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Christy O’Leary & Bert Deivert – Song’s Sweet Caress Dalla Svezia con passione Intervista di Alfredo De Pietra È la “dolce carezza di una canzone” che ci arriva dalla fredda Svezia, ma questo Song’s Sweet Caress è anche uno dei più interessanti album di musica irlandese degli ultimi mesi. Provare per credere. Negli scorsi mesi in più di un’occasione ci è capitato di recensire album di musicisti irlandesi che per vari motivi hanno deciso di vivere all’estero: si pensi agli Shantalla in Belgio, a Gillie McPherson in Francia o alla “romana” Kay McCarthy. In tutti questi casi ci troviamo in presenza di opere dai risultati estremamente interessanti, grazie alla sensibilità di musicisti che riescono a fondere nella propria arte elementi proprî della tradizione musicale dei Paesi che li ospitano. La storia si ripete con questo ottimo Song’s Sweet Caress, opera del duo composto dal piper e vocalist Christy O’Leary (per dodici anni con The Boys Of The Lough) e dal chitarrista/bouzoukista americano (di origini irlandesi) Bert Deivert. I due mostrano infatti una grande abilità nel miscelare Irlanda e musica scandinava, e se non bastasse riescono a unire all’interessante impasto anche un certo approccio jazzy, tipico di molti musicisti del nord-Europa. Basti ascoltare, ad esempio, la opening track, “Green Grows The Laurel”: l’accompagnamento di Deivert è arricchito dal sax soprano di Jonny Wartel, e la voce di Christy O’Leary si interseca con le linee melodiche create da un sax e da una chitarra elettrica…ma rimane comunque musica tradizionale irlandese, e per di più di altissimo valore, anche se perfettamente calata nella realtà artistica del ventunesimo secolo (…qui e là fa capolino addirittura un guitar synth…). Song’s Sweet Caress è un’autentica serie di gemme musicali. Sulla compilation di “Keltika” di questo mese abbiamo scelto, a presentare questo album, la composizione della flautista svedese Eva Deivert (moglie di Bert) “Bembring”, brano che scorre in modo del tutto naturale in “Up Downey”, tune scritta da Tola Custy; ma è l’intero CD di Deivert e O’Leary ad essere di alto livello. Una menzione particolare va, a nostro avviso, a “The Slave’s Lament”, composizione scritta da Robert Burns e interpretata dalla voce di Christy O’Leary in modo splendido, per molti versi nel mood tipico delle sonorità jazz degli anni Cinquanta, con alcune nuance che ci riportano addirittura a Chet Baker (!). Nell’occasione O’Leary è accompagnato dalla chitarra di Gunnar Backman e di nuovo dal sax di Jonny Wartel. Pochi secondi di pausa, tuttavia, ed ecco che l’energico set di reel “The Watchtower Set” ci riporta bruscamente in Irlanda, a testimoniarci di essere in presenza di uno dei migliori dischi Irish (e magari non solo Irish…) oggi in circolazione. Il sito web del duo è rintracciabile all’url: www.deivert.com/oleary.html Bert, lei vive in Svezia dal 1974, e leggendo il suo curriculum si ha l’impressione di un musicista dai molteplici interessi. Insomma, non solo musica irlandese… Bert: “Innanzitutto la famiglia di mia madre è di origine irlandese, e sono cresciuto circondato dalla musica Irish…ho anche imparato il tap dancing! Insomma, mi è stata instillata quella specie di “irlandesità” tipica della comunità degli irlandesi d’America. Durante l’adolescenza mi spostai verso il rock – oltre la chitarra, suonavo la batteria e cantavo. Quando arrivai in Svezia cominciai a interessarmi al folk inglese e americano, soprattutto ai grandi chitarristi come Jansch, Renbourn e Graham. Ricominciai a suonare musica Irish nel 1976 con un gruppo olandese, King’s Galliard. Iniziai ad esercitarmi al cittern e al bouzouki, e praticamente suono questa musica da allora. Semplicemente, era però impensabile guadagnarsi da vivere in Svezia con l’Irish music. Per questo motivo tutto è rimasto per ancora molto tempo a livello amatoriale: suonavo questa musica per puro divertimento, anche insieme a mia moglie.” Come avvenne il suo incontro con Christy O’Leary? Bert: “Nel 1999 avevo sentito dire che un suonatore di cornamusa irlandese abitava a un centinaio di chilometri da casa mia, e che per giunta aveva suonato con i Boys Of The Lough. Onestamente però io non conoscevo questa band. Ordinai tramite internet il suo disco solistico (The Northern Bridge) e rimasi molto colpito dal suo album. Gli scrissi, e gli mandai alcuni miei demo, sia di musica irlandese che svedese (che tra parentesi è molto particolare, e non è detto che piaccia a tutti). Gli chiesi se volesse partecipare alle mie incisioni, lui rispose di sì, e così ebbe inizio il nostro sodalizio.” E ora suonate insieme a tempo pieno? Bert: “Consideri che in Scandinavia il pubblico per questo tipo di musica è piuttosto limitato! Ma a parte questo, credo che oggi sia difficilissimo per chiunque vivere di sola musica. Certo, lavoriamo spesso insieme, e il nostro album è in questo senso un punto di arrivo ma anche, speriamo, un punto di partenza verso un’attività concertistica ancora più intensa. I concerti sono il modo migliore per farsi conoscere, ma d’altra parte non possiamo stare sempre on tour, visto che…abbiamo anche una famiglia! E inoltre cerchiamo sempre di allargare le nostre esperienze musicali anche in altri contesti, in altre formazioni.” Qual è la reazione del pubblico svedese alla votra musica? Bert: “Abbiamo un buon successo, ma lo svedese medio non ha la minima idea di cosa sia la musica irlandese…e spesso in Svezia non riescono neanche a distinguere tra le band tradizionali valide e quelle scadenti! In altri termini è solo il feeling, la sensazione epidermica, di questa musica ad attirarli. Le band del tipo “da pub” non mancano, ma la vera musica tradizionale qui è pressochè sconosciuta. Non mancano tuttavia ottimi musicisti. Ancora, manca l’esperienza comune – e importante – della session, ad eccezione di qualcosa in città come Stoccolma, Göteborg e Malmö. Se vogliamo, il massimo successo di questa musica si è avuto in Svezia alla fine degli anni Settanta e negli Ottanta.” Christy, cosa l’ha portato a vivere in Svezia? Christy: “Mia moglie Lisa è svedese, e verso la fine della mia esperienza con i Boys Of The Lough avevo comprato una casa qui, quindi…Comunque è un ottimo posto dove far crescere i propri figli.” Ecco, appunto, i Boys Of The Lough…cosa le resta di quell’esperienza? Christy: “È stata un’esperienza che ha completamente cambiato la mia vita. Mi ha portato in posti che altrimenti non avrei mai visto, mi ha fatto conoscere tanta gente, è stata una grande esperienza artistica! Ho imparato tanto, sia musicalmente che in termini di spettacolo. E lo stesso fatto di vivere in Scozia con loro per dodici anni è stato una splendida esperienza, anche perché così ho avuto modo di approfondire la mia conoscenza con la musica scozzese.” Ma insomma, è meglio suonare musica irlandese in Irlanda o in Svezia? Christy: “Quando suoniamo in Irlanda la musica è un elemento del tutto naturale, c’è un’identità totale tra il musicista e la sua musica, e ciò è indubbiamente bello; ma vivendo all’estero hai modo di entrare in contatto con la musica e i musicisti del Paese che ti ospita, e ciò porta ad un interscambio che alla fine ti apre nuove prospettive.” Andiamo a questo vostro album… Christy: “Suoniamo insieme da tre anni, e spesso si era parlato di incidere qualcosa insieme. Qualche tempo fa ho ascoltato della musica da film composta da Bert insieme a Gunnar Backman, e ho pensato che sarebbe stato bello unire la musica del nostro duo con alcune di quelle idee: Song’s Sweet Caress è il risultato di questa idea. Non saprei se definire “moderno” il nostro approccio…so solo che ci siamo divertiti, lasciando intatta l’integrità di questa musica.” Bert: “Credo che il mio background musicale, piuttosto eclettico, sia responsabile di un certo approccio moderno, avvertibile in questo disco. Si è unita la tradizione – Christy – e il mio stile, abbastanza “nuovo”, e questo spiega la nostra particolare sonorità, tutto sommato abbastanza unica. Lo so, alcuni puristi possono pensare che siamo un po’ troppo audaci, ma il nostro rispetto nei confronti della musica irlandese credo sia assolutamente evidente. Non dimentichiamo inoltre l’influsso della musica tradizionale svedese. Forse quello che suona “moderno” nel nostro CD non è altro che una differente tradizione che mostra i suoi colori…”
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