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Molte sono le band irlandesi che continuano a rinverdire i fasti degli anni d’oro dell’Irish folk revival, ma i Lúnasa sono universalmente considerati, da pubblico e critica, un gradino più in su rispetto agli altri. È un dato di fatto che fin dal loro omonimo album d’esordio, registrato nell’ottobre del 1997, unanime è stato il coro di approvazione nei confronti di questo gruppo, un quintetto strumentale formato da musicisti ritenuti veri maestri dei propri rispettivi strumenti. Ed è anche una band formidabile nella dimensione live, con il merito di essere sempre riuscita (caso abbastanza infrequente nel panorama della musica irlandese) a trasportare l’energia dei loro concerti anche in sala di registrazione. I Lúnasa scelsero questo nome da un’antica festività del raccolto in onore della divinità irlandese Lugh, patrono delle arti. Si diceva del valore degli elementi che compongono il quintetto: il fiddler (ma suona anhe il whistle) Sean Smith, originario di Straide, nella contea di Mayo, si è anche aggiudicato il titolo di all-Ireland champion per il suo strumento, ed è particolarmente noto per la scorrevolezza del proprio stile, oltre che per la partecipazione al progetto “Coolfin” di Donal Lunny. Fu proprio Smith ad avere l’idea di formare la band, che inizialmente era un trio, costituito anche da Trevor Hutchinson e Donogh Hennessy. Il primo, contrabbassista, aveva suonato con i Waterboys dal 1986 al 1991, e con questa band aveva partecipato alla realizzazione di Fisherman’s Blues (1988) e di Room To Roam (1990). In seguito Hutchinson aveva inciso tre album con lo Sharon Shannon’s Group. Il chitarrista dublinese Donogh Hennessy è l’altro elemento ritmico dei Lúnasa: anche lui ex-Sharon Shannon’s Band, è universalemente riconosciuto come uno dei migliori chitarristi irlandesi. I Lúnasa degli inizi erano quindi un trio: fu proprio il loro successo a spingerli ad arricchire di altri colori la propria tavolozza musicale, e così entrarono nel gruppo lo uilleann piper John McSherry (anch’egli ex-Coolfin) e l’onnipresente Michael McGoldrick, che presto fu rimpiazzato dal flautista Kevin Crawford, figura ormai quasi leggendaria della scena musicale irlandese. Inizialmente la loro attività musicale era abbastanza sporadica, semplicemente perché ciascuno dei musicisti svolgeva altre attività: ad esempio Sean Smith faceva il medico a Galway, e Kevin Crawford presentava un programma musicale presso la stazione radio Clare FM. L’incredibile successo ottenuto dal loro secondo album Otherworld convinse i Lúnasa alla scelta della musica a tempo pieno nel 2000. Nel frattempo però John McSherry aveva deciso di percorrere altre strade musicali, rimpiazzato dal piper Cillian Vallely (fratello di Niall, suonatore di concertina nel gruppo Nomos). Tornando all’album di esordio, l’omonimo Lúnasa, recentemente ripubblicato dall’americana Compass Record con l’aggiunta di una bonus track non presente nel disco originale, e ospite di questo numero di “Keltika” con il brano di apertura “Eanáir”, si trattava di un mix di incisioni in studio e dal vivo, frutto del primo anno di attività musicale della band. Fu un album che andò subito incontro a un inaspettato successo, un vero best seller in Irlanda e uno dei migliori dieci dischi dell’anno, secondo il periodico americano “Irish Echo”. Gli arrangiamenti della band, assolutamente ricchi di inventiva, e la particolare sezione ritmica, caratterizzata dalla presenza del contrabbasso di Trevor Hutchinson e dalla chitarra percussiva di Donogh Hennessy spingevano la musica irlandese verso territori del tutto nuovi. Probabilmente è proprio un attento studio del ritmo la caratteristica principale, ma anche la carta vincente, dei Lúnasa. Stando infatti a quanto affermato dal fiddler Sean Smith: “Nella musica irlandese esistono moltissime melodie splendide, ma spesso la gente tende a trascurare le sottigliezze ritmiche presenti in questi brani. Nella nostra musica cerchiamo di fare in modo che lo swing e l’energia emergano, anche facendo uso di ritmi inconsueti, affinchè ciascuno degli strumenti abbia un suo proprio “livello” ritmico. Durante le prove suoniamo un pezzo per moltissime volte proprio per cercare di catturarne il groove, per esplorarlo fino in fondo”. Con queste premesse è facile comprendere i critici che sostengono che la musica dei Lúnasa, pur fondamentalmente Irish (e ci mancherebbe…) ha diversi punti di contatto con il jazz e le altre forme di musica improvvisata. Ispirati dalla Bothy Band, questi musicisti prediligono un costante interscambio melodico-ritmico tra strumenti a corda e a fiato, con arrangiamenti veramente innovativi. Nel 1999 i Lúnasa firmarono un contratto che prevedeva la pubblicazione di tre album con l’etichetta americana Green Linnet, il maggiore che la compagnia americana avesse mai stipulato con un gruppo emergente. Il già citato Otherworld venne realizzato nell’ottobre dello stesso anno, ed è stato l’album più venduto dell’intera venticinquennale storia della Green Linnet. Il resto è storia recente, con il terzo album della band, The Merry Sisters Of Fate, pubblicato nel giugno del 2001, e pur’esso recensito in modo entusiasta dalla critica di tutto il mondo. Tornando al Lúnasa di esordio, il suo ascolto (o anche ri-ascolto) conferma la sensazione – universale, del resto – di trovarsi in presenza di una delle band di musica irlandese più importanti in assoluto. Anche il brano aggiunto in questa riedizione, e non presente sul disco originale, la conclusiva “Jacky Molard’s/The Hunter’s Purse” si attesta sul livello generale del disco, comunque uno dei più interessanti degli ultimi anni. Le più recenti novità sull’attività discografica della Compass Records, i cui album sono distribuiti in Italia dalla I.R.D. di Milano, possono essere consultate presso il sito web www.compassrecords.com
Testo di Alfredo De Pietra Lúnasa – The Kinnitty Sessions Intervista di Alfredo De Pietra L’album della rivincita Ha il sapore della rivalsa, The Kinnitty Sessions, l’ultimo album dei prestigiosi Lúnasa, pubblicato a pochi mesi dal precedente Redwood. In esclusiva un eccellente brano sulla nostra compilation di questo mese. Questa è la storia di un disco che probabilmente non sarebbe dovuto nascere. O per meglio dire la cui pubblicazione è stata condizionata da tutta una serie di eventi e di scelte difficilmente prevedibili, solo pochi mesi fa. Un nuovo album dei Lúnasa – perché è proprio del recentissimo The Kinnity Sessions che stiamo parlando – è sempre e comunque un evento: con queste premesse è destinato ad esserlo ancora di più. La storia di The Kinnitty Sessions merita decisamente di essere raccontata, ma per farlo dobbiamo necessariamente tornare indietro di qualche mese. I Lúnasa pubblicano per la Green Linnet Redwood, ma ben presto si comincia a sentir parlare di “mugugni” da parte dei musicisti per quanto riguarda alcune scelte della casa discografica, scelte che non avrebbero ottenuto la preventiva approvazione da parte dei membri della band. Invece di giungere a miti consigli, il gruppo irlandese si pone in rotta di collisione con la propria etichetta, anche se ciò avreppe potuto comportare un lungo periodo di stop per la propria carriera discografica. Mentre infuriano le polemiche non c’è nei Lúnasa, in effetti, la volontà di pubblicare un nuovo disco, ma a quanto pare l’irritazione giunge a tal punto che, quasi per rivalsa, comincia ad affacciarsi l’idea di un nuovo album, realizzato in modo assolutamente indipendente: fare tutto in casa, insomma, tornare agli inizi, ai tempi degli esordi, anche per ritrovare lo spirito giusto. Nel giro di tre mesi i Lúnasa preparano quindi una lista di materiale del tutto nuovo, provano e arrangiano le nuove tune, le portano all’attenzione del pubblico durante i loro concerti, e alla fine le registrano dal vivo, nel corso di tre concerti a Kinnitty. Semplice, no? Scendiamo ancora un po’ in dettaglio. La scelta di registrare live deriva dalla voglia di presentarsi per una volta “senza rete”, senza la tranquilla atmosfera di uno studio di registrazione, dove alla fine si è sicuri di potere incidere una versione dei brani assolutamente perfetta: questa volta l’intenzione è di offrire la classica energia di un’esibizione dal vivo, che nelle previsioni sarebbe stata ulteriormente amplificata dalla consapevolezza che si sarebbe suonato “anche” per una uscita discografica, e per giunta “di rivalsa”. Anche la scelta del materiale, nonostante il breve tempo, è passata attraverso il giudizio critico degli stessi musicisti, che avevano registrato tutti i concerti del tour precedente la registrazione proprio con lo scopo di capire quali brani potessero andar bene e quali no. Quello che gli stessi musicisti non potevano immaginare è che, nonostante si fosse programmato di scegliere il meglio da tre concerti consecutivi, in realtà poi il risultato finale è scaturito solo da una delle tre serate: durante il primo concerto un problema al microfono del fiddle aveva reso la registrazione inservibile (ma ciò venne scoperto solo in seguito); la seconda sera semplicemente i musicisti non erano “in the mood” appropriato, e così la band si accinse al terzo concerto con un atteggiamento sereno e rilassato, confidando proprio negli – in realtà inservibili – brani della prima serata! Il risultato di tutto ciò è sicuramente un album di assoluto livello, per molti versi il migliore dei Lúnasa assieme al loro disco di esordio: la qualità dei brani scelti, dell’esecuzione e dell’acustica sono di prim’ordine, e gli stessi musicisti (Kevin Crawford, flauto, whistle e bodhrán; Donogh Hennessy, chitarra; Trevor Hutchinson, contrabbasso; Sean Smyth, fiddle e whistle; Cillian Vallely, uilleann pipes e whistle) si dicono assolutamente contenti e soddisfatti del risultato ottenuto. Tutto ciò è testimoniato, sulla nostra compilation mensile, dal brano “Tie The Bonnet”, ottenuto in esclusiva mondiale in occasione del lancio di questa nuova gemma del gruppo irlandese oggi più popolare e amato al mondo. Ma torniamo alla storia di The Kinnitty Sessions: furono prese in esame due versioni delle registrazioni, una con la risposta del pubblico in termini di applausi, e una senza. Alla fine la scelta è caduta su quest’ultima, proprio per non dare l’impressione di voler “giocare” sull’entusiasmo del pubblico per rinforzare in qualsivoglia modo il valore intrinseco delle registrazioni: ecco spiegato perché si tratta di un album live, sia pure in totale assenza di qualsiasi segno di “presenza” da parte di un’audience. Fatto il disco, l’intenzione della band era, come si diceva all’inizio, di completare il lavoro in modo del tutto indipendente. È a questo punto che si affaccia però all’orizzonte l’apprezzata Compass Records di Nashville, USA (http://www.compassrecords.com/), già altre volte ospite della nostra testata: il bello di questa etichetta, anche a detta degli stessi Lúnasa, all’inizio riluttanti all’idea di mettersi nelle mani di una nuova casa discografica, è che è di proprietà di musicisti, e che quindi comprende e appoggia le opinioni dei propri artisti: con altre compagnie discografiche il progetto sarebbe stato probabilmente congelato per chissà quanto tempo, e invece a soli tre mesi di distanza dalle incisioni, realizzate lo scorso dicembre, viene pubblicato l’album – tengono a precisare i Lúnasa – rispettando integralmente il punto di vista dei musicisti. Trevor Hutchinson, il bassista del gruppo ci ha parlato in quest’intervista esclusiva del “progetto Kinnitty”. Una nuova etichetta discografica per i Lúnasa; da dove nasce l’idea di questo debutto per la Compass Records con un disco dal vivo, e non in studio di registrazione? “A dire il vero l’album ha caratteristiche sia di un album live che di registrazioni in studio: in realtà abbiamo proprio cercato di ottenere il meglio delle due cose registrando alcuni concerti, ma con un’ambientazione più vicina a quella degli studi di registrazione. Il pubblico non era numeroso e non abbiamo fatto uso di amplificazione, quindi per molti versi era come suonare in studio, ma con in più quella energia tipica di quando si suona di fronte a una platea. Quello che in fondo desideravamo era dare un buon grado di spontaneità alle nostre esecuzioni, qualcosa che inevitabilmente puo’ andare perso in studio, dove si ha la tendenza ad esaminare ogni più piccolo dettaglio della musica.” Ma quali erano i veri problemi del vostro album precedente? Ammetterà, uno dei più “chiacchierati” nella storia dell’Irish music… “La verità è che, al pari altri artisti, abbiamo avuto qualche problema con la nostra etichetta precedente. Alla fine Redwood è stato pubblicato senza la nostra approvazione per quanto riguardava la parte grafica, e inoltre eravamo, e lo siamo ancora, molto insoddisfatti per quel che ha riguardato la presentazione dell’album. Comunque tutto ciò appartiene al passato, ora lavoriamo con la Compass ed è meglio guardare avanti piuttosto che continuare a pensare al passato.” Cosa dobbiamo attenderci per il futuro dai Lúnasa, in termini di direzione musicale? “Con questo The Kinnitty Sessions abbiamo cercato di concentrarci al massimo sul nostro aspetto “live”…insomma abbiamo cercato di dare la nostra immagine più vera, a questo punto della nostra carriera. Come band le posso invece dire che siamo in continua evoluzione: è difficile prevedere con esattezza quale sarà la direzione della nostra musica in futuro, ma penso proprio che non mancheranno alcune collaborazioni, e che ci spingeremo a esplorare nuovi territori.” C’è qualcosa che accomuna i brani di The Kinnitty Sessions? Un elemento, una filosofia comune? “Credo che questo “filo” sia identificabile proprio nell’approccio di cui abbiamo parlato. Per il resto si tratta di un mix di vecchi brani tradizionali e di nuove composizioni. Vi sono anche alcuni brani solistici e pezzi scritti da noi. E questa volta ci siamo spinti ancora un po’ oltre, con un brano originario della Bulgaria: si tratta della nostra prima esperienza, in questo campo!” Ecco, appunto…voi non suonate esclusivamente musica di ispirazione irlandese: Bretagna e Galizia non mancano nel vostro repertorio. Vecchia domanda quindi, ma sempre di attualità: ma esiste veramente una musica celtica? “Mah, a dire il vero ho qualche perplessità proprio sul termine “Celtic”, mi sembra una specie di grosso ombrello pronto a raccogliere tutto…spesso è usato a sproposito, ma di certo ci sono abbastanza elementi in comune nella storia e nella cultura delle regioni da lei citate per legarle in qualche modo insieme. Per quanto riguarda la nostra band è vero, la musica bretone e quella del nord-ovest della Spagna ci sono sempre piaciute moltissimo, e ne suoniamo molti brani ormai da anni. Non so se alla fine noi riusciamo a rendere giustizia a queste melodie, ma d’altra parte è anche interessante ascoltare il modo in cui musicisti di altre regioni si cimentano con la musica irlandese.” Di certo siete consci del vostro successo a livello planetario. Capisco che è difficile parlare di se stessi, ma che idea ve ne siete fatti? Cosa mette i Lúnasa oggi un gradino più in su delle altre band irlandesi? “Sì, è decisamente difficile essere obiettivi con noi stessi, spiegare la nostra “diversità”…forse la nostra stessa formazione, l’accento posto sull’accompagnamento…credo però che alla fin fine il segreto stia nel fatto che cerchiamo di rendere la nostra musica gradevole sia ai veri appassionati di musica tradizionale che a coloro che si avvicinano ad essa senza grande esperienza in proposito.” E di certo saprete che anche in Italia siete oggi la band irlandese n.1! Possiamo tranquillizzare i vostri fan italiani per questa estate? “Noi siamo sempre felicissimi di venire a suonare in Italia! Veramente, è una delle nostre mete preferite, e per tutta una serie di ottime ragioni. Così, speriamo proprio di tornare anche questa estate. Per chi fosse interessato in proposito, i dettagli dei nostri tour sono sul nostro sito: www.lunasa.ie”. |