serpenti dall’Irlanda. Ora, io speravo che in “The Snake” i fuochi d’artificio potessero in qualche modo raffigurare San Patrizio che inseguiva i rettili, ma purtroppo mi è stato risposto che era impossibile, a meno di spezzettare il serpente in più frammenti. Quindi temo che il serpente continui ad esistere da qualche parte, tra le tracce del mio disco…” E il brano scelto a presentare Rain Of Light ai lettori di Keltika, “Finale (Rain Of Light Reel)”? “Si tratta sostanzialmente di un reel in cinque parti, che per certi versi ha un feeling abbastanza tradizionale, ma che rimane tuttavia una composizione originale, e quindi contemporanea: si sviluppa per linee melodiche molto tradizionali, che si alternano con altre sincopate. Tutto ciò era necessario per fornire una notevole energia che accompagnasse il “gran finale” dei fuochi d’artificio.”
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