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Cara Dillon, ovvero il grande successo fin dall’album di esordio. Provate a indovinare chi guida, al momento, la folk top ten del celebre e ben fornito Tower Records di Londra: Dubliners, Chieftains, Mary Black e altri “mostri sacri” occupano le posizioni di rincalzo, ma al numero uno, da svariati mesi, staziona stabilmente l’album di esordio di questa giovane cantante irlandese, dalla voce esile e dall’aspetto di una ragazzina. E da questo pluri-premiato album presentiamo ai lettori di Keltika due brani tra i più significativi, scelti a rappresentare in modo adeguato una cantante di cui certamente sentiremo molto parlare nei prossimi anni. Cara Dillon nasce a Dungiven, nella contea di Derry, nel 1975, e la sua famiglia – cosa frequentissima in Irlanda – “mastica” musica tradizionale praticamente da sempre: sua sorella Mary, ad esempio, è stata la cantante del famoso gruppo Deanta. Nel 1989, ovvero a soli quattordici anni, Cara si aggiudica il prestigioso “All Ireland Singing Trophy, e in seguito diventa la vocalist della band Oige, con cui conosce i palcoscenici di Gran Bretagna, Germania e Israele oltre che, naturalmente, d’Irlanda. La sua voce non passa inosservata, e le prestazioni della giovanissima cantante iniziano ad essere richieste da artisti del calibro dei De Dannan e di Phil Coulter. Arriviamo al 1995, e la Dillon prende il posto di Kate Rusby nel gruppo Equation: è un buon acquisto per la band, al punto che la Warner Music inglese offre agli Equation un contratto sotto etichetta “Blanco-y-Negro”. La permanenza di Cara all’interno del gruppo durerà sino al 1996, anno in cui Cara abbandona gli Equation assieme ad un altro dei membri di quel gruppo, Sam Lakeman. Il particolare è molto importante per la successiva carriera della Dillon, poiché il suo sodalizio artistico con Lakeman diverrà da allora in poi una costante. Pur abbandonando gli Equation, Cara e Sam rimangono all’interno dell’etichetta Blanco-y-Negro sperimentando le più svariate combinazioni musicali: nel 1997 registrano a San Francisco un album di composizioni originali e fanno conoscenze importanti nel mondo della produzione discografica. Cara, dal canto suo, viene chiamata anche da Mike Oldfield a cantare “Man In The Rain” nell’ambito del progetto Tubular Bells 3. Tutte queste collaborazioni, tuttavia, sembra non convincano appieno il duo Dillon-Lakeman, che alla fin fine si ritrova regolarmente a sperimentare sui propri demo, spesso registrati in modo casalingo nel cottage della famiglia Lakeman. In fondo è proprio questa la molla che spinge Cara Dillon e Sam Lakeman a scindere, nell’estate del 2000, il contratto con la Warner Music e dedicarsi alla produzione in prima persona della propria musica: Cara si sente sempre più attratta dalla musica tradizionale, e di conseguenza iniziano le registrazioni di questo omonimo Cara Dillon: i brani dell’album, naturalmente prodotto da Sam Lakeman, vengono registrati nel Donegal e a casa dello stesso Lakeman, in compagnia di amici e parenti. La sorella di Cara, Mary Dillon, partecipa alle registrazioni, come del resto anche due fratelli di Sam, Sean e Seth Lakeman. Geoff Travis, che segue il duo sin dagli anni degli Equation, riesce ad ottenere per Cara un contratto con la inglese Rough Trade, e così l’album Cara Dillon viene pubblicato in Gran Bretagna a luglio del 2001, mixato da John Reynolds, membro della band Ghostland. Passano poche settimane, e il disco supera anche le più rosee aspettative della vigilia: soprattutto in Gran Bretagna la voce di Cara Dillon “sfonda” alla grande e piace al pubblico del circuito folk (e non solo), ricevendo entusiastiche reazioni anche da parte della critica: se da una parte il magazine della catena discografica HMV colloca Cara Dillon alla posizione n.12 dei migliori album – in assoluto! – del 2001 (tra l’altro unica presenza di musica folk all’interno di questa classifica), l’Hot Press decreta al disco di esordio della giovane cantante il titolo di “Best Roots Act” nell’aprile del 2002. Ancora, l’album della Dillon si guadagna ben quattro nomination tra i prestigiosi BBC Radio 2 Folk Awards, per le categorie miglior album, migliore cantante, migliore esordiente e infine migliore riarrangiamento di un brano tradizionale, con la splendida versione di “Black Is The Colour”, che potete ascoltare nella compilation di Keltika di questo mese. Ebbene, proprio in queste due ultime categorie la Dillon conquista il primo posto. Infine, il referendum dei critici musicali del mensile Folk Roots posiziona questo disco al settimo posto nella categoria “World Music”, ovvero il gradino più alto raggiunto quest’anno da un disco di musica prodotto nel Regno Unito: per un’esordiente, che registra il suo primo disco a casa di un amico, veramente difficile poter immaginare tutto ciò! Scendendo maggiormente in dettaglio, non è difficile capire il motivo di tanto successo, già al primo ascolto di Cara Dillon: si tratta di un disco veramente particolare, un puzzle perfettamente riuscito, una splendida alchimia di vecchio e nuovo, su cui si stende l’esile, magica voce della cantante nord-irlandese. Basti guardare ad esempio alla strumentazione adottata dalla band di supporto: pochissimi strumenti realmente tradizionali, a vantaggio di chitarra, pianoforte, basso elettrico, tastiere e batteria, ma tutto ciò non snatura minimamente il prezioso materiale tradizionale scelto dalla Dillon. Anzi, se una versione così “moderna” di un brano come “Black Is The Colour” arriva a conquistare il premio per il miglior riarrangiamento di un “traditional”, sinceramente non possiamo che plaudire alla scelta dei colleghi d’oltre-Manica, tanto risulta naturale, “viva” e convincente questa versione. Colpisce anche la maturità artistica di questa ventiseienne cantante, evidentemente decisa ad uscire allo scoperto solo nel momento in cui si è sentita pronta ad esprimere la propria musicalità in modo compiuto. La sua voce, esile ma espressiva, e comunque molto accattivante, dà il massimo di sé in brani come la splendida “Donald Of Glencoe”, “Lark In The Clear Air” e “She’s Like The Swallow”, ma è tutto il CD che si ascolta d’un fiato e senza che siano avvertibili momenti di “cedimento”. Per la nostra compilation ci sono stati concessi due brani di questo eccezionale album, la già citata “vincitrice assoluta” “Black Is The Colour” ed un altro classico della tradizione vocale irlandese, quella “I Am A Youth That’s Inclined To Ramble”, che a molti ricorderà la versione “storica” registrata da Paul Brady all’incirca una trentina di anni or sono. Chi volesse approfondire la conoscenza con questo astro nascente della musica tradizionale irlandese può visitare il sito ufficiale della cantante, www.caradillon.com Cara Dillon: se è vero che il buon giorno si vede dal mattino…
Testo di Alfredo De Pietra Cara Dillon, Rough Trade, RTRADECD019 Testo di Alfredo De Pietra Piccole cantanti crescono A due anni di distanza dal celebrato disco di esordio della cantante nord-irlandese, grandi erano la curiosità e l’attesa per l’album successivo: Sweet Liberty conferma la sensazione di trovarsi in presenza di una artista di assoluto livello. Nel giro di soli due anni, Cara Dillon (sito web: www.caradillon.com) è riuscita a conquistare un posto di rilievo nel mondo della musica irlandese. Il suo album di debutto, presentato alcuni mesi or sono anche sul nostro magazine, ha messo in mostra la grandezza di questa giovanissima cantante dalla esile voce: in quel caso si trattava per lo più di canzoni tradizionali, riarrangiate con spirito moderno dal partner (nella vita oltre che nella professione) Sam Lakeman, e splendidamente interpretate dalla voce cristallina della cantante nord-irlandese. Il successo del CD Cara Dillon, pubblicato dalla Rough Trade Records (http://www.roughtraderecords.com/) raggiunse in breve tempo vette assolutamente inattese per un album di esordio, e anche la critica specializzata non tardò molto a scoprire le doti artistiche di questa – sino ad allora – sconosciuta ragazzina: BBC Folk Awards come miglior nuovo artista e miglior brano (“Black Is The Colour”); miglior album di musica tradizionale, secondo “Hotpress”; nono posto nella top ten nel referendum tra i critici indetto da “HMV Choice Magazine”. Il tutto corroborato da entusiastiche reazioni del pubblico che assisteva ai concerti della Dillon un po’ in tutto il mondo, Australia, Nuova Zelanda e Singapore compresi. Squadra che vince non si tocca, naturalmente, ed ecco che il secondo, recentissimo album di Cara Dillon, Sweet Liberty, si inserisce nettamente sulla scia del precedente CD. Prodotto da Sam Lakeman, e registrato in casa della cantante, nel Somerset, Sweet Liberty prende il nome da un verso di “The Emigrant’s Farewell”, track finale del disco. Questa volta i brani originali a firma Lakeman/Dillon sono cinque su dieci, ed è facile prevedere che la track che farà da traino all’intero album è la struggente “There Were Roses”, scritta da Tommy Sands, che affronta il tema delle problematiche nord-irlandesi con accenti pacifisti, e che ha già ricevuto una nomination per i BBC Folk Awards di quest’anno. È anche facile immaginare un grande successo, sia di vendite che di critica, per questo album, ottimamente concepito e costruito: la produzione di Lakeman è cresciuta di pari passo alla maturità canora della Dillon, se possibile ancora più legata, in Sweet Liberty, alla musica tradizionale della contea di Derry. La cantante, originaria di Dungiven, venne “esposta” dalla madre alla musica tradizionale sin dagli anni dell’infanzia. Anche sua sorella Mary ascolta questa musica da sempre, e a questo proposito vi è un gustoso aneddoto da raccontare: tempo fa Mary ritrovò alcune cassette registrate anni addietro durante le session nei pub di Dungiven e le diede alla sorella Cara. Bene, due di questi brani, opportunamente riarrangiati, sono oggi presenti in Sweet Liberty. Nel 1995, mentre si accingeva a intraprendere gli studi universitari, venne offerto alla cantante nord-irlandese di andare in Inghilterra a sostituire Kate Rusby nella band Equation: un’offerta cui era impossibile rifiutare. Venne registrato un disco, ma che non fu mai pubblicato. Poco male, tuttavia, perché fu proprio in quell’occasione che avvenne l’incontro sentimentale-artistico con Sam Lakeman, che avrebbe segnato l’esperienza musicale della Dillon fino a oggi. Dobbiamo confessare che grande è stata la nostra indecisione nella scelta delle track, tratte da Sweet Liberty, da presentare ai lettori di “Keltika”: tutte veramente belle. Alla fine abbiamo optato per un brano originale, “Where Are You”, in cui è forse possibile scorgere qualche punto di contatto con le sonorità della prima Kate Bush, e per la stupenda tradizionale “Bonny Bonny”: una dimostrazione di quanto affascinante possa risultare una semplice melodia quando si sposa con un arrangiamento sensibile e rispettoso della tradizione. Veramente un bel disco, un acquisto raccomandato.
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