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“Interattività fisica vuole dire che l'architettura stessa muta. Sappiamo che esistono già case intelligenti in cui l'ambiente cambia a seconda della situazione. Vi è lo scenario ospiti in cui automaticamente si attenuano alcune luci, si aprono alcune porte, si muovono alcune pareti scorrevoli o controsoffitti, si crea una temperatura e un flusso di aria. Magari, e ci si sta arrivando con delle microfibre nei rivestimenti, nel vetro, addirittura nei nuovi marmi, anche le caratteristiche fisiche delle pareti possono interattivamente cambiare nella grana, nella porosità, nella capacità di assorbimento del suono o del colore. E accanto allo scenario ospiti se ne possono avere mille altri. Cominciare ad applicare queste idee in una prassi più allargata, adoperarla non solo come è oggi nelle case dei ricchissimi ma anche e sempre di più negli edifici pubblici, nei musei, in alcune parti di città è appunto uno degli esiti auspicabili dell'architettura. E sono quasi certo che nel 2006 vedremo qualcosa di maturo anche come coscienza "estetica" su questo terreno.”

A.SAGGIO, in “Nuova soggettività”
leggi l' articolo (http://architettura.supereva.it/coffeebreak/20040718/index.htm)

COMMENTO ALL’ARTICOLO:

PAESAGGI MENTALI INFINITI

Si può creare un’architettura comune che possa essere anche soggettiva? Sicuramente si potrà in futuro scegliere la propria casa, ma un museo, una stazione, possono “piegarsi” alle esigenze estetiche e funzionali di ognuno? Credo che qualche passo avanti si sia già fatto ma bisogna rivolgersi ad altri aspetti che dell’architettura sono propri.
Immaginiamo che ognuno di noi rappresenti un colore…ecco…l’architettura sta probabilmente diventando sempre più bianca, cioè sta cercando di contenere in sé ogni colore.
Dal punto di vista estetico un edificio, ad esempio, può assorbire in sé il concetto di tempo diventando scultura (vedi Gehry) e quindi cambiare in ogni prospettiva.
Anche i meccanismi stessi di distribuzione funzionale si stanno evolvendo in questo senso:
libertà di movimento, non unicità di percorsi, possibilità di personalizzazione degli stessi. L’abilità dell’architetto contemporaneo si trova proprio nella capacità di prevedere l’esigenza del singolo come elemento fruitore dello spazio.
Oggi la parola di moda è la “flessibilità” (che a volte è pericolosamente vicina alla “precarietà”, ma che introduce sicuramente un nuovo modo di vivere), si vuole essere liberi da ogni tipo di scansione temporale e fisica.
Questo avviene probabilmente perché, usciti, o quasi, dai totalitarismi ci si sta accorgendo che alla mente umana appartiene uno spazio infinito che non può e non deve essere limitato. Come nel “monologo di Molly” dell’Ulisse di Joyce i pensieri scorrono in un flusso incessante, saltando da un concetto all’altro, da un sentimento all’altro. L’aver preso coscienza di questa potenzialità è la vera risorsa della “terza onda”.
E, se il paesaggio della mente è infinito, l’uomo non può che cercare di materializzarlo creando un qualcosa che ad esso si avvicini, influenzando ogni aspetto del vivere comune.
Non a caso il computer è stato costruito proprio sulla base del funzionamento della mente umana, prendendone a modello l’ “ipertestualità”, ed è plausibile che si arriverà a costruire computer ma anche computer-edifici, che sempre più siano ad essa equivalenti.
Le Corbusier diceva che tutti gli uomini hanno lo stesso organismo, le stesse funzioni, gli stessi bisogni. “Occorre creare lo spirito della produzione in serie, lo spirito di costruire delle case in serie, lo spirito di abitare delle case in serie, lo spirito di concepire delle case in serie. Se si sradicano dal proprio cuore e dalla propria mente i concetti sorpassati della casa e si esamina la questione da un punto di vista critico e oggettivo, si arriverà alla casa-strumento, casa in serie, sana (anche moralmente) e bella dell’estetica degli strumenti di lavoro che accompagnano la nostra esistenza. Bella anche di tutta l’animazione che il senso artistico può apportare a organi rigorosi e puri”(da: Le Corbusier, “Verso una architettura”, Longanesi & C, p187).
Sappiamo bene quanto queste parole, associate al periodo in cui sono state scritte abbiano costituito una vera e propria rivoluzione. Oggi però si sa che gli uomini non sono tutti uguali, che non hanno tutti gli stessi bisogni, che non si esaltano di fronte alla possibilità di abitare in case costruite in serie.
A questo fa riscontro un nuovo modo di concepire la conoscenza, non più come punto di arrivo che debba essere generalmente condiviso ma si accetta che anch’essa sia “in divenire”, poiché si sa che nel futuro probabilmente nuove scoperte sconvolgeranno i principi proposti.
Non esiste più una via unica del sapere, così come non esistono più trattati di architettura che propongono l’esigenza fondamentale di tracciare un sistema architettonico completo, ma si punta invece contro la standardizzazione seppure con mezzi che per la standardizzazione sono stati creati.

Alessia Latini

scrivi all’autrice: alessia.latini@libero.it

 

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