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Colin Reid:Tilt Più volte è stato ironicamente evidenziato un inconfutabile dato di fatto: in campo chitarristico il cosiddetto “British Fingerstyle”, che nei decenni passati aveva visto gloriosamente affacciarsi alla ribalta strumentisti del valore di Davey Graham, John Renbourn, Bert Jansch, Martin Carthy e (in tempi più recenti) Tony McManus e Keith Hinchliffe, è paradossalmente passato quasi per intero nelle mani (e nelle dita) dei chitarristi americani. Il giovane astro nascente di Colin Reid contribuisce a spostare di nuovo il baricentro della chitarra acustica da questa parte dell’Atlantico. È infatti molto grande la reputazione che questo chitarrista di Belfast ha saputo guadagnarsi in breve tempo in Irlanda e in Gran Bretagna, sia in qualità di strumentista che di compositore: il grande chitarrista (ex-Pentangle) Bert Jansch è notoriamente persona che non ama le iperboli, ma a proposito di Colin Reid si è espresso in questi termini: “Colin mi fa venire in mente un’unione musicale tra me e John Renbourn!” E c’è un lato ironico in questa affermazione, dal momento che per sua stessa ammissione, anche se il suo nome viene spesso affiancato a quello dei vari Renbourn, Graham ecc., Colin Reid asserisce candidamente di conoscere ben poco di questi suoi presunti “predecessori”! Converrà a questo punto ripercorrere le tappe della carriera artistica del chitarrista-compositore nord-irlandese. Da bambino Colin iniziò a prendere (come spesso accade) malvolentieri e su insistenza della madre lezioni di piano: dopo breve tempo promise alla madre che avrebbe imparato qualsiasi altro strumento, pur di smettere (e oggi Colin ammette di essersi in seguito profondamente pentito di quella scelta...). Come molti ragazzini, Reid iniziò allora a prendere in mano la chitarra (che a quei tempi era sempre, rigorosamente, elettrica) e formò la sua prima band, una delle migliaia di band britanniche degli anni ‘80, in fondo tutte abbastanza simili tra loro. Crescendo, Colin prese a lavorare in un negozio di dischi, esperienza che gli permise (ovviamente!) di entrare in contatto con un illimitato numero di esperienze e spunti musicali. La sera invece il tempo era dedicato alla chitarra. In seguito Reid si iscrisse ad un corso per chitarra elettrica alla Musicians Institute of Technology a Londra. Ne uscì quasi nauseato: era uno di quei posti dove vengono sfornati session musicians, tutti velocissimi, preparatissimi tecnicamente, ma purtroppo tutti con lo stesso modo di suonare. Non era quello, che Colin aveva in mente! Scoprì infatti che ciò che desiderava era solo lasciar perdere ogni diavoleria elettronica e dedicarsi alla chitarra acustica ovvero, per usare una sua espressione, “riassaporare il contatto con il legno, le corde e niente altro”. In quello stesso periodo, Colin “scoprì” la musica del grande fingerpicker francese Marcel Dadi. Reid iniziò così a suonare un mix di fingerpicking, ragtime e standard del jazz, ma soprattutto iniziò a comporre. Nel 1997, in seguito ad un tour in America con i Loose Connections di Niamh Parsons e Dee Moore, Colin iniziò ad esibirsi come solo guitarist a Belfast e dintorni, creando lo scompiglio tra gli appassionati di chitarra nord-irlandesi: un eccellente chitarrista, ricco di idee musicali e dalla tecnica sopraffina, era improvvisamente sbucato fuori dal nulla! Un anno dopo (siamo nel 1998-99) viene pubblicato il suo primo album, l’omonimo Colin Reid, registrato nelle isole Orcadi insieme al violoncellista Neil Martin, alla fiddler Catriona McDonald e al grande Tony McManus, per l’occasione al mandolino. La critica specializzata inglese si espresse al riguardo in termini entusiastici, e le porte dell’America si aprirono al giovane chitarrista di Belfast, cosa in generale abbastanza inconsueta per un chitarrista acustico. Bert Jansch lo invitò ad esibirsi in sua compagnia, e lo stesso avvenne in seguito con la cantante Eddi Reader. Colin riuscì soprattutto, grazie a questa sua prima esperienza discografica, ad uscire dall’ambito del circuito dei pub, ambiente che evidentemente poco si addice alla sua musica. Il chitarrista di Belfast ottenne infine una nomination quale miglior musicista irlandese all’Hot Press Rock & Pop Awards del 1999, assieme a divi del calibro di The Edge, Jim Corr e Davy Spillane. L’anno successivo ha visto Reid impegnato in un lungo tour in Australia, Hong Kong e Nuova Zelanda, comprendente anche alcuni festival (Port Fairy Folk Festival, Adelaide Fringe e Brunswick Music Festival). Ma soprattutto ha visto nascere l’interesse nei confronti della sua musica da parte della storica Topic Records, per la quale nel 2001 Colin pubblica l’album Tilt. Da questo CD è tratto il brano “Daedalus’ Lament”, presente sul CD di New Age Music di questo mese. Ancora una volta in questo disco si confermano le grandi doti di strumentista di Colin Reid, ma anche una ispirata vena compositiva e la notevole abilità nell’arrangiamento di altrui composizioni: memorabili in tal senso sono ad esempio la celeberrima “Never Going Back Again” (nell’occasione cantata da Eddi Reader), di Lindsay Buckingham e la gustosissima “Music For A Found Harmonium”, eseguita in accordatura aperta (DADGAD). Ad eccezione di due brani si tratta di un album strumentale, la cui musica ha molto spesso i colori di un ensemble di musica da camera, per la frequente presenza di strumenti come il violino, la viola e il violoncello. È però sbagliato confinare questo disco nell’ambito della musica classica contemporanea, per una parallela, forte presenza di elementi fingerpicking, ragtime e jazz. In ogni caso si tratta di un prodotto di gran classe, testimonianza di un grande talento sia dal punto di vista compositivo che prettamente chitarristico. Abbiamo posto alcune domande a Colin sulle sue idee musicali e sulle sue influenze artistiche: Colin, lei gode di una buona popolarità sia in Gran Bretagna che in Irlanda. Supponiamo che si dovesse presentare al pubblico italiano: quali sono le sue caratteristiche musicali? “È una domanda che mi mette in difficoltà, dal momento che ognuno riceve dalla musica sensazioni differenti. Se proprio dovessi dare una definizione di quello che faccio, parlerei di musica per l’anima. Dal punto di vista strumentale tutto ciò che tento di fare è riuscire ad esprimere al meglio dal punto di vista tecnico ciò che compongo”. Ascoltando questo suo ultimo CD, Tilt, sono percepibili molte influenze, dalla musica classica al pop: quali sono le origini della musica che compone? “C’è di tutto, nella mia musica. Molta musica classica, ad esempio: se vuole sapere cosa attualmente ascolto maggiormente, beh, metterei al primo posto le suite per violoncello di Bach, ma subito dopo Jeff Buckley e Martin Hayes!” Ma perché il titolo del CD è proprio Tilt? “È stato quasi un voler mettere la mani avanti, un anticipare con ironia le critiche che mi sarebbero state mosse…” In che senso? “Il mio primo album era quasi esclusivamente composto da musica per solo guitar. Tilt invece è quasi del tutto un disco non solistico. Proprio a causa di questo brusco mutamento di rotta mi aspettavo delle reazioni negative: alcuni infatti hanno pensato che fossi uscito fuori di testa, che fossi andato in corto circuito, insomma che il mio cervello fosse andato in tilt: d’altra parte è comprensibile, si aspettavano un certo tipo di prodotto, e se ne ritrovano uno del tutto differente. Ma tutto sommato è un problema loro, non mio…” Lei è di Belfast. Che peso ha la musica tradizionale irlandese nel suo background musicale? “Se devo essere sincero, molto limitato. Conto però di interessarmene maggiormente in futuro. Ho ancora tanto da imparare, ma sono ancora giovane…” Dal punto di vista chitarristico, lei suona in accordatura standard, o preferisce le accordature aperte? E anche lei ritiene, come altri suoi colleghi, che se ne cominci ad abusare? “Per lo più suono in accordatura standard, solo qualche volta in “DADGAD”, ancora più raramente in “open G tuning”. Sì, effettivamente forse si tende ad usare le open tunings in modo eccessivo, ma basta ascoltare qualsiasi disco di Joni Mitchell per capire come dovrebbero essere usate le accordature aperte”. E sempre dal punto di vista dello strumentista, quali sono stati i chitarristi più importanti per la sua crescita musicale? “Quando ho cominciato a suonare ero molto influenzato dai dischi di mio fratello e di mia sorella, ovvero Jimmy Page e Dave Gilmour per quanto riguarda mio fratello, e Paul Simon e Joni Mitchell, che erano i preferiti di mia sorella. In tempi più recenti mi hanno entusiasmato Marcel Dadi e Dennis Cahill”. Ci parli delle sue collaborazioni musicali. “Non vedo grosse differenze con la musica solistica, nel senso che l’unica cosa diversa è che si sperimenta insieme ad altri strumenti. Ad esempio attualmente mi piace lavorare sulla musica per trio (chitarra, piano e contrabbasso), con un ristretto gruppo di archi. Di recente invece mi è capitato di suonare con un organico molto allargato, ed è stata un’esperienza che ha richiesto molto tempo. Spero di ripetere in futuro simili esperimenti musicali”. In Tilt è spesso citato “Icarus”. Di che si tratta esattamente, visto che non è spiegato nelle note di copertina? “Icarus è il titolo di un lavoro che mi è stato commissionato per il festival Celtic Connections, a Glasgow. Si basa sulla storia di Icaro, dalla mitologia greca. Alcuni dei brani di questa suite son presenti sul CD” I suoi programmi per il futuro… “Innanzitutto un nuovo disco, che sono certo uscirà quest’anno. Attualmente sto scrivendo e raccogliendo materiale proprio in funzione di questo nuovo album. A parte questo, i concerti, come sempre. Attualmente il mio obiettivo principale è portare la mia musica in Europa. Perché questo è un dato di fatto veramente singolare: ho fatto concerti in po’ in tutto il mondo, dall’America al Canada, da Hong Kong all’Australia, sino al Giappone, ma ho suonato pochissime volte in Europa…e ovviamente vorrei proporre le mie composizioni anche al pubblico europeo, per me è molto importante!” Per finire, cosa ci può dire del brano scelto per presentare la sua musica ed il suo ultimo CD sulla compilation di Keltika, questo “Daedalus’ Lament”? “Complimenti per la scelta, anche per me “Daedalus’ Lament” è un brano molto particolare! Nel comporlo ho cercato di ricreare musicalmente una parte della storia molto forte dal punto di vista narrativo, la scomparsa di Icaro: di tutti i pezzi che compongono la suite, è anche quello che ha riscosso il maggiore successo. Elaborato, ma avvincente!” Ulteriori informazioni su Colin Reid sono reperibili presso il sito ufficiale della Topic Records: http://www.topicrecords.co.uk
Discografia: Colin Reid (Veesik Records 1999) Tilt (Topic Records 2001) TSCD530 © New Sounds 2000
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