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in: http://www.abruzzocultura.it/abruzzo/alfredo-fiorani-intervista


Alfredo Fiorani

intervista
pubblicato il 16 Ottobre 2007 alle 17:24
scritto da: Simone Gambacorta


È nato a La Spezia, ma da anni vive in Abruzzo. Il suo nuovo libro è il romanzo “All’amore il tempo” (Manni). Alfredo Fiorani – scrittore, saggista, poeta – in quest’intervista risponde a una serie di domande sul “mestiere di scrivere”.
D Partiamo da lontano, dalle sue prime letture. Quali ricordi, quali suggestioni, quali emozioni affiorano volgendo lo sguardo a ritroso?
R La suggestione che permane, ripensando a quegli anni, è la sensazione di compagnia e d’evasione che quelle lontane letture suscitavano in me. Una “uscita” dal mondo per mano dei personaggi che via via incontravo nelle storie: un’immedesimazione totale tanto quanto mi accadeva nell’assistere ad un film. Ad osservare quel tempo con occhio psicanalitico ne deduco che la realtà che mi circondava non fosse del tutto soddisfacente
D Di quelle letture, quali l’hanno accompagnata negli anni? Quali sono, voglio dire, quelle che più hanno attecchito in lei?
R Credo, senza esagerare, che tutte le letture abbiano lasciato il segno. Per un verso o per l’altro me le ritrovo nella mente al punto da non distinguere a volte se talune sensazioni, atmosfere o quant’altro le abbia vissute realmente oppure raccolte dai libri
D Ma qual è il rapporto tra lettura e scrittura? In prima battuta la domanda sembrerà banale, ma mi è capitato di ascoltare pareri singolari, talvolta: lei che mi dice?
R Strettissimo. Quasi a percepire in certe circostanze, riallacciandomi alla domanda precedente, l’impressione di stare rivisitando un “luogo”, di rivivere qualcosa che ho già vissuto. Del resto, tutto - o quasi - è stato scritto, ma ciò che contraddistingue un autore dall’altro è il modo nuovo di riproporre un concetto, una storia. Flannery O’Connor affermava che forse non c’è niente di nuovo da dire, ma c’è sempre un modo nuovo per dirlo
D Adesso parliamo della scrittura. Qual è stato il passaggio, o il processo, che l’ha portata dalla pagina letta a quella scritta?
R E’ stato un passaggio naturale. Non ricordo d’essermi posto il problema. Una volta apprese dalla lettura le modalità per architettare una storia e avendo scoperto che la lettura dava piacere, ho stabilito che quella della scrittura era il modo a me più congeniale di dare piacere o comunque di segnalare la mia esistenza. Gabriel Garcia Marquez affermò che scriveva per essere amato
D Per lei scrivere cosa significa?
R Tuttavia, la scrittura per me è comunicazione di sé e, ampliando il discorso, della propria visione dell’esistenza che, in ragione della sua complessità, richiede un continuo processo d’avvicinamento, di studio allo scopo di chiarirla agli altri, ma anche a se stessi. Se così non fosse, si scriverebbe un solo libro
D Come vive il tempo (le ore, i minuti) della scrittura?
R Con dedizione monastica. Un rito che si perpetua giorno dopo giorno. Un impegno totalizzante, imprescindibile. Un continuo guardare fuori e dentro se stessi. Vivo la vita scrivendo. D’altronde, citando Pirandello, la vita o la si vive o la si scrive
D Quando scrive è metodico?
R Non in forme maniacali o nevrotiche
D Lei ha esordito con i racconti “La 13° ora cessò il vento delle campane”. Racconti, appunto: cos’è un racconto?
R Il racconto, il racconto breve intendo, è la forma letteraria più difficile. Metaforicamente parlando, è un colpo di fucile: secco, preciso, dritto al bersaglio. Gli scrittori di racconti, quelli veri, sono dei cecchini. La capacità di scrivere un racconto è un dono. Non s’impara: o ce l’hai o non ce l’hai. Nella brevità balistica si concentrano tutte le espressioni letterarie. Basta un non nulla, la più semplice distrazione, un errato calcolo sulla distanza o sul vento, un’indecisione sul grilletto che l’obiettivo inevitabilmente verrà mancato
D Oggi, quando pensa a quel libro, cosa sente?
R Il tempo che è trascorso. Col senno di poi, è un libro che non ripubblicherei. Voglio dire che se tornassi indietro, sarei più cauto, cercherei di maturare qualche esperienza in più, farei di tutto per tenere a bada la smania di far sentire la mia voce
D Dopo i racconti, un romanzo: “Il fiume e le stelle”. Replico la domanda di prima: cos’è un romanzo?
R Anche per “Il fiume e le stelle” vale quanto ho detto poc’anzi. Più che un romanzo è un lungo racconto. In verità, anche in questo caso, una pubblicazione dettata dalla frenesia di comunicare al mondo la mia esistenza. Mi sono fatto travolgere, comportandomi press’a poco come un naufrago su di un’isola che affida al mare messaggi in bottiglia nella speranza che qualche nave di transito ne raccogliesse almeno una. Mi domando: sto ancora su quell’isola? Venendo alla definizione di come intendo il romanzo, le rispondo come avrebbe risposto Raffaele La Capria: è la capacità di fissare l’atmosfera di un momento storico, un tratto di vita personale o che riguardi un’intera società con tutto quanto in esso vi è contenuto. Il romanzo diventa, dunque, l’unico strumento per andare oltre il visibile
D Poi sono arrivate le poesie di “Rimestando”, con prefazione di Walter Mauro. Come convivono – o coabitano – in lei la prosa e la poesia?
R La raccolta di poesie “Rimestando” segna una svolta nella mia attività letteraria. Innanzitutto perché iniziai ad adottare con quella plaquette un nuovo pseudonimo. Fu un po’ come ricominciare daccapo. Un “inizio” che coincideva con la presa di coscienza che la scrittura avrebbe segnato definitivamente la mia vita a prescindere dal successo editoriale o dal favore della critica. Mi sentivo anima e corpo uno scrittore. Per quanto concerne la poesia, il rapporto con essa è saltuario, ma non occasionale. Intendo dire che la poesia rappresenta una sorta di discesa nella psiche, allorquando le questioni più intime e sofferte richiedono una più adeguata capacità rappresentativa ed espressiva che solo il verso riesce a soddisfare
D Ma la scrittura, la scrittura in quanto atto, è una? Oppure esistono diverse scritture? Mi spiego: la scrittura è un’unità proteiforme (racconto, romanzo, verso) o una sommatoria di parti differenti?
R E’ la sommatoria di parti differenti. L’una, la poesia, si occupa del “dentro”; l’altra, la prosa, del “fuori”, benché conservino il tratto comune della tensione e dell’impianto narrativo
D Da poco è apparso per Manni il suo nuovo romanzo, “All’amore il tempo”. Mi racconta com’è nato?
R Stabilire come nasce un romanzo è sempre complicato nel senso che spesso mi è capitato di architettare una storia la cui idea iniziale risaliva ad anni ed anni addietro. Non scartata, ma semplicemente accantonata o perché non ancora matura oppure per far posto ad urgenze insorte nel frattempo di tale forza da soppiantare tutto il resto. Evidentemente, intorno alla nuova idea si erano create delle condizioni ideali, un terreno fertile da favorirne la crescita. Intorno “All’amore il tempo” ruotavano già da un po’ l’idea del dolore, di certe amarezze della vita, dell’impotenza di fronteggiare le avversità, le debolezze della psiche, l’umiliazione dell’intelligenza. Così ho ritenuto che a rappresentarle nel loro insieme il sentimento dell’amore fosse il più adatto. In esso si manifesta il meglio o il peggio dell’uomo in una combinazione talvolta inestricabile, incomprensibile, inqualificabile, terribile; il terreno di scontro prediletto tra la ragione e la follia, tra il percepibile e gli inafferrabili quid dell’esistenza di ciascuno di noi
D Nel titolo sono contenute due parole universali, “amore” e “tempo”: come incidono l’uno e l’altro nel suo rapporto con la realtà?
R La mia vita è stata attraversata da diverse esperienze sentimentali che hanno inciso il mio “tempo” condizionandolo e, conseguentemente, condizionando tutto quanto in esso vi era compreso. Non esiste legame più stretto tra l’amore e il tempo. L’uno in funzione dell’altro in un gioco strambo d’alternanze, di sudditanze reciproche, di dilatazioni o compressioni presenti nel divenire di un rapporto sentimentale
D Oltre all’amore e al tempo c’è il dolore…
R E’ vero, c’è il dolore. Per questa ragione il romanzo non è esattamente un romanzo d’amore, semmai è la metafora di transiti dolorosi che ci investono umiliandoci e ossessionandoci. Allora, s’impone il ricorso a tutte le nostre risorse, fisiche e psicologiche, per non rimanere schiacciati, per trovare una via di salvezza
D Tra i suoi precedenti romanzi ci sono anche “L’incantatrice orientale” e “La memoria impura”. Se lei dovesse sintetizzarli (so di chiederle qualcosa di difficile) in una formula, cosa direbbe?
R L’incantatrice orientale”, nel ristretto ambito di un circo, è la rappresentazione allegorica dell’essere umano con i propri limiti, debolezze, aspirazioni, ideali. Quanto a “La memoria impura”, lo ritengo un romanzo “religioso”. Non può non definirsi tale, essendo intriso di ammissioni di colpa, di richiesta di perdono, di confessioni, di propositi al cambiamento, di pentimento. E’ Caino che vuole liberarsi di Caino
D Che rapporto c’è tra questi due libri e “All’amore il tempo”? Anche – o soprattutto – per quanto concerne le differenze…
R Permane un malessere più o meno sotterraneo, più o meno dichiarato che riguardi il singolo o la piccola comunità del "Circo Internazionale Arrabbal"
D Ma lei crede che i suoi libri l’abbiano cambiata?
R Io sono i miei libri. Se i miei libri tentano di scandagliare i sentimenti più oscuri e riposti dell’animo umano ed essendo io un essere umano, per la proprietà transitiva, io sono i miei libri
D Qual è il suo rapporto con la lingua?
R E’ un rapporto di profondo rispetto
D Come è cambiato, di libro in libro, questo rapporto?
R Non è mai cambiato. Anzi, si è rinsaldato nel tempo
D In un racconto o in un romanzo dà maggiore attenzione allo stile o alla trama?
R L’attenzione è per entrambi. Ciò che ritengo importantissimo è che lo stile si fonda con la storia. Realtà romanzate differenti non si possono proporre con lo stesso stile, ovvero ogni storia ha il suo stile
D E che rapporto sviluppa con i suoi personaggi?
R Pensandoci, credo che siano burattini del mio piccolo teatro, perché sono sempre io a governarli, a tirarli per i fili. Agiscono secondo la mia volontà. Ogni scrittore non coltiva forse, sotto sotto, l’idea d’onnipotenza?
D Come nasce un personaggio di un suo libro?
R I miei personaggi sono presi dalla realtà e poi vengono plasmati e diretti sulla pagina. In fondo, io sono il burattinaio-regista
D Lei è anche saggista. Ricordo un suo saggio, “La tela di Penelope”, sulla scrittura femminile. Ma quindi c’è una scrittura maschile e una femminile…
R Più che di scrittura parlerei di sensibilità, di punti di vista, di capacità psicanalitiche differenti. Non potrebbe essere diversamente. Le donne sono più attente ai dettagli, a certi temi che le riguardano in particolare, ma da qui a distinguere la scrittura in femminile e maschile ce ne passa
D Restiamo in argomento: sta per uscire, o forse è uscito, un suo libro su Laudomia Bonanni. Scrittrice abruzzese, ma soprattutto scrittrice. Cosa ama della Bonanni?
R La capacità inequivocabile di sintesi, la bellezza dei personaggi resi sempre funzionali e vitali al racconto, il governo delle parole e il dominio della frase poi rendono la struttura narrativa un edificio perfetto da sentirsi partecipi della narrazione, come se il lettore fosse testimone dello svolgersi dei fatti
D Laudomia Bonanni è a suo modo una grande dimenticata. Mi cita altri scrittori, anche non abruzzesi, che ritiene meriterebbero maggiore attenzione?
R Tra gli scrittori abruzzesi mi viene subito da pensare a Luciano Ricci, mentre al di fuori dell’Abruzzo a Stefano D’Arrigo e a Francesco Biamonti
D Ultima domanda: lei è nato a La Spezia e vive in Abruzzo. Qual è il rapporto che ha con questa terra?
R Oramai posso considerarmi definitivamente abruzzese, benché la prima aria che si è respirata resta dentro, a sorreggere una vaga, impalpabile nostalgia. L’aria e la luce compresa tra Portovenere e Lerici non è che si dimentichi tanto facilmente. In ogni caso, l’Abruzzo dal lato paesaggistico è un angolo di paradiso. Uno dei pochi in Italia che può definirsi ancora incontaminato, fuori dalle piste carovaniere del turismo di massa. Qualcuno non è contento di questo, comprensibile. Ma io spero, egoisticamente, che l’isolamento duri a lungo, che si conservino le rupi prima di spianarle per farne un immenso, chiassoso divertimentificio


Intervista di Simone Gambacorta