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Imagine An Ireland
Immagina…Immagina un’Irlanda…un’isola in cui tutti potrebbero vivere in pace…facciamo in modo che diventi una realtà… Sono queste le prime parole che si affacciano sullo schermo del nostro PC all’avvio di questo bellissimo, e assolutamente innovativo, progetto multimediale – Imagine An Ireland – al centro di questo numero speciale di Keltika. Parole di speranza, parole di pace; e pace e serenità sono le sensazioni che ispirano la visione e l’ascolto di quest’opera veramente speciale. Ci siamo imbattuti in Imagine An Ireland del tutto per caso, non più tardi di qualche mese fa: avevamo recensito su “Keltika” qualche mese prima il prezioso volumetto “Traditional And Folk Music Directory 2002”, filiazione del prestigioso periodico Irish Music Magazine di Dublino. La cosa evidentemente non era sfuggita alla redazione del magazine irlandese che, incuriosita da un giornale italiano che parlava di un loro prodotto, ci chiese in visione qualche copia di Keltika. È stata grande la nostra soddisfazione quando, qualche tempo dopo, abbiamo ricevuto i complimenti del direttore dello stesso Irish Music Magazine, Seán Laffey, che in un primo tempo ci aveva proposto la semplice recensione del suo Imagine An Ireland. I rapporti epistolari (via email) tra noi e Seán si sono col tempo intensificati, e si è in breve tempo giunti all’idea di una collaborazione a più ampio respiro, con la presenza del CD-Rom Imagine An Ireland in allegato a questo numero speciale di Keltika. Imagine An Ireland nasce, nell’estate del 2002, come una galleria multimediale di oltre duecentocinquanta foto in bianco e nero, realizzate in prima persona da Laffey, accompagnate da una colonna sonora costituita da una serie di brani di musica tradizionale irlandese: per la scelta degli artisti, Seán si è affidato unicamente al suo gusto e al suo senso critico, temprati da centinaia di recensioni sul più importante magazine di musica celtica al mondo. Imagine An Ireland è giocato sul contrasto tra le immagini “da cartolina” dell’affascinante paesaggio irlandese e la realtà della musica tradizionale dell’isola di Smeraldo, immortalata sotto le luci dei riflettori, non solo in Irlanda, ma anche in teatri tedeschi e in pub francesi, in alcuni dei grandi festival di oltre oceano e negli Irish bar di New York e Boston. Il CD-Rom allegato a Keltika di questo mese nasce con l’idea di fornire un catalogo – anch’esso multimediale – della galleria in questione, e contiene un centinaio di immagini selezionate, accompagnate da ventotto brani di musica irlandese. Anche questi sono di varia provenienza: oltre che da artisti che vivono - ovviamente - in Irlanda, questa musica è stata registrata anche da musicisti che operano in Germania, Francia, Belgio, Gran Bretagna e Stati Uniti: talvolta si tratta di emigranti (o di figli di emigranti), ma in altri casi non c’è alcun tipo di legame familiare con l’Irlanda. Ci si potrebbe chiedere il motivo di tale scelta. Perché affidare un quadro dell’Irlanda a immagini e suoni registrati anche altrove? La spiegazione ci viene fornita dalla chiave di lettura di questa mostra, riassumibile in alcune questioni, destinate comunque a rimanere aperte: quanto realistiche sono oggi queste icone dell’esperienza irlandese? È ancora essenziale il senso della nazione, della terra irlandese per interfacciare correttamente questa musica? E di converso, il senso di questa musica può identificarsi esclusivamente con il “luogo” Irlanda? Come spesso accade, le risposte a queste domande risiedono anche nella nostra immaginazione… Finora la galleria multimediale Imagine An Ireland è andata in esposizione in alcuni importanti festival di musica irlandese, in Irlanda (Cashel Heritage Festival, nel luglio del 2002), in Canada (Ontario Celtic Fair, agosto 2002) e negli Stati Uniti (Milwaukee Irish Fest, Wisconsin, agosto 2002). Ulteriori dettagli su Imagine An Ireland sono reperibili presso il sito web http://www.iol.ie/~didly-didly Seán, come nasce il progetto Imagine An Ireland? Qual è la filosofia di questo CD-rom? “Sono un appassionato di fotografia ormai da trentotto anni. Sa, tutto cominciò quando avevo solo sette anni, e un mio zio mi regalò una macchina fotografica Kodak Instamatic e una specie di rudimentale camera oscura. Rimasi affascinato da quel regalo. Facciamo ora un bel salto di trentacinque anni, ed eccomi a dirigere l’Irish Music Magazine, a intervistare musicisti e a recensire concerti: vista la mia passione per la fotografia, era ovvio che la mia macchina fotografica fosse sempre con me. Lo scorso anno ho messo insieme circa trecento delle mie migliori fotografie, le ho scannerizzate e le ho presentate in una galleria in Irlanda, Stati Uniti e Canada. Il titolo Imagine An Ireland proviene da un’esperienza comune alle famiglie e alle comunità di immigrati, per cui la nozione della propria patria lontana è mediata dalle immagini e dalla musica: ciò porta nella migliore delle ipotesi a una rappresentazione della realtà schematica, nella peggiore a una grossolana semplificazione della realtà. In queste foto ho fatto uso della tecnologia digitale per mettere in evidenza il massimo dettaglio possibile, in modo tale che l’attenzione di colui che guarda queste foto sia focalizzata solo su alcuni elementi-chiave dell’immagine, allo stesso modo in cui l’emigrante condensa le proprie esperienze e le proprie aspirazioni in rassicuranti istantanee di una realtà più grande, e forse più dolorosa. Io credo che in un certo senso, e in modo subliminale, tutto ciò mi sia stato ispirato da mio padre, che purtroppo è venuto a mancare durante lo scorso periodo natalizio. Lui ricordava l’Irlanda degli anni ’50, ed era una vera miniera di canzoni che avevano per tema le sensazioni dell’emigrante. Quando lui le cantava, quel vecchio accento tornava a galla come per incanto, come se in realtà lui non si fosse mai allontanato dall’Irlanda. Fortunatamente è ritornato in Irlanda solo due mesi prima di morire, ed era felice nel constatare il progresso cui il nostro Paese è andato incontro nel giro di cinquanta anni”. Cosa ci dice della musica che accompagna questa sequenza di immagini, veramente suggestive? Come è avvenuta la scelta degli artisti? “Ogni mese ricevo decine di CD che mi vengono inviati per la relativa recensione sull’Irish Music Magazine, e molti di questi album sono opera di artisti indipendenti, spesso con problemi di distribuzione discografica e talvolta anche non residenti in Irlanda. Quando, l’anno scorso, ero intento a organizzare questa raccolta fotografica di cui le parlavo, pensai che sarebbe stata una buona idea offrire uno spazio, sul CD-rom, a quegli artisti che mi avevano particolarmente colpito negli ultimi tempi, con un duplice scopo: aiutarli a raggiungere un pubblico più vasto, ma anche mostrare il gran numero di talenti che esistono nel campo della musica irlandese e celtica. Così li ho interpellati singolarmente, e ho “venduto” loro uno spazio sul CD-rom: in parole povere ho lasciato che ciascuno di essi scegliesse un brano da mettere, in formato .mp3, su Imagine An Ireland, per il prezzo di 120 Euro, e il denaro raccolto è servito alla realizzazione del CD-rom e alla realizzazione della galleria negli Stati Uniti e in Canada. Sono stati quindi gli stessi artisti a scegliere i singoli brani, e in questa maniera sono certo che siano i brani preferiti dagli stessi autori, o che almeno – secondo loro – siano quelli che li rappresentino al meglio. Sono rimasto stupito dalla risposta dei musicisti: sono stati tutti entusiasti, e anche con il rilascio delle relative licenze non abbiamo avuto il minimo problema. Vorrei anche ringraziare la Spectra Photo di Listowel, Contea di Kerry, che mi ha autorizzato all’uso del programma di screen saver”. Altri progetti simili all’orizzonte? “Beh, la mostra Imagine An Ireland è ancora in fase di attività, e il CD-rom copre all’incirca il 25% dell’intera galleria, così se un qualche festival di musica celtica, anche in Italia, volesse la mia partecipazione in questo senso, è sufficiente che mi mandi una mail all’indirizzo slaffey@iol.ie Attualmente è allo studio una sorta di riadattamento di Imagine An Ireland, che presenterò a Dallas a marzo per il loro Irish Festival, e ad agosto al Milwaukee Irish Fest. Sto anche lavorando a un CD-rom avente per tema il “Singer Songwriter”, ovvero il cantautore, su per giù sulla stessa linea di Imagine An Ireland, ma che questa volta presenterà i nuovi talenti emergenti in Irlanda: attualmente infatti si assiste ad un vero e proprio boom nella composizione di nuove canzoni, e anche l’interesse del pubblico nei confronti dei cantautori è molto aumentato. Penso però che un CD-rom di questo genere si possa rivolgere maggiormente al mercato americano, e penso di poterlo presentare a Nashville o alla South By South West Music Convention di Atlanta, in Georgia. E infine mi frulla sempre in testa l’idea di realizzare un altro CD-rom dedicato alla musica che ha a che vedere con il mare: la Maritime music è un’altra delle mie passioni…”.
Testo e intervista di Alfredo De Pietra
Seán Laffey: L'intervista L’autore del CD-rom Imagine An Ireland è Seán Laffey, il direttore del più importante periodico specializzato in musica tradizionale irlandese, l’Irish Music Magazine di Dublino. Laffey, di famiglia irlandese emigrata in Gran Bretagna, è nato ed è cresciuto nei dintorni di Manchester, nella zona della città che veniva definita l’Irish Ghetto. Sin dagli anni dello studio, presso la Wolverhampton University, si è distinto per la capacità di occuparsi di musica a livello professionale, organizzando presso i locali dell’Università concerti di musicisti importanti come gli Ultravox e il duo Sonny Terry & Brownie McGee. Seán si occupa di musica irlandese ormai da oltre un quarto di secolo. Pur non essendo un assiduo seguace dei dettami del Comhaltas Ceoltoirí na hEireann (ovvero l’Associazione dei Musicisti Irlandesi), ne ha diretto il “Clár for the Munster Fleadh”, e lo scorso anno ha presieduto il Cashel Cultural Festival. Laffey è anche un musicista: ha suonato in compagnia del famoso Liam Clancy ed e apparso, insieme al gruppo Liam At The Point, nel celebre spettacolo televisivo irlandese “The Late Late Show”. Nell’estate del 2000 Laffey ha partecipato al festival bretone di Brest insieme al mandolinista di Cork Tony Canniffe e a John Wall nella formula del trio Lusty & Strong. Lo scorso anno il suo documentario “The Last Windjammer Boy” ha inaugurato lo Hull 700 Festival. In un certo senso Seán Laffey non è del tutto nuovo al pubblico italiano, perché il suo lavoro con il gruppo vocale Warp Four ha fatto sì che una delle track di questo quartetto di vocalist fosse scelta dalla agenzia italiana Robi Droli, alcuni anni fa, per uno spot televisivo sponsorizzato da una ditta di orologi. Altre due sue track con i Warp Four sono state scelte dalla casa discografica francese Chasse Maree per due compilation di musica celtica. Parallelamente alle sue attività collegate alla musica irlandese, Seán dirige la Castlelake Consultancy Ltd, agenzia specializzata nel campo del giornalismo multimediale e della fotografia e nei servizi di rappresentanza. Il CD-Rom allegato a “Keltika” di questo mese è stato realizzato proprio dalla Castlelake Consultancy Ltd. L’occasione della collaborazione con Seán Laffey per la realizzazione di questo numero speciale di Keltika ci ha offerto la possibilità di fare con lui una lunga chiacchierata, che ha passato in rassegna le varie tematiche inerenti la musica irlandese e la sua attività di direttore dell’Irish Music Magazine. Sean, inizierei con la sua attività di direttore della pubblicazione specializzata in musica irlandese più importante al mondo, l’Irish Music Magazine. Da quanto tempo si occupa di questo settore? “Il mio rapporto con l’Irish Music Magazine è iniziato nel 1995, anno in cui la Media Rapresentation Services, ovvero l’agenzia pubblicitaria che si occupa del magazine, mi assunse in qualità di collaboratore, per sviluppare i versanti inglese ed europeo dell’Irish Music Magazine. Questo perché sono cresciuto in Inghilterra, e negli anni in cui frequentavo l’Università ero un assiduo frequentatore dei folk club; inoltre partecipavo spesso al circuito dei folk festival inglesi, e con le mie band “Jenkin’s Ear” e “Clameur” ho suonato spesso nei folk club e in vari festival in Inghilterra e in Bretagna. In seguito, nel 1997, la stessa agenzia pubblicitaria prese ad interessarsi anche degli aspetti editoriali dell’Irish Music Magazine e sono stato nominato direttore dello stesso periodico. È da allora che svolgo questa attività”. Quali sono le problematiche – se ve ne sono – relative alla pubblicazione di un periodico specializzato in musica irlandese in Irlanda? Esistono altre riviste che si occupano degli stessi argomenti, e se sì, quali sono le loro differenze con l’Irish Music Magazine? “Iniziamo col dire che le difficoltà non sono assolutamente di ricerca dei personaggi: vi sono infatti centinaia, o forse addirittura migliaia di musicisti, ciascuno di loro con una storia affascinante da raccontare. L’ostacolo principale è invece di natura commerciale, e ha a che vedere con la difficoltà di assicurarsi un decente spazio espositivo sugli scaffali delle edicole: dobbiamo vedercela non con altre pubblicazioni che si occupano di questo tipo di musica, ma con periodici generalisti, o che si occupano di moda e così via, che occupano in modo quasi totale lo spazio espositivo delle edicole. Molti di questi giornali sono importati dalla Gran Bretagna, e spesso hanno in copertina star della TV o del cinema che incoraggiano all’acquisto, spesso in modo decisivo. È questo il motivo per cui riusciamo a vendere molto meglio l’Irish Music Magazine nei negozi specializzati in musica e nelle edicole di grandi dimensioni. Non si può neanche dire che in Irlanda abbiamo una vera e propria concorrenza: sì, c’è “Hot Press” che viene pubblicato ormai da oltre venti anni ed è molto popolare presso la popolazione giovanile, ma non si tratta di un periodico che si occupa esclusivamente di musica. Hot Press si interessa anche di sport, di cultura e di attualità, per cui non lo posso ritenere un giornale concorrente. L’unico periodico in qualche modo assimilabile all’Irish Music Magazine è “Treoir”, pubblicato dalla organizzazione del Comhaltas, ma si occupa soprattutto dei fleadh, ovvero delle competizioni musicali, e viene venduto solo per abbonamento; quindi, concludendo, quando un nostro nuovo numero arriva nelle edicole in pratica non ha concorrenti”. Qual è la “filosofia generale” di un periodico come l’Irish Music Magazine? “Ci occupiamo della musica e dei musicisti in modo serio, e cerchiamo di fare in modo che le interviste ai musicisti e a coloro che si occupano di questa musica in prima persona siano il più numerose possibile: per questo motivo sulla copertina di ogni numero del nostro periodico campeggia la scritta “The Definitive Voice of Irish Music Worldwide”, perché lasciamo ai musicisti lo spazio per poterci spiegare come e perché si occupano di questa musica. Inoltre guardiamo alla musica irlandese, e alla musica celtica in generale, a prescindere dal luogo dove questa musica è eseguita: non siamo chiusi in noi stessi, e credo che questo atteggiamento aperto sia uno dei nostri punti di forza”. Secondo lei qual è oggi la situazione di questo tipo di stampa specializzata nel mondo? “In realtà ci sarebbe bisogno di una maggiore presenza di questo tipo di pubblicazioni: la musica tradizionale, la musica folk sono per molti versi dei fenomeni di nicchia, e se vogliamo fare in modo che il successo di questa musica progredisca c’è bisogno di una spinta maggiore da parte dei media. La TV e la radio sono in questo senso i mezzi di comunicazione ideali, ma c’è anche uno spazio per la carta stampata, che fa riflettere, può presentare un più ampio ventaglio di opinioni, può risultare divertente ma anche informativa, e infine è costante e regolare. Nel momento in cui questa musica riesce a toccare nuovi territori e a interessare un pubblico fino ad allora estraneo ad essa, ecco che la stampa specializzata ha il compito di educare – in modo intelligente e non pesante – questo nuovo pubblico di appassionati che si va formando. Non dobbiamo comportarci in modo retorico né scrivere in un linguagio per iniziati, né tantomeno infiammarci in polemiche inutili: il nostro compito è evidenziare il contesto storico, culturale e sociologico in cui questa musica va sviluppandosi, tutti elementi che è impossibile evincere dalle note di copertina di qualsiasi CD”. E all’interno di questo panorama, cosa pensa della nostra rivista, Keltika? “Sono rimasto veramente impressionato dal livello editoriale e grafico della vostra pubblicazione. Sono entusiasta del modo in cui Keltika è confezionato; il fatto poi che ogni mese riusciate a pubblicare una compilation su CD con le ultime novità in fatto di musica celtica è da sempre uno dei nostri desideri. Anche noi vorremmo fare qualcosa del genere sull’Irish Music Magazine, ma la nostra tiratura è troppo grande, e un’operazione simile risulterebbe troppo dispendiosa. Tornando a Keltika è anche importante il tipo di approccio, omnicomprensivo, da voi adottato: è bello vedere che nel vostro magazine si possono leggere articoli che coprono i vari aspetti della cultura e della vita contemporanea nei vari Paesi di origine celtica”. Torniamo ora alla musica irlandese in Irlanda: è possibile per un musicista irlandese che suona Irish trad. vivere esclusivamente della propria musica? Le faccio questa domanda perché mi sembra che, a fronte di un livello artistico molto alto, le potenzialità del mercato irlandese non siano notevoli… “Beh, a conti fatti, secondo un recente studio di Fintan Vallely per conto della University of Ulster di Derry, si ritiene che oggi in Irlanda oltre duemila persone si guadagnino da vivere grazie alla musica tradizionale, ma in questa cifra sono da comprendere anche coloro che insegnano questa musica a livello superiore e universitario, chi si occupa di ricerca, coloro che lavorano nell’industria discografica e i musicisti. Comunque una cosa è certa: a prescindere dalla suddivisione in sotto-classi di questa cifra, si tratta comunque di un numero superiore a quello delle persone impiegate nel campo della musica classica. Se invece consideriamo la sua domanda analizzando la situazione di coloro che si guadagnano da vivere suonando dal vivo, va detto che il numero di folk club, festival e locali dove è possibile esibirsi a pagamento è troppo esiguo per poter parlare di un vero e proprio “circuito irlandese”, anche perché – ha ragione lei – vi sono moltissimi musicisti di eccezionale valore che si contendono un numero troppo limitato di occasioni di questo genere. Di conseguenza la maggior parte dei musicisti più ambiziosi decide di recarsi in tour all’estero, e le principali destinazioni sono ovviamente gli Stati Uniti e l’Europa. Tuttavia va precisato che in seguito agli attentati dell’11 settembre è diventato estremamente difficile organizzare tour in America: per questo motivo oggi raccomando sempre, agli artisti irlandesi che desiderino recarsi negli States, di contattare preventivamente un agente o un manager residente in America che si occupi dei carichi burocratici, oggi enormemente incrementati. Del resto il mercato della musica irlandese ha acquistato ormai caratteristiche di livello mondiale, mentre qui in Irlanda la situazione della musica dal vivo è abbastanza disorganizzata e priva di un qualsiasi coordinamento, sia per quanto riguarda le session informali che la musica nei pub. In mercati di più ampio respiro, come ad esempio la Germania, l’Olanda e gli Stati Uniti, vi è invece un vero e proprio circuito, bene organizzato e gestito. A sua volta Internet ha cambiato radicalmente la situazione di questa musica, agevolando di molto l’autogestione delle band irlandesi dal punto di vista del marketing, grazie alle possibilità di acquisto diretto dei propri album e del relativo merchandising. Alcuni artisti, come ad esempio Andy Irvine e Kieran Goss, sono riusciti a sfruttare al massimo il potenziale offerto dalla rete, con forum dedicati, specifiche tecniche riguardanti la strumentazione, rassegne stampa e biografie on-line, a disposizione dei media. Tutto ciò rende più semplice per i promoter d’oltremare l’organizzazione di tour che risultino per loro redditizi da un punto di vista economico”. Quali sono oggi in Irlanda i rapporti tra la musica irlandese, l’istruzione e il potere politico? “Da un punto di vista storico la musica tradizionale, ma ancor più le canzoni tradizionali, hanno avuto una enorme importanza e influenza in Irlanda: questo perché per una popolazione colonizzata come la nostra, cui nel corso dei secoli è stato negato un sistema di istruzione indipendente, e la cui lingua è stata sistematicamente attaccata e demolita, la musica ha giocato un ruolo molto importante nel sostegno di una cultura irlandese, nazionale. In molti casi la musica è diventata una specie di improvvisato compendio della complessa e intricata storia dell’Irlanda. Solo recentemente è stato riconosciuto alla nostra musica tradizionale lo status di materia di insegnamento nelle scuole superiori – un ruolo che le compete appieno – ma malgrado ciò essa viene insegnata in modo caotico e insufficiente, e lo studio della musica classica ha nettamente il predominio. Se vogliamo, c’è anche una motivazione in tutto ciò: in fondo i programmi di insegnamento sono in genere fatti a misura delle classi medie, mentre la musica tradizionale è da sempre stata etichettata come “musica da contadini”. Evidentemente ciò oggi è un’affermazione sbagliata, perché oggi la maggioranza dei musicisti irlandesi appartiene alla classe media. Lei è un medico, no? Ebbene, le potrei citare i nomi di almeno quattro suoi colleghi – irlandesi – che sono perfettamente in grado di suonare questa musica a livello professionale, e il numero di musicisti in possesso di una laurea è oggi elevatissimo. A livello universitario vi è oggi un buon numero di corsi in grado di portare buoni musicisti a livelli ancora più alti, sia da un punto di vista musicale e strumentale che per quanto riguarda lo sviluppo di una serie di abilità oggi fondamentali per un professionista veramente completo, come ad esempio le tecniche di registrazione, la pianificazione delle finanze e l’educazione musicale. Quest’anno l’Università di Limerick ha aperto a Dublino un nuovo corso specializzato in musica tradizionale. Anche le università di Cork e Belfast offrono corsi simili, ma inquadrati in corsi di laurea a indirizzo musicale a carattere generale. Andiamo ora ai rapporti tra musica irlandese e potere. Quando in Irlanda si è trattato di formulare un’ideologia politica, la musica irlandese ha sempre avuto un certo ruolo. Vi è infatti una lunga storia di personaggi che, nel momento in cui si è dovuta stabilire una linea di condotta politica, hanno giocato la carta della lingua e della cultura: anche in seguito alle ultime elezioni è stato ad esempio istituito un ministero per le Arti, la Cultura e il Gaeltacht, ovvero le regioni in cui la lingua irlandese è ancora diffusa. La nuova amministrazione ad opera del Fianna Fail (il versante conservatore del partito Repubblicano) ha rimescolato le varie competenze ministeriali, e la Musica è ora accorpata alle Arti, allo Sport e al Turismo. Da un lato ciò è un fatto positivo, perché viene riconosciuta l’esistenza di un forte movimento musicale irlandese non necessariamente collegato all’elemento linguistico, ma d’altro canto il rischio intrinseco in questa operazione è che l’importanza, in termini culturali, della musica venga indirizzata verso una pianificazione guidata essenzialmente da elementi di tipo economico. Tra l’altro tenga presente, al riguardo, che attualmente il ministro in carica è originario del Kerry, la contea irlandese più attiva dal punto di vista turistico. Infine, per aggiungere un elemento di ulteriore confusione, attualmente è in discussione al Parlamento irlandese (Dáil) un disegno di Legge che era stato formulato dal governo precedente, e che pertanto mal si adatta ai più recenti indirizzi politici. Se questa legge dovesse passare senza modifiche o emendamenti, verrebbe stabilito un finanziamento separato ad hoc per la musica tradizionale: ebbene, ciò è stato universalmente contestato da tutti coloro che hanno a che fare professionalmente con la musica tradizionale, sia perché una simile legge ghettizzerebbe la musica, separandola dal resto delle Arti (e a sua volta ciò comporterebbe una riduzione dei fondi disponibili – sia pure in modo esclusivo – per la musica); sia perché ciò porterebbe ad una inopinata concorrenza tra i musicisti, che andrebbero a caccia di un budget molto limitato, spingendosi anche su terreni estranei a questa musica (e per questo motivo nel mio ultimo editoriale sull’Irish Music Magazine ho parlato di un “effetto Pinocchio”: la musica tradizionale dovrebbe in questo caso essere presentata infiocchettata con nastri e lustrini, e nel caso ciò non fosse, i musicisti dovrebbero arrampicarsi sugli specchi per riuscire a formulare proposte che fossero accettate. In entrambi i casi l’essenza stessa della musica ne viene a soffrire). Infine, il governo attuale vede in un posto di rilievo il senatore Labhras O’Murchu, che è anche il direttore del Comhaltas Ceoltoirí na hEireann (ovvero l’Associazione dei Musicisti Irlandesi), e molti protagonisti della musica tradizionale vedono in ciò un altro tentativo di incrementare la legittimazione ed il potere dello stesso Comhaltas Ceoltoirí na hEireann. Lo scorso 12 dicembre il ministro O’Donoighue ha comunque respinto il controverso articolo 21 di questo progetto di legge, affermando che esso spingeva a divisioni interne, e che egli non vedeva il motivo di separare le forme di arte tradizionali dal resto delle altre forme d’arte presenti in Irlanda. Questo cambiamento di rotta è arrivato in seguito alle forti proteste ad opera delle organizzazioni che si occupano di arti tradizionali, e alle contestazioni da parte dei media (ivi compreso un mio editoriale sull’Irish Music Magazine), e dopo che una delegazione di musicisti traditional si è recata al Parlamento. È stato un giorno doppiamente nero, per il ministro, che oltre a rinunciare al tanto contestato articolo 21, ha dovuto incassare anche la sconfitta per la candidatura dell’Irlanda al campionato europeo di calcio del 2008”. Secondo lei si può parlare a ragione di “musica celtica”, oppure è più giusto parlare di musica irlandese? In altri termini vi sono dei punti di contatto degni di nota con la musica delle altre regioni di origine celtica, o piuttosto vanno sottolineate le caratteristiche nazionali di queste musiche? “Secondo alcuni il termine “musica celtica”, essendo privo di una vera e propria coerenza – e di reali collegamenti – di tipo musicologico, sarebbe in realtà un’invenzione del marketing, con lo scopo di fare d’ogni erba un fascio, della musica delle varie regioni di origine celtica. Tuttavia esistono forti legami tra i cosiddetti Paesi Q-Celtic, e così la musica irlandese e quella scozzese sono abbastanza vicine semplicemente perché queste due nazioni hanno condiviso per molti, molti anni una cultura, un linguaggio e un’economia simili: per secoli, ad esempio, si è assistito ad un interscambio reciproco tra musicisti scozzesi e nord-irlandesi. A parte questo, c’è da considerare il rimescolamento che si è venuto a creare tra le tradizioni degli emigranti nel nord-America: pensi alle comunità di lingua gaelica a Cape Breton e in Nova Scotia, o agli influssi celtici (provenienti a loro volta dal Maritime Canada e dal New England) nella musica accadiana del Quebec. La musica irlandese che si ascolta nelle session americane è molto conservatrice e purista, così come lo è la musica di origine scozzese che si può ascoltare nella Nova Scotia: si può anzi ragionevolmente affermare che sono questi i posti dove si può ascoltare la migliore musica old-style di origine irlandese e scozzese. La stessa musica country americana ha una componente celtica, nel senso che buona parte della musica delle sue origini deriva da radici “scoto-irlandesi”. Gli americani tendono spesso a raggruppare sotto il termine “Celtic” tutta la musica che proviene dalle isole britanniche, ma trovo che sia un’affermazione errata, soprattutto perché una buona percentuale della musica inglese è in realtà di origine germanica. In realtà le culture non sono mai statiche, e un interessante esempio di questa affermazione potè osservarsi all’inizio degli anni ’70 con il fenomeno delle “Bush Band” australiane, che nacquero quando i musicisti irlandesi si incontrarono con i folk singer australiani, dando così nascita a un nuovo filone di musica celtica. Ciò a detrimento della autentica folk music australiana, che è invece di origine anglo-germanica: reel, jig e polke irlandesi soppiantarono in breve tempo i valzer e le “Versoviana” dei primi coloni australiani. I Paesi cosiddetti P-Celtic (Bretagna, Asturie e Galles) hanno invece avuto tra loro minori occasioni di contatto culturale rispetto a Irlanda e Scozia, e di conseguenza la loro musica – comunque celtica – è abbastanza differente, e maggiormente caratterizzata da un carattere locale, regionale”. Ma secondo lei si può parlare di un vero cambiamento nella musica irlandese in questi ultimi anni? E se sì, quali sono le principali differenze rispetto alla musica di venti-trenta anni fa? “Attualmente le session sono sempre più monopolizzate da reel e jig, e sono sempre meno i musicisti che suonano marce, polke, hornpipe, slow air, barn dance e song tune. Tutto ciò è una conseguenza delle direttive del Comhaltas Ceoltoirí na hEireann, che da sempre ha sostenuto un atteggiamento di tipo competitivo. In questo modo l’esecuzione di jig e reel nello stile di Sligo è venuta di fatto ad essere privilegiata: riuscire a padroneggiare questo repertorio è divenuto ormai una sorta di “machismo musicale”, e secondo me questo stato di cose si è spinto oggi a livelli eccessivi. Anche il mondo delle song, delle canzoni irlandesi, è in uno stato di sofferenza ormai da diversi anni, e nelle session le song sono sempre meno presenti. Da un punto di vista commerciale la musica irlandese continua a guardare verso il passato, verso l’epoca d’oro dei Planxty e della Bothy Band: sono state queste le due band che hanno codificato la struttura musicale ancora oggi predominante per quanto riguarda la nostra musica tradizionale. Negli ultimi anni gruppi come Danú, Dervish e Altan sono addirittura riusciti a perfezionare questa formula. Nel contempo il livello tecnico dei musicisti si è incrementato, e si è assistito alla tendenza ad un rimescolamento tra gli stili e all’ingresso in questa musica di altri idiomi musicali. I nomi di maggior successo in questo senso sono quelli dei Lúnasa, Solas, Coolfin, Flook e di Michael McGoldrick. La fine degli anni ’90 ha visto infine il rafforzamento di quel filone che tende ad una esecuzione di questa musica in modo più purista, e curiosamente questo atteggiamento vede in primo piano essenzialmente alcuni violinisti: Martin Hayes, Maeve Donnelly, Brian Conway, Brian Rooney e Oisin MacDiarmada sono tutti fiddler che aspirano ad una musica il più possibile fedele alla tradizione. Qual’è la sua opinine a proposito di Riverdance? Credo che molti, al di fuori dell’Irlanda, abbiano scoperto la musica irlandese dopo aver assistito a questo show. Ma secondo lei si può parlare, nel caso di Riverdance, di musica tradizionale? “Riverdance è un fenomeno complesso, ma non saprei se siano veramente tanti, coloro che hanno iniziato a interessarsi a questa musica dopo avere assistito allo show, e comunque non credo siano molti gli spettatori di Riverdance che si siano spinti a conoscere le vere origini della nostra musica, musicisti come Morrison, Coleman, Rowsome, Kimmel e così via. Di certo Riverdance non è assimilabile alla musica tradizionale irlandese, ma con essa ha alcuni evidenti legami. In realtà Riverdance deriva dalla tradizione della musica popolare americana, che a sua volta ha una forte componente irlandese al suo interno. Il musical di Broadway fu ad esempio inventato da Ned Harrigan, un canadese di discendenza irlandese; Stephen Foster, un americano di origini scoto-irlandesi, lasciò un intero corpus di song che influenzarono profondamente questo tipo di repertorio, e Chauncey Olcott – un irlandese – fu una grande star del vaudeville americano del diciannovesimo secolo; gli show di ispirazione irlandese, infine, divennero la lingua franca dell’entertainment nell’America del periodo successivo alla guerra civile. Gli irlandesi furono i primi immigrati di religione cattolica e di lingua non-inglese in America, e la loro cultura musicale fu raccolta e catalogata dal capitano O’Neill, della polizia di Chicago, in una serie di libri di spartiti che furono pubblicati nei primi anni del novecento: tornando a Riverdance, in fondo è proprio questa la secolare eredità ricevuta dal suo protagonista, Michael Flatley, figlio di emigranti irlandesi in Illinois. Va infine ricordato che la musica di Riverdance fu scritta da Bill Whelan, già pianista dei Planxty, e che lo stesso Whelan subì in gran misura l’influenza della musica da ballo dei Paesi Balcanici che Andy Irvine suonava con i Planxty: ciò spiega il gran numero di collegamenti con le culture di altre regioni del globo. In conclusione, non si tratta di musica tradizionale, ma rientra all’interno di questo ambito”. Secondo lei il ruolo degli stili regionali è importante nella musica tradizionale irlandese, o si va piuttosto verso uno stile e un repertorio nazionali? “Gli stili regionali sono importanti, perché ci tramandano un ricco ventaglio di espressioni e di repertori provenienti dal passato. È vero, oggi essi sono meno distinti che in passato, e ciò avviene perché il circuito delle competizioni musicali gioca contro gli stili locali, e anche perché i CD sul mercato presentano oggi uno stile sempre più omogeneo. Ma gli stili regionali continuano a esistere: il Donegal, lo Sliabh Luachra, il Clare, East Galway, Roscommon, Leitrim sono tutte regioni con distinti stili e repertori, così chiunque volesse approfondire lo studio di queste diversità può farlo liberamente. D’altro canto anche le stesse session sono diventate un elemento di livellamento. Anche all’estero vi sono alcuni stili di musica irlandese a carattere regionale che un orecchio attento e allenato può discernere: in Gran Bretagna ad esempio, a Londra, Manchester, Leeds, Glasgow e Liverpool la musica irlandese presenta delle caratteristiche differenti da città in città. In America invece esistono varianti regionali in città come Boston, New York, Philadelphia e Chicago. A loro volta queste varianti si spiegano con le zone di origine degli immigrati irlandesi: ad esempio la musica irlandese che si può ascoltare a Manchester è quella tipica del Connaught, mentre Philadelphia ha una popolazione di immigrati proveniente per lo più dal Donegal”. E questa musica irlandese sempre più aperta nei confronti della musica etnica di altre parti del mondo? Le piacciono queste innovazioni, oppure in lei prevale l’animo del purista? “Se realizzate con gusto e intelligenza e con lo spirito giusto, queste unioni possono arricchire notevolmente la nostra musica: i Flook, Michael McGoldrick, i Solas, Eileen Ivers e Susan McKeown hanno realizzato cose splendide con influenze etniche di altri Paesi, ma a ben vedere si tratta di musicisti che vivono in comunità multirazziali. Penso invece che questo amalgama sia riuscito in misura minore alle band che operano in Irlanda, principalmente perché per loro è molto difficile reclutare autentici musicisti originari di altre etnie in Irlanda”. E la New Age Music, con i suoi rapporti con la musica irlandese? “Personalmente è un’unione che non mi piace. Spesso in questo campo si tratta di canzoni scritte in modo approssimativo e incomprensibile, cantate su un tappeto acustico privo di interesse. Secondo me quello che è carente in queste situazioni è il livello comunicativo. La New Age music mi sembra quasi una specie di amuleto portafortuna per la folk music”. Cosa pensa dei musicisti non irlandesi che eseguono musica tradizionale irlandese? “Assolutamente favorevole: alcuni dei migliori musicisti di questa musica sono “stranieri”, ma non mi piace neanche parlare del concetto di nazionalità, perché non c’entra niente con la musica irlandese. Secondo me è invece importante parlare della dicotomia tra coloro che sono all’interno o all’esterno di questa tradizione. È questo il motivo per cui l’importanza di questa musica spesso è più “sentita” nelle comunita di immigrati che in patria. Mi spiego meglio: Ed Reavy, un grande compositore di musica irlandese, è quasi sempre vissuto in America, e quindi sarebbe da considerare a tutti gli effetti uno “straniero”, ma in realtà lui ha sempre composto musica “all’interno” di questa tradizione. E anche Kimmel, un musicista americano di origini olandesi – quindi uno “straniero” – è in realtà da considerare un elemento interno alla nostra tradizione, sia dal punto di vista musicale che culturale. Quando i musicisti suonano con onestà non importa il loro Paese di origine”. Ma in Irlanda l’interesse per la musica tradizionale è affiancato da un analogo interesse nei confronti della cultura celtica, cosa che accade in Italia in misura sempre maggiore? “In genere no, perché qui i migliori musicisti iniziano a suonare sin dalla più tenera età, addirittura a quattro anni, quindi molto prima di essere interessati a qualsiasi concetto di cultura celtica. Secondo me la maggior parte dei musicisti irlandesi non sa assolutamente niente delle leggende e della cultura di altre regioni celtiche come il Galles, la Scozia o la Bretagna. Ma comunque la musica è già un importante fatto culturale in sé, e non ha bisogno di cercare collegamenti a più ampio respiro”. Quali sono in Irlanda i rapporti tra musicisti e case discografiche? Sembra che sempre più spesso si tenda alla auto-produzione dei propri album… “Attualmente la nostra popolazione è di meno di cinque milioni di abitanti, e comunque non c’è un grosso mercato per la musica tradizionale: le vendite dei dischi sono quindi relativamente basse, e per conseguenza di tutto ciò sono pochissime le case discografiche irlandesi con grandi cataloghi e catene di distribuzione capillari. Questa realtà economica e la generale facilità con cui è possibile realizzare un disco hanno fatto sì che i musicisti irlandesi abbiano sempre più spesso tentato la via della produzione in prima persona. Se vogliamo, anche in questo tipo di scelta c’è da intravedere un atteggiamento psicologico di origine celtica, consistente nel fatto che l’abilità e l’intuito personale da noi spesso si sentono a disagio quando vengono a confrontarsi con un sistema organizzato, con le sue elucubrazioni e i suoi calcoli”. Come spiega il successo di livello mondiale della musica irlandese? A conti fatti è probabilmente la musica tradizionale più popolare al mondo, e comunque al di fuori del proprio Paese di origine… “Questa musica ha veramente tutto, dentro di sé: è emozionante, ti tira su, può essere triste, allegra, divertente e corroborante. È complessa ma molto accessibile, è ricca di mistero e ha il fascino della musica etnica: insomma può veramente risultare gradita a tutti. Il suo successo è strettamente collegato alla diaspora irlandese e all’esperienza musicale americana: sin dagli esordi dell’industria discografica, la musica irlandese è stata presente. Essa ha sempre fatto uso della migliore tecnologia disponibile allo scopo di promuovere se stessa, ed è stata al passo delle variazioni delle condizioni sociali degli irlandesi; non ha mai corso il rischio di diventare una musica di antiquariato, un pezzo da museo: pur mantenendosi legata alla tradizione, è una musica che si rinnova ogni volta che viene eseguita. Questa musica fa parte di quel qualcosa che viene definito Irish Craic, un termine che - sono certo - i vostri lettori in Italia comprenderanno bene. L’Irlanda è all’interno del mondo anglofono, ma in questo contesto è l’unico Paese cattolico: ha cioè questo forte senso di spiritualità – sfruttato tra l’altro dalla cultura New Age – e una libertà di espressione individuale del tutto estranei al mondo della cultura anglosassone. Penso pertanto che per molte persone, in tutto il mondo, questa musica risulti accessibile proprio a livello emozionale: è facilmente comprensibile, è sincera, non nasconde i propri sentimenti, è accogliente come un amico che ti dà il suo benvenuto, e ha un’onestà, naturale e preziosa, che alla fine risulta contagiosa”. Lei suona qualche strumento? “Sì, suono il bodhrán e il bouzouki, e riesco a fare anche qualche pezzo al banjo e al tin whistle, ma non sono un grande musicista! Purtroppo non riesco più a trovare il tempo per esercitarmi a suonare: il mio lavoro di direttore dell’Irish Music Magazine e la mia famiglia, con tre bambini in tenera età, mi lasciano solo qualche ora per dormire, e così sto finendo per dimenticare quello che ero in grado di fare da un punto di vista musicale. Ma comunque i lettori di questo numero speciale di Keltika potranno giudicare da soli: sono io che canto nel brano dei Warp Four “The Banks Of New Foundland”!”.
Intervista di Alfredo De Pietra Copyright © New Sounds 2000
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