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“La figura storica di re Artù è oggetto di profonde controversie. Sono molte le ipotesi riguardanti la sua provenienza e la collocazione geografica della sua vita. I più ritengono si sia trattato di un condottiero romano-britannico che guidò il suo popolo contro gli invasori anglosassoni, nel periodo a cavallo tra il V e il VI secolo dopo Cristo. L’Artù della leggenda, quello la cui immagine è senza dubbio a noi più familiare, è invece frutto dell’opera di alcuni scrittori del XII secolo. Geoffrey Of Monmouth, Chretien de Troyes e Wolfgang Von Eschenbach, e in seguito Thomas Malory, concepirono con la fantasia una ricca e complessa serie di storie basate sulle leggende relative a questo grande re guerriero. Il Mabinogion, un grande poema di origine gallese, conferisce ad Artù una dimesione più “celtica”, e di certo la successiva saga del Graal deve molto delle sue origini ai Celti.” Un album su re Artù non potrebbe essere accompagnato da note di copertina migliori. Infatti proprio al leggendario re Artù ha deciso di dedicare un disco la grande Maddy Prior, una delle figure “storiche” della musica tradizionale britannica, che a distanza di quasi trentacinque anni dall’esordio continua a confermarsi, anche con questo Arthur The King, una delle poche vere superstar della British folk music. “Il disco è centrato sulla figura storica di re Artù, per quanto in realtà non si sappia nulla di certo a proposito di questo personaggio” ha dichiarato di recente la Prior. “Abbiamo pensato a un ciclo di canzoni focalizzate sulla figura di questo re leggendario. Inizialmente devo ammettere che non sapevo molto su re Artù. Ho cominciato a leggere alcuni volumi su di lui, e mi sono resa conto che l’immagine che ne avevo, derivante dalla lettura delle sue gesta romanzate, scritte nel XII secolo, era tutto sommato abbastanza confusa. E sono rimasta sorpresa dal gran numero di teorie esistenti sul suo conto, tutte convincenti – tra l’altro – e suffragate da ottime argomentazioni: per alcuni era un condottiero celta di origini gallesi che combattè contro gli anglo-sassoni; per altri era un principe originario del regno di Rheged, a nord, e combattè i Pitti. Oppure era un cavaliere originario della Steppa che andò a combattere in Bretagna…insomma le teorie più disparate. Ecco quindi che quando abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto, abbiamo, per quanto possibile, cercato di seguire un filo che fosse il più verosimile possibile, sulla base di documentari e testi storici, cercando di sfrondare il personaggio di Artù da tutti gli elementi mistici e leggendari che ne hanno accompagnato la figura almeno fino agli anni ’70. Dal punto di vista musicale Nick Holland e Troy Donockley hanno avuto un ruolo molto importante nella composizione dei vari brani che compongono la suite: tutta la musica di “Arthur The King” è stata scritta da noi tre, pressochè in parti uguali, e siamo soddisfatti del risultato anche perché c’è veramente tanto di ciascuno di noi, in queste composizioni.” Siamo quindi alla presenza di un concept album, un album a tema: metà del CD, quella che ai tempi del vinile sarebbe stato il “lato A” è costituita da una suite di dieci brani aventi per tema un re Artù del tutto particolale. Consideriamo ad esempio i primi versi di “The Name Of Arthur”, brano che apre la suite: “Il poeta e il trovatore si sono impossessati del mio nome / Hanno nascosto la mia vera storia e mi hanno dato un nome falso / Sono stato un uomo di Legge, un imperatore, un capo / Ho combattuto per la mia gente, ho combattuto per i miei ideali.” E ancora, in “The Hallows”: “Dal mio nome è nato un sogno, una favola, un mito…” Le dichiarazioni programmatiche della Prior trovano quindi conferma: Artù è questa volta un re spogliato il più possibile dell’alone di leggenda, e calato in un’ambientazione storica abbastanza plausibile, ed evidente è il tentativo di separare il fatto dal mito: di sicuro con Arthur The King la lunga carriera della Prior si arricchisce di un album interessante, ambizioso e impegnativo, all’altezza delle migliori opere della grande cantante inglese. Maddy Prior, nata a Blackpool e cresciuta a St. Albans, venne alla ribalta verso la fine degli anni ’60 in coppia con il cantante e chitarrista Tim Hart: il duo si guadagnò ben presto una solida reputazione nel circuito dei folk club inglesi, rafforzata dalla pubblicazione di due dischi che ottennero lusinghieri giudizi da parte della critica specializzata, Folk Songs Of England Volume One e Volume Two. All’inizio degli anni ’70 i due si unirono a Ashley Hutchings, all’epoca con i Fairport Convention, con l’idea di formare una band che unisse canzoni tradizionali e strumentazione del rock. Ai tre si aggiunsero Gay e Terry Woods, e il gruppo prese il nome dal personaggio di una ballad tradizionale del Lincolnshire, “Horkstow Grange”: era la nascita degli Steeleye Span, la band che ebbe il merito di traghettare la folk music nell’universo dell’elettronica. Nel corso degli anni ’60 vi furono vari cambiamenti nella formazione della band, ma Tim Hart e Maddy Prior ne fecero parte costantemente, guidando gli Steeleye Span alla conquista di svariati dischi d’oro e d’argento, oltre che del pubblico dell’intero pianeta. Hart abbandonò la band nel 1980, e ciò coincise con un periodo di sbandamento degli Steeleye Span, che tornarono a suonare insieme solo nel 1986. Durante questo periodo Maddy non rimase certo a guardare: vennero pubblicati due album insieme a June Tabor – il duo si denominò Silly Sisters – ma non mancarono le partecipazioni a svariati progetti dei più importanti musicisti folk britannici, come Martin Carthy, Nic Jones, John Kirkpatrick e Danny Thompson, spesso anche in contemporanea con l’attività degli stessi Steeleye Span: con essi la Prior continuava ad esplorare il mondo della tradizione, mentre nei progetti solistici veniva prediletta la sperimentazione nell’ambito della composizione originale. Uno dei lavori più riusciti (A Tapestry Of Carols) vide la luce nel 1987 in collaborazione con The Carnival Band: il rapporto tra la Prior e questi musicisti è durato a singhiozzo per oltre dieci anni, periodo in cui sono stati pubblicati cinque album, in perenne oscillazione tra musica antica, inni sacri, musica tradizionale e classica. I tour natalizi di Maddy Prior & The Carnival Band sono diventati negli anni leggendari, come testimoniato dal recente album Carols At Christmas, registrato dal vivo. Il 1997 è un anno di svolta. Negli Steeleye Span rientra Gay Woods e viene pubblicato Time, giudicato il miglior disco della band degli ultimi anni. Seguono due lunghi tour, e al termine del secondo Maddy, dopo ben 28 anni di musica insieme, decide di abbandonare definitivamente gli Steeleye Span. La Prior infatti non riesce più a reggere certi ritmi: dividersi tra gli Steeleye, la Carnival Band, l’attività solistica e la famiglia diventa per lei impossibile, e si impone quindi una decisione. Maddy si concentra sulla attività solistica, e il 1997 è anche l’anno di Flesh & Blood, acclamato album che permette alla cantante di sperimentare una nuova formula musicale, grazie soprattutto alla presenza di Nick Holland (tastiere) e Troy Donockley (uilleann pipe, chitarre, low whistle, tin whistle, cittern), strumentisti che si adatteranno in modo perfetto al mondo musicale di Maddy e che diverranno suoi compagni di viaggio (e di incisione) fino a questo Arthur The King. Tornando alla suite in dieci movimenti dedicata a re Artù, particolare attenzione è stata posta dalla Prior, da Holland e Donockley anche nella composizione dei vari segmenti musicali, in particolare per quanto riguarda le strutture adoperate: “Sentry” ha la forma di un salmo, ad esempio, mentre “Tribal Warriors” fa uso di una semplice melodia modale che ha per sfondo un unico accordo: il concetto di armonia ai tempi di re Artù era evidentemente sconosciuto, e la cantante inglese ha voluto tener conto anche di questi particolari! La seconda parte dell’album comprende quattro brani tradizionali ed un’altra composizione del duo Prior/Donockley. Quando si è posto il problema di scegliere due brani che rappresentassero adeguatamente questo ottimo album sulla compilation di Keltika, abbiamo concordato con il responsabile della casa discografica Park Records che era preferibile rivolgersi proprio a due di questi traditional, sia perchè isolare una delle sezioni della suite “Arthur The King” non sarebbe stata operazione di buon gusto, sia perché i vari “movimenti” della suite scorrono concatenati uno dietro l’altro senza soluzione di continuità. Abbiamo quindi optato per due brani celeberrimi, presenti nel repertorio di molti grandi della folk music: ci è capitato di ascoltare “Reynardine” e “Lark In The Morning” in decine di versioni differenti, ma raramente con intensità e sensibilità paragonabili a quelle tratte da Arthur The King e presenti sul CD allegato questo mese alla nostra rivista. Ci si consenta infine una considerazione sulla voce di questa grande cantante: a oltre trent’anni dagli esordi, le sensazioni che Maddy Prior riesce a regalarci rimangono splendidamente immutate, un perfetto bilanciamento tra vecchio e nuovo, tradizione e nuove sonorità, nostalgia e sperimentazione, sensibilità e precisione. Un gran bel disco, Arthur The King, come solo una grande interprete ci poteva donare. Arthur The King è distribuito in Italia dalla I.R.D. di Milano, ma può essere acquistato anche direttamente presso la casa discografica Park Records, rintracciabile all'indirizzo web http://parkrecords.com/ e presso l'indirizzo di posta elettronica info@parkrecords.com Testo di Alfredo De Pietra Testo di Alfredo De Pietra Nelle vesti di una regina. Dopo la precedente esperienza di Arthur The King, Maddy Prior prende questa volta in considerazione le gesta di Riccardo Cuor di Leone, immaginando di essere nei panni della madre di questi, Eleonora di Aquitania. Un interessante disco “a tema”, due brani sulla compilation di questo mese Buona la prima, avanti sulla stessa strada! Già, sembra proprio averci preso gusto, la grande Maddy Prior, nota ai più per essere da sempre una delle colonne portanti degli Steeleye Span: a poco più di un anno di distanza dall’ottimo Arthur The King, album a tema (anch’esso ospite, alcuni mesi addietro, della nostra testata) in cui veniva passata in rassegna, alla luce della sensibilità artistica della cantante inglese, la vicenda umana di re Artù, questa volta l’esperienza si ripete con la storia di Riccardo Cuor di Leone. È veramente un disco affascinante, questo Lionhearts. La sua impostazione è del tutto sovrapponibile al precedente Arthur The King: la prima metà delle track che lo compongono (diciamo il lato A dei vecchi 33 giri…) ripercorre la storia di Richard, soprannominato Lionheart, mentre nella seconda parte (…il lato B dei vinili...) Prior si diverte a interpretare alcuni brani tradizionali in modo veramente strepitoso. Anche la squadra rimane la stessa: a fianco della cantante inglese, la vera anima del disco è l’eclettico multistrumentista Troy Donockley (uilleann pipes, chitarra acustica ed elettrica, bouzouki, low whistle, tin whistle e voce), e anche questa volta troviamo alle più disparate tastiere (piano, piano Fender, organo Hammond, Moog…) Nick Holland. Alle percussioni fa la sua ottima figura Terl Bryant, e per finire anche questo disco, come il precedente Arthur The King, è pubblicato dalla oxfordiana Park Records (www.parkrecords.com) una delle case discografice oggi più attive nel campo della folk music delle isole britanniche. L’idea alla base di Lionhearts è di essere scritto e interpretato dal punto di vista di Eleonora d’Aquitania, moglie di Enrico II e madre di Richard. Eleonora era donna colta, elegante, sensuale, intelligente e abbastanza indifferente al giudizio dell’opinione pubblica. Già sposata in precedenza al francese Re Luigi, riuscì ad ottenere l’annullamento di quel matrimonio e in seguito sposò l’iperenergetico e iperattivo Enrico II: dalla coppia nacquero otto figli (Re Luigi, invece, doveva evidentemente avere qualche problema di sterilità). Amico di Enrico II sin dagli anni dell’adolescenza era Thomas Becket, nominato all’atto dell’incoronazione cancelliere, e in seguito arcivescovo di Canterbury con l’intenzione, da parte di Enrico, di porre la Chiesa sotto il proprio controllo. In modo inaspettato Becket prese però il proprio sacerdozio in modo molto serio, e invece di essere la marionetta che Enrico pretendeva fosse, si dedicò con tutta la propria astuzia e intelligenza a curare gli interessi della Chiesa, scontrandosi in maniera irrimediabile con il sovrano, che ne ordinò l’assassinio, e facendone indirettamente assurgere la figura a martire. Riccardo era il secondo dei figli di Eleonora ed Enrico: in origine era destinato a essere solo il Duca di Aquitania, dal momento che l’erede al trono inglese era per forza di cose il primogenito Enrico, che però ebbe vita breve. Ciò gli spalancò le porte della successione. Per gli inglesi, Riccardo era uno straniero, vista l’origine francese della madre (anche la sua lingua era il francese, ancor più dell’inglese), e anche perché si mostrava molto più interessato alle faccende internazionali che non agli affari interni. La sua passione erano le prove di abilità e di forza fisica: era un combattente e un condottiero impavido e valoroso, e trascorse i dieci anni del suo regno più a combattere gli infedeli in Terra Santa che a occuparsi delle questioni inglesi: insomma, quanto bastava perché i suoi sudditi lo considerassero un grande eroe, anche se perennemente assente. Questo per quanto riguarda la storia; la vicenda di Riccardo è passata in rassegna, su Lionhearts, dalle prime sei track del disco, tutti brani originali, composti dal trio Prior/Donockley/Holland: canzoni interessanti, in cui il “peso” del testo ha per forza di cose il sopravvento sulla parte musicale: l’uso di una strumentazione (relativamente) tradizionale fa da contraltare a composizioni per altro verso abbastanza moderne, in un connubio ambiziosamente in bilico tra vecchio e nuovo. È però nella “parte B” del disco, quella tradizionale per intenderci, che la classe di Maddy Prior esce – secondo abitudine – allo scoperto, e non a caso abbiamo scelto, a presentare questo Lionhearts sul nostro sampler mensile, proprio due brani traditional come la notissima “John Barleycorn” (ricordate i Traffic di Stevie Winwood, o anche il John Renbourn Group?), qui rielaborata in versione molto più “nervosa”; e una strepitosa “Yellow Handkerchief”, in cui la voce di Prior si conferma ancora una volta come uno dei veri punti fermi della musica folk britannica: si ha insomma la sensazione che dopo la sperimentazione della prima metà del disco l’artista (o la casa discografica?) abbia avvertito comunque il bisogno di tuffarsi in acque più conosciute e sicure, con un risultato che ci conferma, ancora una volta, la grandezza di una cantante e la bravura dei suoi accompagnatori. Da non perdere. |