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E pensare che a quest’ora potrebbe essere un’interprete di soap opera…Sì, perché proprio in questa maniera era iniziata la carriera artistica di Kate Rusby, oggi una delle più acclamate folk singer del Regno Unito; fortunatamente però la giovanissima cantante, originaria di Barnsley, nel nord dell’Inghilterra, decise ben presto che la musica, e non la recitazione, sarabbe stata al centro della propria vita. A distanza di dieci anni l’ancor giovane cantante (oggi ha all’incirca 25 anni) si è guadagnata una solidissima reputazione presso la critica specializzata inglese (“una delle migliori dieci cantanti folk del secolo”, stando a BBC Radio 2), ma soprattutto è riuscita nel difficile compito di rompere le barriere, essendo ormai apprezzata anche da quel pubblico che in altre circostanze rifugge qualsiasi contatto con la musica folk. Come spesso accade, dietro le iniziali scelte artistiche della Rusby c’è la mano dei suoi genitori: fin da bambina la piccola Kate si ritrovava a frequentare con loro i vari folk festival, e quando si trattava di mettere su il walkman, la musica di conseguenza era quella di Martin Carthy o di Nic Jones, a differenza delle sue coetanee, presumibilmente più avvezze ai successi di Bon Jovi. La passione per la folk music, quindi, prese Kate ancora ragazzina, se è vero che a dodici anni suonava già il violino e cantava nella band di ceilidh dance di papà e mamma Rusby. Solo tre anni dopo, questa volta con la chitarra in mano, si ebbe il suo debutto ufficiale, al Holmfirth Festival. Prima di lanciarsi in una carriera solistica, ancor giovanissima la Rusby compare in diversi album: fa parte, ad esempio del gruppo “al femminile” The Poozies, è presente sui dischi del gruppo Equation e canta in duo con Kathrin Roberts. Da quel momento Kate Rusby non si è più fermata, sviluppando gradualmente un proprio stile personale sempre più distinto che prevede, a fianco delle canzoni legate alla tradizione, anche l’esecuzione di brani contemporanei e di proprie composizioni originali. Il suo primo album solistico, intitolato Hourglass, ha subito un notevole successo, mentre il secondo, Sleepless, ottiene nel 1999 il Mercury Music Prize come uno dei migliori dodici album dell’anno: la sera della premiazione, di fronte agli “alti papaveri” della critica e della discografia inglese, quando le venne chiesto un commento, le uniche parole di Kate furono: “Sono solo orgogliosa di essere una folk singer…”, dopo aver terminato di cantare “Our Town”, con una chitarra quasi più grande di lei. Ancora due anni – siamo nel 2001 – e viene pubblicato Little Lights, vero punto di svolta artistico della cantante inglese: nel disco (e nel tour successivo) la Rusby si circonda di una sorta di supergruppo del folk: ad accompagnarla troviamo infatti il violinista scozzese John McCusker (ex-Battlefield Band, oggi divenuto partner anche nella vita della Rusby, avendola sposata la scorsa estate), il chitarrista Ian Carr, l’accordionist Andy Cutting, il leggendario ex-bassista dei Pentangle Danny Thompson, la cantante Eddi Reader e il nome nuovo del bluegrass americano, Tim O’Brien. Kate Rusby è ormai l’astro nascente del folk britannico: i suoi dischi hanno un grande successo di pubblico, la sua voce si può ascoltare anche sulle radio generaliste e, come si diceva, il suo nome è famoso anche presso il pubblico che normalmente non apprezza la folk music. E soprattutto anche grandi come Richard Thompson, Bonnie Raitt e Andy Kershaw interpretano ormai le composizioni dal netto sapore folk di questa esile cantante originaria dello Yorkshire, contesa oggi tra i principali folk festival in Europa e negli States. Anche in America, infatti, il nome della Rusby gode ormai di una buona popolarità, cosa tra l’altro non molto frequente per i musicisti britannici. Con tutto ciò, Kate non pare minimamente turbata dal crescente consenso da cui è circondata: in concerto predilige ancora cantare accompagnandosi con la sola chitarra, una figura esile che canta ballate tragiche, o per usare una sua ironica espressione “castle knocking down songs”, ovvero canzoni capaci di far crollare un castello, per poi passare magari ad un gustoso e spiritoso aneddoto personale, prima ancora di un’altra song a base di morte, gelosia, distruzione, amore non corrisposto e così via. Qualcuno, pochi mesi fa, ha fatto notare a Kate Rusby che erano ormai trascorsi dieci anni dal suo esordio professionale, e la prima intenzione della cantante pare fosse quella di prendersi una bella vacanza in giro per il mondo in compagnia del marito John. Ripensandoci meglio, è venuta fuori l’idea di un disco, che ha di conseguenza ha preso il nome di 10: dieci, per celebrare appunto i dieci anni di attività artistica. I brani presenti su 10 sono quelli considerati fondamentali dalla stessa Rusby, eseguiti però in maniera differente dalle sue precedenti incisioni. Non una retrospettiva quindi, ma il punto sul proprio percorso artistico, sulle proprie idee musicali. Racconta infatti la cantante inglese: “Mi piace moltissimo cantare canzoni del tipo di “The Recruiting Collier”, ma dal momento che devo continuamente cambiare il mio repertorio, mi capita di eseguirle sempre meno. Inoltre alcune delle canzoni presenti su 10 non erano mai state pubblicate sui miei tre dischi precedenti.” Per essere precisi, solo quattro dei quindici brani di 10 erano già stati pubblicati; nove sono le nuove track registrate in studio e due sono le song registrate dal vivo, tra cui la splendida “Sir Eglamore” scelta a presentare l’ultimo album della Rusby ai lettori di Keltika. Il line-up che accompagna Kate in 10 è di tutto rispetto: oltre, ovviamente, al marito John McCusker al violino, al piano e al cittern, troviamo in varie formazioni Ian Carr e Malcolm Stitt alla chitarra, Andy Cutting all’accordion, Ewen Vernal, Andy Seward e Conrad Ivitsky al contrabbasso, John Doyle e Alison Brown al banjo, James Mackintosh e Francis Macdonald alle percussioni, e Michael McGoldrick al flauto e al whistle. 10 è un disco splendido, cui non è difficile pronosticare un grande successo: la sensibilità e l’intelligenza della Rusby risaltano nei quasi settanta minuti dell’album, e la sua voce è un prezioso strumento, sottile ma pieno di insospettata energia, che ricorda a tratti le inflessioni della grande Jacqui McShee. Gli abbellimenti e le cadenze tipici della folk music ci sono tutti, ma si può anche notare un certo uso del vibrato, elemento non molto frequente in questo tipo di musica. Anche i brani sono tutti di altissimo livello, e un particolare nota di merito va all’impasto sonoro raggiunto dalla produzione, anch’essa frutto del lavoro di John McCusker. Come anche i precedenti album, anche questo 10 è pubblicato in modo autogestito dalla casa discografica (a carattere familiare) Pure Records, di proprietà dei coniugi McCusker/Rusby. 10 di Kate Rusby è regolarmente distribuito in Italia dalla IRD, in quanto pubblicato in America dalla Compass Records di Nashville: per una curiosa combinazione infatti Alison Brown, che suona il banjo in 10, è anche il proprietario della suddetta Compass Records americana. Tornando al brano presente sulla nostra compilation mensile, “Sir Eglamore” è stato registrato live nel settembre del 2001. Si tratta di una canzone già presente sul primo album della Rusby, Hourglass: la melodia, composta dalla stessa cantante, si sposa con un testo tradizionale, tratto dal volume di Frank Kidson “Songs of Britain”. Il sito web ufficiale di Kate Rusby è reperibile all’url: www.katerusby.com
Testo di Alfredo De Pietra Kate Rusby - Underneath The Stars Testo di Alfredo De Pietra Alcuni anni fa un cantautore americano indicò quali fossero, a suo modo di vedere, le caratteristiche principali di una bella canzone: una storia della durata di poco più di tre minuti, capace di rapire l’immaginazione dell’ascoltatore, presentargli una serie affascinante di personaggi e situazioni, e riportarlo indietro a canzone finita. Bene, sulla base di questi requisiti, l’ultimo CD di Kate Rusby, Underneath The Stars, è una ottima raccolta di belle canzoni, pieno com’è di storie di fantasmi, marinai, spose in lacrime e amori traditi. Solo pochi mesi or sono avevamo presentato ai lettori della nostra testata 10, album-compilation che rappresentava una vera e propria rassegna retrospettiva sulla carriera di Rusby. Underneath The Stars è arrivato quindi abbastanza inatteso, e qualche dubbio sull’opportunità di due dischi a distanza di così breve tempo era lecito. Si tratta invece di un CD bellissimo, oseremmo dire forse il migliore della Rusby insieme a Hourglass, suo album di debutto. Kate Rusby è cresciuta saldamente legata alla musica folk britannica, e se dovessimo indicarne la “specialità”, non esiteremmo a segnalarla nella capacità di riadattare i vecchi testi della tradizione alle proprie caratteristiche vocali e interpretative: è questo il motivo per cui molti dei suoi brani riportano l’indicazione “trad”, riferita a un testo che viene poi impiantato su una composizione musicale della stessa cantante. Di converso, i brani originali a firma Rusby riecheggiano intatti le cadenze e le qualità specifiche del mondo della canzone folk. Qualcuno potrebbe rimproverare alla cantante di Barnsley di rimanere troppo fedele al proprio clichè, di non cercare di esplorare nuove realtà musicali, ma in fondo si tratterebbe di contestarle onestà e coerenza artistica, qualità che non mancano anche in Underneath The Stars. Questo ultimo album è maggiormente focalizzato sulla voce della cantante, con il suo tipico accento del nord dell’Inghilterra. L’accompagnamento, ad opera di una serie di strumenti acustici, rimane in secondo piano, sottile ma dinamico, e con arrangiamenti finissimi, opera del marito-collaboratore-fiddler John McCusker. A collaborare con Rusby, ancora una volta, il meglio del folk britannico: bastino i nomi di Andy Cutting (accordion), Eddi Reader (backing vocals), Ewen Vernal (contrabbasso) e Ian Carr (chitarra). Come già per il precedente 10, anche con Underneath The Stars siamo rimasti per molto tempo in dubbio, non riuscendo a scegliere un brano da offrire ai lettori di “Keltika” per il semplice motivo che erano tutti, a parer nostro, ugualmente validi. Per questo motivo abbiamo chiesto direttamente a Kate Rusby con quale track avrebbe preferito presentare il suo ultimo album ai suoi fan italiani, e la scelta è così caduta su “Let Be Me”. Underneath The Stars è pubblicato dall’etichetta “di famiglia” Pure Records, nel cui sito (http://www.purerecords.demon.co.uk/) sono disponibili ulteriori informazioni sull’attività di Kate Rusby, che si avvia a diventare, insime a Eliza Carthy, una delle realtà più interessanti, in campo vocale, della musica folk britannica.
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