Anne Lorne Gillies
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Anne Lorne Gillies - An Long Hirteach/St Kilda Mailboat

I suoni dell’isola fantasma

Testo di Alfredo De Pietra

Le canzoni dell’isola di St Kilda cessarono di esistere ben prima dell’invenzione delle tecniche di registrazione fonografica: grazie a un affascinante album i resti di questa antica civiltà di matrice celtica riescono ad emergere nell’ipertecnologico ventunesimo secolo.

Ci sono album che colpiscono per la bellezza della copertina, altri per un sound particolarmente ricco o innovativo, altri ancora per la bravura dei musicisti. Il fascino di An Long Hirteach/ St Kilda Mailboat è invece del tutto speciale, e cercheremo di illustrarvelo, ma per far questo dovremo necessariamente raccontarvi una storia. La storia di un’isola sperduta al largo della Scozia, un tempo paradiso chiuso in se stesso, lontanissimo dalle vicende storiche della madrepatria, abitato oggi solo dagli uccelli marini.

St Kilda è la più remota del gruppo delle isole britanniche, situata a un’ottantina di chilometri a occidente delle isole Ebridi. Il suo nome originario – gaelico – era Hirt, e venne abitata da una comunità di poche centinaia di persone di discendenza gaelica fino alla sua evacuazione, avvenuta nel 1930: persone descritte nelle cronache dell’Ottocento come gioviali e particolarmente amanti della musica.

Per secoli gli abitanti di Hirt avevano vissuto pescando, coltivando orzo e avena, catturando uccelli marini (principale mezzo di sostentamento alimentare) e allevando pecore. I contatti con il resto del mondo erano assolutamente sporadici: una volta l’anno un emissario veniva mandato presso la famiglia proprietaria dell’isola (i MacLeod di Dunvegan, nell’isola di Skye) a pagare le tasse, e ogni tanto arrivava un prete a celebrare battesimi e matrimoni: solo nel XIX secolo, con grande gioia della popolazione, vennero costruite una chiesa e una scuola. Fu nello stesso periodo che “la civiltà” iniziò a curiosare all’interno dell’isola, con le successive conseguenze che all’epoca difficilmente si sarebbero potute prevedere: alcune navi da crociera iniziarono ad approdare su Hirt (nel frattempo ribattezzata St Kilda), con i primi turisti intenzionati ad acquistare i prodotti artigianali dell’isola; folkloristi, fotografi e ricercatori di storie e leggende popolari cominciarono a fare capolino tra gli abitanti dell’isola, che prese ad importare beni di consumo (cibo, materiali edili, mobili, carburante) dalla Scozia: il concetto di autosufficienza iniziava così lentamente a sgretolarsi, e con esso si affacciava negli abitanti un certo senso di malcontento, derivante dalla consapevolezza di un mondo esterno, che per la prima volta appariva ai loro occhi “migliore”.

La prima emigrazione avvenne nel 1852: 36 isolani partirono alla volta dell’Australia. Ben pochi sopravvissero al viaggio, ma quei pochi si stabilirono a Melbourne, città dove ancora oggi uno dei quartieri prende il nome di St Kilda.

Il senso di isolamento (e quindi di vulnerabilità) peggiorò agli inizi del XX secolo: i giovani emigravano alla prima occasione, le epidemie di malattie infettive “di importazione” come la Spagnola mietevano vittime tra gli isolani, il cibo scarseggiava.

Fu così che il 10 maggio 1930 i 36 abitanti superstiti firmarono una petizione ufficiale con cui chiedevano di abbandonare l’isola, per andare “in qualsiasi posto dove sia per noi possibile una migliore opportunità di vita”. E il maestro, a scuola, scrisse nel registro di classe: “13 giugno: oggi molto probabilmente termina in modo definitivo la scuola a St. Kilda, poiché gli abitanti intendono abbandonare l’isola quest’estate. Spero di essere presto via da qui.

E in effetti il 29 agosto dello stesso anno i St Kildans lasciarono l’isola natìa a bordo di un battello, con qualche effetto personale e pochi mobili, ma con tutti i loro ricordi, la propria lingua e la propria musica. Una Bibbia venne lasciata in ogni casa, aperta sulle pagine dell’Esodo. Gli uccelli marini diventavano i padroni dell’isola, che l’anno dopo venne acquistata dal marchese di Bute (non a caso appassionato ornitologo), e che a sua volta la cedette nel 1957 al National Trust for Scotland (www.nts.org.uk); recentemente St Kilda è diventata il primo World Heritage Site scozzese, quale segno di riconoscimento del suo significato per la cultura gaelica.

Questa è la storia. Veniamo ora all’affascinante album di cui parlavamo, importante sia dal punto di vista storico che musicale, perché si tratta delle canzoni originarie dell’isola di St Kilda, eseguite dalla cantante (ma anche scrittrice, compositrice, docente universitaria e presentatrice televisiva: il suo curriculum è veramente impressionante…) scozzese Anne Lorne Gillies (www.annelornegillies.co.uk).

L’idea del disco nacque nel 2002, quando Lorne Gillies era impegnata in alcune conferenze e interpretazioni canore a bordo di una crociera tra le Ebridi, organizzata dal National Trust for Scotland: accompagnata da Rhona McKay (arpa celtica) e dal flautista Eddie McGuire, proprio con la nave ormeggiata presso Hirt, la cantante inanellò una serie di straordinarie canzoni originarie dell’ isola ormai fantasma. Canzoni semplici ma molto musicali, i cui temi erano ovviamente quelli che più si confacevano a una comunità isolata: l’amore ovviamente, ma anche canti di lavoro, celebrazioni della natura, inni gioiosi e a carattere religioso.

Fu un gran successo, e i primi a suggerire l’idea di un disco dedicato alla musica dell’isola fantasma furono proprio crocieristi e marinai. Il supporto del National Trust for Scotland ha reso possibile la realizzazione di An Long Hirteach/St Kilda Mailboat, album cui partecipano, oltre al trio Lorne Gillies-McKay-McGuire, anche Stephen Adam (tastiere e violoncello), Ben Edom (chitarra, voce e bodhrán) e Duncan MacColl (pipes e chitarra).

Il titolo St Kilda Mailboat si deve all’idea di quest’ultimo: essendo MacColl anche un artigiano del legno, ha pensato di costruire un mini-vascello di dimensioni tali da contenere il CD in questione, e di affidarlo alle onde proprio dall’isola di St Kilda in occasione del lancio dell’album. Questa non è una novità, per quanto riguarda Hirt: a quanto pare sono numerosissimi i casi di messaggi in bottiglia “partiti” dallo sperduto isolotto, e trasportati poi dalle correnti verso la Scozia o la Scandinavia.

Grazie all’album in questione abbiamo così l’inedita possibilità di ascoltare le musiche di questo lontano lembo di terra, intriso di cultura musicale celtica. Non si tratta, tuttavia – è bene precisarlo – di archeologia musicale: i settanta minuti di An Long Hirteach/St Kilda Mailboat contengono una musica che sa di antico, ma arrangiata in modo particolarmente convincente: si avvertono nettamente il senso di rispetto con cui i musicisti si sono avvicinati a questo materiale sonoro, il desiderio di proporre senza stravolgere, la voglia di far rivivere queste melodie.

Dobbiamo infine aggiungere a tutto ciò una sensazione personale: si dibatte, e si dibatterà sempre, sul significato del termine “celtico” riferito alla musica; bene, ascoltando questo album abbiamo avvertito in maniera netta (molto più che in tante altre occasioni) la percezione di un qualcosa di indefinibilmente ancestrale, che rimanda in qualche modo alle origini della civiltà celtica, nella sua più autentica peculiarità.

Sul sampler allegato a questo numero di “Keltika” presentiamo questo affascinante progetto con due brani: “Cas na caora Hirtich o/The St Kilda Sheep’s Shank”, divertente pezzo di puirt-a-buil, ovvero musica vocale da danza, che decanta le qualità delle pecore di St Kilda; e la meditativa “’S truagh a Righ nach mi bha thalland o/I Wish I was Over There”, nel cui testo sono evidenti i primi segnali di malcontento della popolazione isolana: una ragazza sogna di partire alla volta della terra lontana dove il suo amato l’ha preceduta, con lo scopo di crearsi una migliore occasione di vita.

Per informazioni sull’isola di St Kilda è possibile consultare il sito web www.kilda.org.uk