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Nazionalismi
ed identità nel corso del XIX secolo
embra
qui utile ricordare innanzitutto alcuni eventi riguardanti le origini del
nazionalismo nell’Europa del XIX secolo. L’italiano Giuseppe Mazzini
(1805-1872), certamente sotto l’influsso del movimento rivoluzionario francese
della fine del XVIII secolo, fu uno dei primi patrioti che avevano come scopo
una certa unità dei movimenti europei, detti nazionalisti, nel corso del XIX
secolo; egli fondò il movimento della Giovine Italia nel 1831, cui seguirono
una Giovine Germania ed una Giovine Svizzera nel 1835. E’ a questa causa che
alcuni irlandesi speravano di aderire a partire dal 1847, anno in cui Mazzini
fondò la Lega Internazionale dei Popoli dal suo esilio forzato di Londra. Il
rifiuto che questi futuri Giovani Irlandesi (Young Irelanders)
ricevettero da Mazzini era fondato su un suo evidente misconoscimento
dell’Irlanda. Egli infatti semplicemente riteneva che l’Irlanda non
presentasse sufficienti differenze culturali rispetto all’Inghilterra, tali da
giustificare il fatto di essere ammessa in qualità di nazione indipendente: “La
situazione dell’Irlanda non presenta caratteristiche fondamentali distinte,
anche dal punto di vista legislativo, che non derivino da particolarità locali,
che contrastino in maniera radicale con i bisogni ed i desideri
dell’Inghilterra.” E’ a partire da questa data (1847)
che i nazionalisti irlandesi, già convinti del fatto che l’affermazione delle
differenze poteva costituirere la sola speranza dell’instaurarsi di un’immagine
propria dell’Irlanda, si misero alla ricerca degli elementi più evidenti e
significativi della personalità irlandese, prendendo in considerazione
innanzitutto la posizione geografica, e proseguendo con la particolarità
linguistica dell’isola. L’obiettivo era sia di fornire un’immagine
tangibile della personalità irlandese, in modo tale che il mondo esterno
sapesse riconoscerlae prenderne atto, sia di restituire agli irlandesi una certa fiducia nei
confronti della propria cultura. I primi militanti non consideravano essenziale
l’elemento linguistico, dal momento che la lingua inglese era già fortemente
associata all’idea di progresso, ma anche perché non era stata ancora
attirata al riguardo l’attenzione dei partigiani del rinnovamento, che se ne
interesseranno, all’interno della Liga Gaelica, solo a partire dal 1893. Fu
invece la letteratura ad attirare l’attenzione dei nazionalisti, poiché se
l’idea della tradizione musicale riusciva già a generare molte sterili
polemiche tra progressisti e conservatori, la letteratura offriva invece un
quadro ragionevolmente unitario e pur sempre rimodellabile della società
irlandese, pur nella diversità delle varie modalità letterarie di ciascun
autore: “Indebolita
dalle divisioni, ed incapace di elaborare un’espressione logica, la musica si
trovò relegata ad un ruolo marginale nel corso del XIX secolo. Un’epoca così
estrema richiedeva una risposta chiara, e la musica fu
quindi oscurata dalla letteratura.” Tutti gli argomenti ammissibili
furono così “arruolati” all’interno di un processo che da allora non si
è più fermato, perpetuandosi fino al parossismo della neutralità irlandese
durante la seconda guerra mondiale, decisione personale del presidente Eamon de
Valera. Tra gli argomenti che considereremo in seguito, la musica si rivelerà
un elemento facilmente esplorabile, come d’altra parte in molti altri Paesi
europei. Patria
e musica nel XIX e XX secolo
l
XIX secolo vide l’esplosione di un nuovo passatempo nell’ambito
dell’aristocrazia irlandese: la raccolta di canzoni e melodie popolari. Se il
XVI ed il XVII secolo avevano visto l’esperienza della messa in discussione
completa del mondo intero, a causa della scoperta (nel 1492) di un nuovo intero
continente, il XVIII secolo vide approfondire (tra l’altro) anche queste
questioni. Di qui, grazie a molti racconti di viaggiatori di ritorno
dall’America, nacquero le
premesse di una etnologia rivolta verso l’incognito. Solo nel XIX secolo fanno
la propria comparsa personaggi interessati sia a queste civiltà “barbare”
(il cosiddetto “buon selvaggio”) sia al più familiare mondo della “brava
gente”. Questo
fenomeno si verificò d’altra parte su scala europea, ed iniziò sotto forma
di svariate raccolte e pubblicazioni nel corso del XVIII secolo. Ricordiamo, fra le più grandi figure
di questo periodo, Charles Perrault (1628-1703), che pubblicò nel 1696 in
Francia i suoi celebri Contes de ma Mère l’Oye, mentre in Svizzera
Johann Jakob Bodmer (1698-1783) scoprì i circa 1200 canti d’amore di corte (Minnesang)
di Parzival e dei Nibelungen, e Johannes Muller (1752-1809)
scrisse una Histoire de la Confédération Suisse che prendeva in
considerazione anche alcune leggende popolari. In Germania, Johann Gottfried
Herder (1744-1803) scoprì qualcosa da lui denominato “lo Spirito del
Popolo” (Volkgeist), Ludwig Achim von Arnim (1781-1831) e Clemens
Brentano (1778-1842) pubblicarono i tre volumi di raccolte
Des Knaben Wunderhorn (1806-1808), ed i fratelli Jacob (1785-1863)
e Wilhelm Grimm (1786-1859) i tre volumi delle famose Kinder- und Hausmarchen
(1812-1814). Il successo di queste grandi raccolte
fu tale che furono anche pubblicate alcune opere a carattere popolare
rielaborate da abili scrittori, il cui successo nel corso del tempo non diminuì,
anche a seguito di lunghe dispute ad esse conseguenti. In Finlandia le rune del Kalevala
furono in qualche modo “ricostruite” da Elias Lonnrot (1802-1884); in Gran
Bretagna Thomas Percy (1729-1811) pubblicò nel 1765 le Reliques of Ancient
English Poetry; in Bretagna i canti del Barzaz Breiz (1839) raccolti
da Théodore Hersant de la Villemarqué (1815-1895) furono in questo senso ammirate
e poi criticate in modo molto virulento. Aggiungiamo a questi esempi una frode
eclatante, i celebri Fragments of Ancient Poetry pubblicati nel 1760 dal
pre-romantico James MacPherson (1736-1796) con lo pseudonimo di Ossian. Questa grande infatuazione trovò
concretizzazione e sistematizzazione nella Francia del 1804 grazie alla
fondazione dell’Académie Celtique, che divenne nel 1815 Société
des Antiquaires, che organizzava delle raccolte di testi rurali per tentare in seguito di
analizzare al meglio queste conoscenze popolari. Due motivi fondamentali spingevano
l’azione dei suoi membri, a differenza della gran parte dei ricercatori
dell’inizio del XIX secolo. Se i secoli precedenti erano stati
testimoni di importanti passi avanti all’interno di vari ambiti intellettuali,
non per questo erano diminuiti gli appassionati di saggezza popolare. Nello
stesso momento in cui i filosofi del Secolo dei Lumi ritenevano un puro
non-senso tutto quello che aveva a che fare con superstizioni e credenze
popolari, i primi “etnologi” ritenevano al contrario che si trattasse di
vestigia del passato, assolutamente rispettabili e degne di essere studiate.
E’ questo il loro primo tratto caratteristico. Essi ebbero quindi il torto di
attribuire in gran fretta un carattere sacro a queste vestigia del passato, e
– seconda peculiarità – si trasformarono spesso in patrioti esaltati. L’unico problema che rimaneva da
risolvere era, ancora una volta, il nome da attribuire a questi nuovi studi, ed
a questa domanda rispose nel 1846 un etnologo di nome William Thoms con il
termine di “folklore” che, a partire da questo momento, rimpiazzò i
termini “letteratura popolare” e “antichità”. Si passò così
progressivamente da un tentativo di comprensione di civiltà e popoli lontani ad
un esame approfondito degli universi più familiari delle nostre campagne
europee. Contemporaneamente un gran numero di
compositori sentirono per tutta la durata del XIX secolo il bisogno di coniugare
radici popolari ed arte classica. Ancora una volta l’influsso del nazionalismo
politico si rivelò preponderante. Se da un lato esistevano già tendenze
musicali differenti da un Paese all’altro, capaci di generare ciò che si
convenne di chiamare “scuole” di composizione, il XIX secolo fu testimone di
un vera e propria infatuazione nei confronti di una espressione identificativa
molto marcata, particolarmente mediante la musica. Questo tentativo di
differenziazione fu in gran parte una reazione all’omogeneizzazione subita
durante il XVII secolo sotto l’influsso della musica italiana. Apparirà importante, alla luce del
nostro punto di vista, descrivere in modo sintetico la storia dei movimenti
musicali cosiddetti “nazionalisti” o “patriottici”, ricordando coloro
che furono i loro principali propugnatori, oltre a quei compositori influenzati
dallo spirito romantico europeo. Presenteremo anche quei compositori irlandesi
che seguirono questa strada identificativa, e saremo così testimoni, per tutto
questo capitolo, dell’influenza reciproca tra musica classica e musica
tradizionale. Queste caratteristiche indipendentiste si impiantarono innanzitutto nei Paesi dell’Europa dell’Est, da tempo prede delle grandi guerre napoleoniche, e che quindi si confrontavano con i dolorosi problemi delle dominazioni estere. La questione dell’identità ceca si pose in modo acuto in Boemia, dove Frantisek Skroup compose nel 1826 Il Calderaio (“Dratenik”), primo libro in lingua ceca sulla storia della musica. Inoltre molte melodie utilizzate nelle sue opere provenivano da radici della musica popolare boema. In seguito, Bedrich Smetana (1824-1884) e Antonìn Dvoràk (1841-1904) si fecero, tra gli altri, cantori della musica con accenti “slavi”, mostrando entrambi un grande amore per la patria e per queste sorgenti popolari ceche. Il primo scrisse libretti operistici esclusivamente in lingua ceca, evocando il suo fiume preferito, La Moldau, all’interno di un ciclo di poemi sinfonici intitolato “La mia Patria”; il secondo compose due splendidi cicli di sedici Danze Slave. In Ungheria i principali animatori dello spirito musicale patriottico furono Béla Bartòk (1881-1945) ed il suo amico e collega Zoltàn Kodaly (1882-1967). Il primo percorse il suo Paese, ma anche i Balcani, la Turchia e l’Africa del Nord, alla ricerca delle melodie popolari; entrambi idearono insieme una importante serie di studi, di antologie e di arrangiamenti sui temi musicali popolari da essi stessi raccolti. L’ungherese Franz Liszt
(1811-1886) si ispirò anche ai temi popolari del suo Paese, anche se in modo
meno costante, e compose da parte sua diciannove Rapsodie Ungheresi, più
propriamente zigane che ungheresi. Esse diventarono famose sia per per la loro
particolare sonorità che per la simpatia che certi europei provavano nei
confronti degli ungheresi, in lotta, nel corso del XIX secolo, contro prussiani
ed austriaci. Dal canto suo anche Frédéric Chopin (1810-1849)
non dimenticò le sue origini e compose, oltre alle celebri e brillanti Polonaises,
numerose Mazurkas. In Russia Alexandre Borodine (1833-1887) compose
la Danze Polovesiane per la sua opera Il Principe Igor ed utilizzò
spesso una tematica di tipo folklorico. Anche Nicolai Rimsky-Korsakov
(1844-1908) compose alcune delle sue opere sulla base di temi popolari ed
armonizzò, ad esempio, 150 arie popolari russe. Entrambi questi due ultimi
autori parteciparono tra l’altro alla fondazione del celebre “Gruppo dei
Cinque”, che comprendeva anche Mily Alexeievitch Balakirev (1837-1910),
Cesar Cui (1835-1918) e Modest Petrovitch Moussorgski (1839-1881). Molto
influenzati dal russo Mikhail Ivanovitch Glinka (1804-1857), sia il tedesco Robert
Schumann (1810-1856) che il francese Hector Berlioz
(1803-1869), anche per il romanticismo allora di moda, di certo non combatterono
gli eccessi del nazionalismo politico russo. In misura minore e malgrado le
estenuanti controversie sul soggetto del nazionalismo musicale, il compositore
Piotr-Ilitch Tchaikovski (1840-1893) riuscì talvolta ad esprimere lo specifico
musicale nazionale, dalla Danza Russa del ballo Schiaccianoci al
suo Capriccio Italiano. In Romania Georges Enescu (1881-1955) trasse
inspirazione per le sue composizioni dalle caratteristiche armonico-modali delle
melodie popolari del suo Paese, e fu anche il maestro del grande violinista
Yehudi Menuhin, di cui si conosce la profonda passione nei confronti delle
musiche tradizionali del mondo intero. Ben presto il resto d’Europa seguì
questa tendenza nata nei Paesi dell’Europa dell’Est, ed alcuni compositori si
mostrarono sensibili al nazionalismo, talvolta ereditato dal romanticismo. E’
risaputo con quale entusiasmo in Germania il compositore Johannes Brahms
(1833-1897) si sia inspirato alle danze popolari ungheresi; egli non attribuì
loro un numero d’opera, contrariamente alle abitudini, il che voleva dimostrare che egli non le considerava come proprie composizioni. Anche Richard
Wagner si inspirò a temi popolari per le sue grandi opere, tra le quali il Parsifal
(1882) o l’Anello dei Nibelunghi (1860-1876). In Norvegia Edvard Grieg
(1843-1907), influenzato dal giovane compositore R. Nordraak, partì alla
ricerca del genio popolare che si può ritrovare nelle sue Danze Norvegesi
o nella musica di scena del Peer Gynt. In Finlandia Julius Christian
Sibelius (1865-1957) si inspirò al folklore finlandese per creare la sua prima
opera celebre, Kullervo, nel 1892, diventando anzi la figura emblematica
del patriottismo finlandese, proseguendo la propria opera con sinfonie come Finlandia,
nel 1900. In Spagna Isaac Albeniz (1860-1909), Enrique Granados Y Campina
(1867-1916) e Manuel De Falla (1876-1946), tra gli altri, tentarono di ritrovare
il genio popolare spagnolo, il primo con la sua Iberia, i Canti di
Spagna o la Rapsodia Spagnola, il secondo con le sue Zarzuelas
e con le Danze Spagnole per piano, il terzo anche con le Zarzuelas,
ma soprattutto con le sue Goyescas e le sette Canzoni Popolari.
Molte furono le opere dei musicisti europei che riconobbero l’influenza della
Spagna, dal Capriccio Spagnolo di Nicolai Rimsky-Korsakov (1844-1908)
alla Rapsodia Spagnola di Maurice Ravel (1875-1937), passando attraverso Spagna
di Alexis Emmanuel Chabrier (1841-1894), la Périchole di Offenbach
(1819-1880), El Contrabandista di Liszt o la Carmen di Georges
Bizet (1838-1875). Alcune opere resero invece omaggio all’Italia, dal Capriccio
Italiano di Tchaikovski, alla Suite Italienne (1934) di Igor
Stravinski (1882-1971), sino alla Sinfonia Italiana di Felix Mendelssohn
Bartholdy (1809-1847), che compose anche una Sinfonia Scozzese. E’ risaputo che in Gran Bretagna
nel corso del XVII e XVIII secolo le arie popolari irlandesi conobbero periodi
di grande popolarità, essendo in genere inserite all’interno di opere. A
titolo di esempio l’inglese William Shield compose nel 1782, con l’aiuto del
suo librettista dublinese John O’Keefe, The Poor Soldier, utilizzando
quasi esclusivamente arie popolari irlandesi. In tempi più recenti uno dei più
famosi compositori che si fecero tentare dalla musica popolare fu Sir Arnold Bax
(1883-1953), che per un certo periodo visse in Irlanda, a partire dal 1902, con
gli pseudonimi di Dermott McDermott e di Dermott O’Brien. Egli compose opere
dai titoli molto evocativi, come Cathleen Nì Houlihan, In the Faery
Hills o Roscatha, oltre a Into the Twilight ed In Memoriam,
quest’ultima opera dedicata a Patrick Pearse. Più tardi egli tornò in
Inghilterra, ove fu nominato cavaliere dal re Giorgio VI nel 1937, e dove
divenne, nel 1941, Maestro di Musica del Re. Ralph Vaughan Williams (1872-1958)
è pure noto per alcuni prestiti dai temi irlandesi, il più noto dei quali è
evidentemente la celebre Green Sleeves, la cui origine non è ancora
totalmente chiarita ma che, secondo l’opinione della maggior parte dei
musicisti classici, sarebbe comunque di origine irlandese. Citiamo pure,
all’interno di questo filone celtico, Mal Dun di John Ireland
(1879-1962) e, in Francia, due opere come la melodia Irlande (op.2) ad
opera di Hector Berlioz (1803-1869), l’Elegie di Henri Duparc
(1848-1933) sul’opera di Thomas Moore, Viviane o Le Roi Arthus
di Ernest Chausson (1855-1899), l’opera Myrdhin, la Suite Bretonne
e la Rhapsodie Gaelique di Paul Ladmirault (1877-1944), o ancora Le
Roi d’Ys di Edouard Lalo (1823-1892), Le Pays ed alcuni Poèmes
Symphoniques di Joseph Guy Ropartz (1864-1958), allievo di César Franck. La
Bretagna non fu la sola regione francese ad essere celebrata dai suoi figli: si
ritroveranno le Cevenne nella Symphonie Cévenole (1886) di Vincent
d’Indy (1851-1931), e l’Auvergne nei Chants d’Auvergne (1923-1930)
di Marie-Joseph Canteloube de Malaret (1879-1957), o infine nella Rhapsodie
d’Auvergne (1884) di Camille Saint-Saens (1835-1921). In Irlanda è nota l’immensa
importanza dell’arpista cieco Turlough O’Carolan (1670-1738) per quanto
riguarda il repertorio dei musicisti irlandesi tradizionali e barocchi, e si sa
pure come la sua musica fu influenzata dalla musica italiana allora in voga.
Qualche tempo più tardi, e sotto l’influenza della moda già citata a
proposito della Gran Bretagna, alcune opere utilizzarono arie popolari
irlandesi, come nel caso del Beggar’s Wedding (1728) di Charles Coffey
e l’Aria di Camera (circa 1730) di Daniel Wright. Ricordiamo anche
l’immensa popolarità che conobbero i testi di Thomas Moore (1779-1852)
pubblicati nel 1807 con il nome di Irish Melodies; le melodie raccolte a
tale scopo furono in realtà armonizzate da Sir John Stephenson. Di certo queste
opere non godettero di una popolarità maggiore rispetto a quelle del XIX secolo, ma
tuttavia non influenzarono meno un gran numero di compositori, come ad esempio
nel caso della Variazione
a 4 mani su un’aria nazionale (1828) di Frederic Chopin (1810-1849) o del Lieder
op. 25 N.17 & 18 (1840) di Robert Schumann (1810-1856). Si potrà anche osservare l’incontestabile influenza del dublinese John
Field (1782-1837) sull’origine del Notturno per quanto riguarda la sua
forma musicale (circa 1812),
sebbene sia facile (ma opinabile) sminuire l’importanza che l’Irlanda ebbe
su di lui in seguito alla sua definitiva emigrazione, nel 1802. Ricordiamo anche,
a questo proposito, che egli fu, durante i suoi lunghi e frequenti soggiorni
moscoviti, l’insegnante del futuro compositore russo Mikhail Glinka, eminente
compositore russo già citato. Nel corso del XIX secolo, ed agli
inizi del XX secolo, alcuni compositori irlandesi si cimentarono nella
celebrazione patriottica, così ben riuscita nell’Europa dell’Est: citiamo
la Fantasia on Irish Airs di Sir Robert Stewart (1825-1894), una Irish
Symphony in Mi minore di Sir Arthur Sullivan (1842-1900), un’altra Irish
Symphony e sei Irish Rhapsodies di Sir Charles Stanford (1852-1924),
ancora una Irish Rhapsody di Victor Herbert (1859-1924), un poema
musicale With the Wild Geese, un’orchestrazione della celebre Londonderry
Air ed infine una Irish Symphony di Sir Hamilton Harty (1879-1941). Probabilmente anche per l’influenza di
John F. Larchet (1884-1967), che insegnò composizione all’University
College of Dublin ed alla Royal Irish Academy of Music a partire dal
1921, la prima metà del XX secolo vide la nascita
delle prime opere classiche d’ispirazione gaelica, come Muirgheis
(1903) di O’Brien-Butler, Eithne (1909) di Robert O’Dwyer, le sei Irish
Rhapsodies e la Terza Sinfonia di Carl Hardebeck, oltre ad alcune
opere di Eamonn O’ Gallchobhair, Seoirse Bodley, Aloys Fleischmann e più
tardi Brian Boydell, talvolta influenzati da melodie tradizionali, più spesso
invece tendenti a ricreare questo spirito attraverso alcune frasi
caratteristiche della musica tradizionale irlandese. Citiamo anche gli
arrangiamenti di arie popolari proposti da Walter Beckett, Proinsìas O’Cedallaigh, Arthur Duff, Eamonn O’Frighil, Frederick May, Fachtna O’hAnnarachàin, Archie Potter, Dònail Suibhne ed alcuni altri. Nell’insieme
queste opere non ebbero che una scarsa eco negli ambienti della musica classica
europea: infatti uno dei principali problemi incontrati da questi compositori
consisteva nella scarsa “flessibilità” della tradizione musicale irlandese
ed in una sua scarsa adattabilità alla musica classica. Joseph J. Ryan spiega a
questo proposito: “Il problema
essenziale, e prevedibile, incontrato dalle persone che tentano di riadattare
una musica ben distinta, fondata su un idioma popolare, è che le caratteristiche
stesse della musica tradizionale, per il loro carattere lineare e la loro struttura
approssimativa, la rendono poco adatta alla creazione di una composizione di
grande respiro: la canzone popolare non può essere adattata a composizioni di
questo genere; ad essa manca una caratteristica fondamentale: l’attitudine
allo sviluppo.” Tra
le poche donne che riuscirono a farsi largo nell’universo prettamente maschile
della musica classica citiamo Augusta Holmes (1847-1903), compositrice di
origini irlandesi, particolarmente prolifica ma sconosciuta al grande pubblico,
malgrado qualcosa come 130 canti patriottici inneggianti alla gloria
dell’Irlanda, ed Elizabeth Maconchy, che visse a Dublino ma che era nata in
Inghilterra nel 1907. In tempi più vicini a noi Joan Trimble compose
un’opera, Blind Raftery,
omaggio al poeta gaelico del XVIII secolo, commissionata dalla BBC.
Quest’opera non è mai stata eseguita in Irlanda. Si
impongono alcune considerazioni sull’assenza di successo internazionale
lamentata da tanti arrangiatori irlandesi. Oltre ai reali problemi di
adattamento, di cui si è già detto, (ma che Brahms o Liszt avevano d'altra
parte intelligentemente aggirato), è purtroppo anche innegabile la generale assenza
di delicatezza negli arrangiamenti proposti: l’insieme è purtroppo spesso più vicino
alle colonne sonore dei film muti di inizio secolo che non, ad esempio, alla
focosa vitalità di un Brahms. E’
anche da sottolineare il lavoro molto importante svolto da John Reidy, più noto
con il nome di Seàn O’ Riada, che ottenne un enorme successo nel 1959 con i
suoi arrangiamenti classici di temi popolari come "Ròisìn
Dubh" per il film Mise Eire. I
compositori irlandesi più recenti tendono maggiormente ad interpretare
l’identità musicale irlandese in modo personale: Shaun Davey ottenne un
grandissimo successo con la sua suite orchestrale per uilleann
pipes The Brendan Voyage (1980), ed
in seguito con la suite Granuaile
e The Pilgrim. Mìcheàl O’ Sùilleabhàin
è attualmente uno dei compositori più prolifici ed inventivi nell’ambito
delle combinazioni tra musica classica e musica tradizionale irlandese. Egli
dirige dal 1994 l’Irish World Music Centre
del Dipartimento di Musica dell’Università di Limerick. Bill Whelan infine,
dopo una breve militanza nel gruppo dei Planxty verso la fine degli anni ’70 e
lo scarso successo della sua Seville Suite,
ha conosciuto a partire dal 1994 un successo senza precedenti
grazie alle sue composizioni per lo spettacolo Riverdance, basato in gran parte sulla ricerca dei punti di unione fra varie
musiche tradizionali, tra cui la musica irlandese, e sul rinnovamento
dell’aspetto scenico della danza tradizionale irlandese. Sarà infine interessante osservare che gli scambi tra musica classica e musiche tradizionali non si limiteranno mai esclusivamente ad un prestito a senso unico di temi popolari, di ritmi o di frasi caratteristiche: si possono anche ritrovare alcune danze o alcuni strumenti considerati tradizionali all’interno di molte opere del repertorio classico, talvolta anche in modo sorprendente. Nella maggior parte dei casi questi scambi non indicano tuttavia un processo di affermazione della propria identità, contrariamente ai vari prestiti musicali evocati fino a questo punto, e non saranno quindi oggetto di studio nel presente lavoro. Prenderemo invece in considerazione le ripercussioni irlandesi di queste molteplici affermazioni nazionalistico-musicali europee. Il
patriottismo culturale irlandese embra
che Gavan Duffy sia stato tra i primi a prendere coscienza del carattere
eminentemente simbolico, sebbene anodino in apparenza, della musica nel contesto
storico-sociale dell’Irlanda del XIX secolo. Co-fondatore del giornale The
Nation nel 1842 con Thomas Davis e John Dillon, egli prese a chiedere ai suoi
lettori di comporre delle nuove ballads
su pre-esistenti temi musicali già noti: il giornale in questione conobbe
allora una notevole popolarità, probabilmente anche grazie a questa rubrica, ed
i risultati andarono ben oltre le aspettative, dando così origine di fatto ad
un rinnovamento, oltre che ad un rinascimento, della musica irlandese. “Le ballads di “The Nation” costituirono una parte importante della canzone nazionalista dell’Irlanda di quegli anni. Esse facevano parte del repertorio di qualsiasi orchestra, ed una in particolare, “A Nation Once Again”, fu adottata quasi come un inno nazionale. Esse furono insegnate nelle scuole, in qualità di eccellenti esempi della nostra tradizione nazionalista canora, ed ancora oggi ben poche serate musicali non hanno almeno uno di questi brani tra le varie esecuzioni cantate.” Così
dal 1842 al 1845 furono pubblicate oltre 800 ballate, tutte in inglese, la
maggior parte delle quali oggi sono cadute in oblio. Il problema della lingua
non è il solo ad evidenziarsi all’esame del repertorio composto in
quest’epoca: il desiderio di affermare una identità condusse purtroppo gli
apprendisti-poeti di The Nation
a descrivere più una cultura ideale che una realtà di tipo quotidiano. Desmond
Kenny spiega a questo proposito: “Così molte
ballate di The Nation sono in forma imperativa, come nel caso di “Aspettate
l’ora!” o di “Siate pazienti!”; altre volte una ballad poteva comportare
una morale, come nel caso di un “Aiutati, che Dio ti aiuta”. In queste
situazioni The Nation si atteggia in modo condiscendente nei confronti del
popolo anziché cantare in vece sua, e si percepisce nettamente un implicito
sentimento di superiorità (…) Le ballate storiche di The Nation furono
scritte con uno scopo ben definito, e il più
delle volte la morale era più importante dello stesso racconto.” Tocchiamo
tra parentesi in questo caso il problema molto sensibile delle varie classi sociali, in
un’epoca in cui la classe media, qui rappresentata da Duffy, Davis e Dillon,
si sentiva verosimilmente più vicina da un punto di vista culturale all’Ascendency
aristocratica che non alle basse classi sociali di lingua gaelica. Le
organizzazioni culturali patriottiche giocarono quindi un ruolo particolarmente
importante ai fini della conservazione e della preservazione musicale di cui si
è parlato, a partire dal 1840 e fino ai nostri giorni. Come del resto era già
avvenuto per la letteratura ed il teatro, i militanti della fine del XIX secolo
compresero ben presto che l’identità di un Paese passa evidentemente anche
attraverso le sue espressioni artistiche: l’affermazione di una musica
irlandese venne considerata uno degli elementi fondamentali a testimonianza
dell’esistenza dell’Irlanda stessa di fronte al mondo. La
prima di queste organizzazioni fu la G.A.A. (dall’inglese Gaelic
Athletic Association, in gaelico Cumann
Lùth-Chleas Gael), fondata nell’Hayes
Hotel a Thurles, nella Contea di Kipperary, il 1 novembre 1884 dallo sportivo
Maurice Davin, il repubblicano Michael Cusack ed il Dr. Croke, arcivescovo di
Cashel, con lo scopo di “restaurare” gli sport nazionali. In realtà, come
fu sottolineato a più riprese, il suo vero scopo era in realtà contrastare i
quattro sport considerati “inglesi”: il Cricket, introdotto in Irlanda verso
il 1792, il Rugby, introdotto verso il 1850, il Football, introdotto
nell’ottobre 1878, e l’Hockey, sport più vecchio. Al fine di stabilire una
“identità sportiva irlandese”, e di instaurare questa stretta distinzione
considerata necessaria tra le due culture, fu così proibito ai membri degli
sport cosiddetti “gaelici” di praticare questi quattro sport. Si fecero
addirittura risalire anche le origini dell’hurling (hurley nel
XIX secolo) ad eroi mitici quali Cùchulain o Fionn Mac Cumhaill, grazie ad
alcune interpretazioni molto “libere” dei testi delle saghe. E’ qui
comunque interessante constatare che la prima grande associazione con finalità di
identità nazionale si fondò non su alti ideali intellettuali, ma bensì su uno
dei principali interessi quotidiani di ogni popolo, con forti connotazioni
emozionali e culturali: lo sport. Il
decennio 1890-1900 fu essenzialmente testimone del grande rinnovamento
letterario irlandese, con l’emergere della sua figura emblematica, William B.
Yeats. Folgorato dall’incontro con l’anziano leader feniano John O’Leary
nel 1884, egli pubblicò nel 1889 The
Wanderings of Oisìn and Other Poems, nel
1892 The Countless Cathleen an Various Legends and Lyrics,
fondò nel 1891 il Rhymer’s Club,
ed a Dublino diede nascita alla National Literary Society. La
letteratura ed il teatro ebbero così, in Irlanda più che altrove, un ruolo
fondamentale grazie al grande contributo di scrittori e drammaturghi alla
vita intellettuale e politica del Paese, a causa del clamore che spesso
accompagnava le prime teatrali o le partecipazioni dirette, spesso messe in
pratica dallo stesso Yeats. Nella sua opera “Gli Irlandesi” Seàn O’Faolain
consacra così agli scrittori (curiosamente posti tra i preti ed i politici) uno
dei capitoli più completi del suo saggio sulle tracce della storia dello
“spirito” irlandese: “Il
rinnovamento letterario riassume l’insieme di questa trasformazione di una
razza secolare, sconfitta, e quindi depressa, quasi totalmente privata delle sue
tradizioni, in un popolo più o
meno moderno, giacchè tale processo prosegue nel tempo ed è ben lungi
dall’essere giunto a termine.” Seàn
O’Faolain mostra in questo modo il legame, discreto ma permanente, che si crea
tra un Paese e la propria letteratura,
ovvero l’importanza degli scrittori nella
ricostruzione mentale dell’Irlanda della fine del XIX secolo, oltre al ruolo
giocato dalla letteratura irlandese su un piano internazionale. E’ quindi
incontestabile che quest’ultima abbia contribuito a concretizzare
l’esistenza dell’Irlanda in qualità di nazione intellettualmente
indipendente nello spirito dei molti osservatori stranieri. Ci sarebbe da
scommettere che se una tale opera fosse pubblicata oggi, essa comprenderebbe un
capitolo, o almeno alcuni paragrafi, sull’importanza della musica e dei
musicisti per il rinnovamento dello spirito irlandese, e più in particolare per
quanto riguarda le problematiche relative all’accettazione delle influenze esterne, oltre ai necessari adattamenti che ne
scaturiscono. La
metamorfosi dello spirito irlandese tra l’inizio e la fine del XIX secolo
risulta evidente considerando i suoi scrittori. Quelli che parteciparono al
rinnovamento letterario di cui si è detto, tutti di lingua inglese, per la
maggior parte anglo-irlandesi, diedero il via ad una doppia svolta della vita
irlandese: essi non solo permisero all’Irlanda di far la sua comparsa sulla
“carta geografica mentale” di
uomini e donne di tutto il planeta, ma lo fecero con l’uso della lingua
considerata fino ad allora (ed ancora per qualche tempo) la lingua
dell’invasore, il simbolo dell’oppressione, rendendo di fatto l’Irlanda
una nazione bilingue per i decenni a venire. La
terza tappa della riconquista della propria identità, quella della lingua, non
si sarebbe potuta avere senza la ricostruzione dei miti irlandesi, intrapresa
nel decennio precedente da Yates o da Lady Gregory. L’impresa era questa volta
molto più ardua, essendo la lingua gaelica associata alla vita miserevole delle
campagne dell’ovest dell’Irlanda. Douglas
Hyde poteva quindi affermare il 25 novembre 1892, davanti alla National
Literary Society di Dublino, che era divenuto necessario “disanglicizzare”
l’Irlanda, aggiungendo inoltre, senza batter ciglio: “Ciò che non
dobbiamo mai dimenticare è che l’Irlanda di oggi è l’erede dell’Irlanda
del VII secolo (…). E’ vero che uomini venuti dal nord vi si insediarono
durante il IX ed il X secolo; è anche vero che i Normanni vi si insediarono in
misura maggiore nei secoli successivi, ma nessuna di queste invasioni ha mai
interrotto la continuità della vita sociale su quest’isola.” La
Liga Gaelica (Conradh na Gaeilge
o Gaelic League) fu quindi
fondata, in gran parte in virtù di queste considerazioni, il 31 luglio 1893
sotto la guida di Douglas Hyde e di Eoin McNeill. Il suo scopo non era
d’altronde solo di ritrovare tutta la vitalità della lingua, ma anche di
restituire a tutti gli irlandesi una sufficiente fiducia nella propria cultura,
nei confronti della quale non provassero più vergogna. La musica e la danza
rappresentarono pure due buoni mezzi a tale scopo: è per questo motivo che
corsi di gruppo, più semplici da gestire, furono rapidamente instaurati in
Irlanda ed in Inghilterra, e si assistette ben presto alla nascita delle Céilì
Dances nella Londra del 1897, ed
successivamente ai primi concorsi musicali. La Liga Gaelica divenne in seguito
un’organizzazione governativa, e conta oggi circa 200 diramazioni, tra
Irlanda, Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna. I
primi segni del rinnovamento gaelico furono molto incoraggianti: per la prima
volta, dopo il declino della lingua gaelica, nomi gaelici venivano imposti ai
neonati. Ciò, che all’epoca non era di moda, è oggi un’abitudine molto più
radicata nelle usanze irlandesi, come chiunque potrebbe osservare consultando i
registri delle nascite. Ma questi tentativi ebbero tuttavia come effetto
negativo quello di sacralizzare una lingua considerata moribonda, nel mentre si
perpetuava, presso coloro che parlavano gaelico, questa vergogna ancora
associata tenacemente all’immagine di povertà di cui essa era intrisa. Il
vasto movimento romantico del XIX secolo, vettore di associazioni più o meno
oscillanti tra cultura e nazionalismo, contava ancora molti adepti. La
musica non fu mai esclusa da questo movimento: il celebre Thomas Moore
(1779-1852), di cui si è già detto, ebbe il grande merito di attirare
l’attenzione sul repertorio musicale irlandese. I primi segnali del
rinnovamento musicale irlandese sono tuttavia precedenti, e come spesso accade,
frutto di iniziative individuali. I
primi festival arpistici ebbero luogo a Granard dal 1784 al 1786, ma gli
incontri più importanti in tal senso si tennero a Belfast dall’11 al 13
luglio 1792. Dieci arpisti risposero all’appello degli organizzatori; di essi,
sei erano ciechi, e tra essi vi era una sola donna (Rose Mooney); il più
vecchio Denis Hempson, aveva 97 anni, ed era tra l'altro l’ultimo degli
arpisti a suonare con le unghie; il più giovane, William Carr, aveva 15 anni. Questo
era lo spirito degli organizzatori di questi incontri di arpisti della fine del
XVIII secolo: “Alcuni
cittadini di Belfast (…) si proposero di aprire una sottoscrizione allo scopo
di tentare di ravvivare e perpetuare l’antica musica e poesia d’Irlanda.
Essi desideravano ardentemente preservare dall’oblio quei pochi frammenti che
erano riusciti a sopravvivere, autentici monumenti
del genio e del gusto raffinato dei nostri antenati (…) Considerando quanto
strettamente siano legati lo spirito ed il carattere di un popolo con la sua
musica e la sua poesia nazionale, i patrioti e gli uomini politici irlandesi non
considerarono di certo tutto ciò come indegno del proprio sostegno e della
propria protezione.” Malgrado
la scarsa eco a breve termine di queste manifestazioni, in gran parte causata da
litigi a carattere personale, era stato fatto un passo importante per la
salvaguardia della musica tradizionale irlandese, essenzialmente mediante
l’immagine dell’arpa. Sarà da ricordare che questo strumento fu l’emblema
della Society of United Irishmen,
che nacque a Belfast il 14 ottobre 1791 grazie a Theobald Wolfe Tone. Per inciso
è a questo punto da notare che le divisioni tra protestanti e cattolici erano
all’epoca molto meno intense rispetto a oggi, e che un gran numero di questi
sostenitori erano di religione protestante, come del resto la maggior parte dei
collezionisti di antiche forme musicali. A
questo punto del presente studio, ed in seguito all’esame dei vari elementi
presi in considerazione, è quindi interessante giungere ad una prima
riflessione su uno strumento che costituisce un legame storicamente fondamentale
in Irlanda tra musica, nazionalismo ed identità: l’arpa. Salvata in
gran parte da questo strumento-simbolo, la musica tradizionale irlandese sembra
nonostante ciò trascurarla. Molto discreta nell’ambito dell’attuale
discografia, l’arpa rappresenta l’Irlanda solo
all’esterno dell’isola, sostituita all’interno dell’Irlanda dalla
cornamusa, come già evidenziato. Questa dicotomia tende a sottolineare due
elementi cruciali nella percezione attuale della musica irlandese. Come, infatti,
ignorare che la sopravvivenza della musica tradizionale irlandese è dovuta
maggiormente all’immagine dell’arpa durante il XIX secolo, strumento
considerato come valore simbolico di un insieme storico-culturale, più che alla
musica per arpa propriamente detta? Se gli organizzatori dei grandi
incontri di Granard e di Belfast avevano a cuore di fare annotare da parte dei
musicisti il maggior numero possibile di melodie, essi avevano in realtà come
scopo principale dimostrare il perpetuarsi di una cultura più che millenaria,
ed il suo sopravvivere attraverso i peggiori disastri e le peggiori
vicissitudini. Questo connubio riuscì in seguito anche grazie alla persona di Edward
Bunting, che seppe valorizzare questo patrimonio musicale. In
queste condizioni è facile constatare nell’ambito di questa relativa
discrezione contemporanea dell’arpa una contraddizione tra l’immagine
idealizzata dell’Irlanda come veniva immaginata dai patrioti del XIX secolo, e
la realtà economico-culturale del XX secolo. Notiamo tuttavia che esistono
tentativi isolati tendenti a rendere l’arpa uno strumento più popolare, come
quelli intrapresi da Janet Harbison all’interno della Belfast Harp Orchestra. Durante
una buona parte del XIX secolo, la musica conobbe una eclissi, e si dovette
attendere la risalita di interesse nei confronti dell’arpa, verso la fine del
medesimo secolo, per tornare a vedere una certa attenzione nei confronti di
questo soggetto. I primi studi completi al riguardo fecero in quel periodo la
loro comparsa: il primo del genere, dovuto a William Henry Grattan Flood, fu
pubblicato nel 1904, e si chiama A
History of Irish Music, e presenta così la
sua ricerca: “Sebbene la
verde Irlanda sia l’incarnazione della canzone popolare, non è ancora
comparsa nessuna Storia della Musica Irlandese degna d’interesse – vale a
dire una storia della vera musica irlandese celtica e della musica
anglo-irlandese. Non possediamo alcun documento che ricordi questa “arte
divina”, in cui i Celti eccellevano.” La
ripetuta citazione dei Celti in questo paragrafo introduttivo dell'opera in
questione testimonia da sola il predominare del fine sui mezzi: essenzialmente ciò che in
definitiva era importante era il dimostrare a quale punto l’Irlanda fosse di
natura puramente celtica e, per quanto riguardava Grattan Flood, sia in campo
musicale che letterario. Alcuni anni più tardi Francis O’Neill, eminente collezionista, concluse la sua opera principale, The Dance Music of Ireland: “Pur essendo
coscienti che il libro perfetto deve ancora essere scritto, speriamo di
testimoniare con questa opera, che tende a sopperire ad una carenza ben
riconosciuta, una considerazione tanto generosa da potersi ragionevolmente
intendere come un tentativo privo di qualsiasi interesse personale, al fine di
promuovere un disegno patriottico.” Le
tracce di questa infatuazione patriottica ereditata dal XIX secolo spuntano
ancora qui e là all’interno degli studi più seri, sebbene esse appaiano nel
tempo sempre meno numerose. Qualche tempo prima della sua morte, Sean O’Boyle
coglieva così ad esempio alcune similitudini tra il celebre alfabeto Ogham,
utilizzato in Irlanda a partire dal IV secolo, e la notazione musicale,
insistendo sul fatto che il dio Lug fu il primo destinatario di un ogham
(inventato dal dio Ogma). Egli propose infatti,
a spiegazione di questa scrittura ancora scarsamente compresa, la notazione
musicale per arpa in forma di intavolatura. Non
sembra tuttavia che sia stato seguito su questa strada poiché, senza entrare
all’interno dell’eterno dibattito sul valore linguistico della musica, tali
affermazioni sembrano una volta di più rivelatori di una mera fantasia
collettiva. E’
tuttavia in questo modo che la musica è diventata per alcuni oggetto di
venerazione al pari della lingua irlandese da parte degli adepti del “tutto
gaelico”. E’ anche così che ancora oggi si incontrano musicisti pervasi da
uno spirito di evangelizzazione musicale, pronti a ergersi a censori di qualsiasi
forma di ibridizzazione melodica, ritmica o strumentale. Allo
stato attuale, ed in modo leggermente divergente, il nazionalismo musicale
irlandese sembra essersi concentrato nelle sei contee dell’Irlanda del Nord,
attraverso una ricca produzione di stampo repubblicano, in particolare durante
il decennio 1970-1980. Esistono ovviamente anche i musicisti lealisti, ma sono meno
numerosi. In
questo contesto si dovrà anche stabilire una differenza molto netta tra musica
cantata da un lato, molto popolare tra le classi rurali, e la musica strumentale
dall’altro. Anche per quel che riguarda quest’ultima, la particolare situazione
culturale dell’Irlanda del Nord ha stabilito un divario molto
preciso tra le due fazioni, e la musica tradizionale ha talvolta raggiunto la
lingua gaelica come simbolo della tradizione repubblicana. Così i cattolici
formano la schiacciante maggioranza dei musicisti organizzati all’interno del Comhaltas
Ceoltòirì Eireann, ed i musicisti
provenienti dalle suddette sei contee sono, ancora una volta, nella maggior
parte dei casi cattolici. E’ anche da notare che solo pochi gruppi
dell’Irlanda del Nord riescono a farsi conoscere a Dublino, nonostante vi
siano stati alcuni tentativi di unificare musicisti dell’Irlanda del Nord e
del Sud, come in seno all’etichetta discografica C.B.M. (Cross-Border
Media). E’ anche risaputo che l’Irish
Traditional Music Archive è sostenuto da un
punto di vista finanziario dall’Arts
Council della Repubblica e
dall’Arts Council of Northern Ireland; infine
la sezione di etno-musicologia (dipartimento di antropologia sociale) della Queen’s
University, per molto tempo diretta da John
Blacking a Belfast, consacra alcune delle proprie ricerche alla musica
irlandese. La
composizione delle ballads è invece un fenomeno ben ancorato
all’interno delle due comunità dell’Irlanda del Nord, consentendo i testi
di esprimere le proprie opinioni, e anche perchè gli scambi, nonostante tutto,
non sono
impossibili, come testimoniato da questo esempio, nella contea di Armagh: “Jim
O’Neill, allora dell’età di 27 anni, era un tessitore (…), un
appassionato di football gaelico, e suonava il tamburo nella fanfara del
villaggio. Sebbene repubblicano, egli apprese molte canzoni grazie ad un
orangista maestro nell’arte del tamburo”. Una
delle caratteristiche principali delle canzoni generate dagli eventi
dell’Irlanda del Nord tende innanzitutto al perpetuarsi di uno stile di
ballata che utilizza il più piccolo degli incidenti, la più piccola delle
storie, per la composizione di nuove strofe su melodie per lo più preesistenti. Esse
perpetuano le abitudini stabilite nel corso del XIX secolo da Thomas Davis: a
differenza di queste ultime però, esse non mirano a raccontare una “buona
novella” al popolo, ma si limitano a narrare un fatto, generalmente in
maniera tendenziosa. E’ ad esempio noto che la canzone “The Men
Behind the Wire” di Pail McGuigan riscosse un immenso successo commerciale
nell’Irlanda del Nord nel 1971. Se
si prende in esame l’insieme della produzione discografica a carattere
militante nel corso degli ultimi 25 anni, un solo gruppo sembra emergere e
perdurare, i Wolfe Tones, il cui repertorio si basa pressochè esclusivamente
sulle ballate repubblicane a carattere rivendicativo. Sebbene non eccessivamente
apprezzato in Irlanda, questo gruppo di quattro musicisti si è ritagliato una
buona reputazione nell’Europa continentale, in cui non si mancherà mai di
rammentare la loro esistenza in qualsiasi discussione sulla musica tradizionale
irlandese. A voler considerare la musica solo dal punto di vista del messaggio
partigiano, questo gruppo s’è d’altro canto alienato il favore di una gran
parte della popolazione irlandese, per la quale una tale attitudine rimane
essenzialmente l’espressione di un estremismo facile e opportunista. Non
è quindi la volontà cosciente e partigiana degli irlandesi che è
all’origine del rinnovamento della musica irlandese, dal momento che una
simile alleanza non ha dato frutti per quel che riguarda la lingua gaelica; ci
si limiterà tuttavia a constatare che alcuni turisti (francesi in particolare),
ritenendo i Wolfe Tones rappresentativi della musica tradizionale irlandese,
immaginano che gli irlandesi siano per natura tutti nazionalisti e
rivoluzionari. “Gli irlandesi
adorano cantare (…) Purtroppo questo piacere sociale nei confronti del canto
è stato coltivato in modo particolare in questi ultimi anni da parte di
cantanti con motivazioni politiche (…); alcune “canzoni ribelli”
nazionaliste per patrioti da bancone simbolizzano purtroppo la canzone irlandese
per l’ascoltatore occasionale”. Anche
i Dubliners figurano nel firmamento dei “ballad
groups”, dopo la loro fondazione nel 1962
con il nome di The Ronnie Drew Group, e senza dubbio grazie alla loro longevità
più che al loro attaccamento ad un particolare repertorio. A proprio agio in
tutti gli stili, strumentali compresi, essi non privilegiano meno il repertorio
cantato rispetto alle ballads irlandesi, con una tendenza
pro-repubblicana nettamente marcata. Nessuno, ancora, potrà dubitare del
talento di Christie Moore che sa talvolta, anche se in modo più discreto,
vivacizzare i suoi dischi ed i suoi concerti con canzoni chiaramente
pro-repubblicane: “Back Home in Derry” (di Bobby Sands) o “The
People’s Own M.P.” sono in tal senso validi esempi. A
parte questi tre esempi, i musicisti irlandesi più costantemente presenti nei media rimangono
in genere in silenzio nei riguardi della questione dell’Irlanda del Nord.
Aggiungiamo infine a questa lista alcune velleità repubblicane passeggere con i
Pogues (“Young Ned of the Hill”) o con gli U2 (“Sunday Bloody
Sunday”) per concludere il tour dei musicisti irlandesi famosi per
quanto riguarda questo problema. Sarà quindi inutile voler ridurre l’universo della musica tradizionale irlandese alla storia, così come essa è rappresentata dai suoi ardenti difensori o dai suoi militanti entusiasti. Identificata in maniera chiara dagli abitanti del pianeta e oggi più vivace che mai, la musica irlandese non cessa di evolversi ed offrirsi verso nuovi orizzonti. Ciò in gran parte a causa della molteplicità e del rinnovamento continui degli elementi che la compongono, che andremo ora ad analizzare, prima di tentare di dare alcune risposte alle domande precedentemente evocate. |