Recensioni... vostre e non solo...

 
Per coloro che non erano presenti alla "prima" di PIRATA PER UN QUARTO D'ORA ma volessero sapere come sono andate le cose, propongo la lettura di due recensioni vere:
una trovata sul web;
- l'altra ricevuta direttamente;
- e di una "finta", nel senso che è mia, cioè lo spettacolo raccontato dal "di qua" del microfono, quindi visto da me mentre lo eseguivo; si tratta di una cosa che faccio da molti anni (e che per alcuni spettacoli del passato ho pubblicato nel libro
"Il cantastorie fuori", Golden Press, Genova, 2008) e che, lungi dall'essere autocelebrativa, tende a conferire un senso più ampio alle occasioni d'incontro e di confronto che mi garantiscono le mie rare uscite spettacolari. Siccome i giornali di Bergamo non se ne sono mai occupati, per motivi che non credo sia il caso di spiegarvi, mi sembra giusto, per quanto poco elegante, occuparmene io. Un cantastorie fa anche questo.
Saluti a tutti e alla prossima.



13/03/2010
Alessandro Mancuso, genovese ma bergamasco da 18 anni, è un cantautore in bilico tra canzone e teatro. Una lunga carriera da artista di nicchia indipendente, dal 1993.

Deciso ad abbandonare Bergamo per tornare alla sua città natale, ha deciso di realizzare un ultimo spettacolo “Pirata per un quarto d’ora”, presentato per la prima volta sabato 13 marzo al Bopo di Ponteranica.

Uno spettacolo coinvolgente, ironico e tagliente, a tratti causticamente amaro, con fortissimi richiami al teatro-canzone di Gaber, e alcuni slanci di tipo vecchioniano. Uno spettacolo in solitaria, con ottimi monologhi alternati a 13 canzoni cantati su basi registrate e alcune accompagnate da Mancuso con la propria chitarra.

Un viaggio interiore ed esteriorie, tra situazioni e compromessi tra l’individuo e la realtà, con un forte atto d’accusa nei confronti della società che si siamo costruiti o forse ci siamo lasciati costruire intorno. La storia di un pirata moderno che osa sfidare il mondo affrontando se stesso e le proprie debolezze attraverso la fantasia e l’ironia.

Uno spettacolo molto piacevole e divertente, sicuramente raro dalle parti di Bergamo, che però sarebbe probabilmente valorizzato meglio in uno spazio teatrale.

Unica nota dolente le basi musicali, che meriterebbero un arrangiamento dal vivo. Sono infatti molto più autentiche e coinvolgenti i brani da stornello, realizzati in solo voce e chitarra.

Sicuramente ci mancherà.





Arrivederci Mancuso, cantastorie fuori


“Chi non ha mai assomigliato ai propri sogni?”
Un’idea semplice, ma geniale. Essere per un quarto d’ora l’eroe del proprio fumetto, del libro preferito o semplicemente quell’eroe che ha abitato nelle fantasticherie dell’infanzia.
Eccoti allora, anche solo per pochi minuti, cavalcare il mare sul ponte di un galeone, bucaniere col sorriso al rum, pronto a sfidare con sicumera e strafottenza tutti i nemici che tenteranno di infastidirti. I nemici di oggi non si trovano più nei mari del Sud ma popolano gli uffici, i condomini, le scuole, i tribunali, la televisione, la politica (l’elenco potrebbe essere infinito): con la loro indifferenza, ottusità, se non quando con la loro voglia di manipolarti, intralciano la vita di ogni giorno.
Mettiamo il caso che tu ti decida finalmente ad abbattere quella paretina sottile sottile che divide la cucina dal soggiorno, che non sai bene perché sia lì ma c’è, è sulla mappa catastale: eccoti allora davanti ad una pletora di impiegati comunali, geometri, architetti, amministratori condominiali, pronti a intralciare il tuo cammino ( nulla di personale contro le categorie suddette, beninteso), armati di regolamenti, di mappe, di contromappe, di tomi di estetica ed etica condominiale, ecc…
Come superare l’ostacolo, se non sfoderando volta per volta le tue armi migliori, come un pirata spavaldo, feroce, completamente privo di scrupoli?
C’è il rischio, altrimenti, di finire a vita in un gruppo di auto-aiuto per rafforzare la tua innata aggressività, tipo l’ARCA (l’Associazione Recupero Cortesi Anonimi o cose del genere).
No, fuori la grinta, meglio indossare gli abiti del pirata e quarto d’ora dopo quarto d’ora, burocrate dopo burocrate lanciarti all’assalto a viso aperto, almeno è più eroico.
 A noi tutti è dato farlo, a noi tutti è dato “assomigliare ai nostri sogni”.
E questo me lo hai insegnato tu, cantastorie fuori, seppure io sia solo una ammiratrice dell’ultima ora e non abbia più la possibilità di sentire ancora le tue parole, dal momento che te ne torni nella tua amata Genova.

Sabato scorso, quasi per caso, ho accettato l’invito ad assistere a questo tuo ultimo spettacolo in terra bergamasca, Pirata per un quarto d’ora, che ha preso vita in un’atmosfera casalinga, molto informale di un bar, il BOPO di Ponteranica, tra cameriere che servono ai tavoli e rumori di bicchieri in sottofondo. Nessun palco, nessuna regia esterna (esclusi due simpatici tecnici, reclutati forse tra gli studenti del professore-cantastorie), ma soltanto un microfono, una sedia, una chitarra (e una beneaugurante gigantografia di Gaber, stimato cimelio del locale) sono stati gli strumenti di lavoro per un collaudato istrione, che ha compensato la penuria di mezzi con la ricchezza dei contenuti, nei monologhi e nelle canzoni. I monologhi hanno assunto per lo più il carattere di  brevi intermezzi di accompagnamento ai  brani musicali, con alcune eccezioni come In prima convocazione, un’esilarante vignetta sui (mal)costumi dei condomini italiani e le loro assemblee, spesso convocate in orari e giorni impossibili per i comuni lavoratori. Le canzoni, poi, da vere premieres dames della serata hanno sfilato una dopo l’altra, con ritmi spesso vivaci e leggeri, ma maliziose (come La ford escort), pungenti, talvolta amare (come, ad esempio, Senza più meraviglia) nei contenuti. Sono canzoni che fanno riflettere, che pescano nei bassifondi delle miserie personali o collettive, ma che contemporaneamente fanno sorridere, perché narrano di queste miserie con ironia e leggerezza, senza mai appesantire il discorso con i toni di estenuanti tirate accusatorie, così in voga di questi tempi.
Per un quarto d’ora pirata, la canzone centrale dello spettacolo, aggiunge all’ironia e alla leggerezza anche il colore della speranza: la speranza di essere gli eroi di noi stessi, di assomigliare, anche solo per pochi minuti, ai nostri sogni.
Un’idea semplice, ma geniale.
Solo una pecca: le idee esposte sono così abbondanti che forse meriterebbero uno spazio maggiore di questo spettacolo, e magari anche altri interpreti sulla scena ( io personalmente vorrei interpretare il condomino che sale sul tetto in ciabatte…).

Comunque, arrivederci, cantastorie fuori.
Grazie di tutto, Sara





Sabato 13 marzo 2010, IL BOPO di Ponteranica “PIRATA PER UN QUARTO D’ORA”. LA PRIMA ASSOLUTA.

Molta gente; lo spettacolo funziona parecchio bene, anche grazie alle due prove generali, l’una effettuata in una saletta dell’Accademia della Musica e l’altra proprio nel posto della rappresentazione anche se in una saletta piccola e non nello spazio spettacoli davanti al bar (cioè “nel” bar). Durante le due prove Alessandro Rinaldi ha registrato molto bene tutto al computer e, con un minimo di rielaborazione correttiva, sono riuscito a ricavare una registrazione di 79 minuti che sta giusto in un CD e che contiene l’intero spettacolo, completo di tutto salvo un breve taglio, operato ad arte, nella sigla finale e l’eliminazione di alcune pause nel parlato dei monologhi.
Ho iniziato con sul cranio una bandana nera da delinquente d’altri tempi, con coda lunga sul retro che puntualmente mi s’incagliava nella tracolla della chitarra. Unico arredo scenico l’ottimo baule piratesco alle mie spalle, che in futuro spero di utilizzare di più, riempiendolo di oggetti simbolici che possano sottolineare alcuni aspetti della rappresentazione.
Male il suono, o almeno il mio ritorno di suono. Non so da cosa dipenda, forse dai microfoni o dal fatto che le casse erano troppo vicine (ma d’altra parte in qualche modo dovevo sentire le basi per riuscire a cantare perché ero senza spie). La voce me la sentivo brutta, sempre cupa, tendente alla distorsione, ma, come al solito, mi hanno detto che invece la gente sentiva a sufficienza, e infatti ha seguito senza problemi l’intero spettacolo.
Logicamente dover stoppare la base alla fine di ogni pezzo mi ha fatto smarrire un po’ di senso magico dello sfumare delle canzoni, con la musica delle basi in dissolvenza, perché invece di concentrarmi sull’atmosfera stavo impalato davanti al lettore, con il microfono in mano e con l’orecchio teso a capire quando avrei dovuto mettere in pausa. In un’altra vita avrò un fonico che si occuperà di questo e di far partire le basi al momento giusto, cioè un attimo dopo la fine dei monologhi, ma si tratta di un disagio ampiamente previsto.
Devo ammettere invece che non si è verificato quanto avevo temuto, cioè che potessi perdere concentrazione per il fatto di essere davanti al bancone del bar e in un ambiente tendente alla dispersione. Sono riuscito a non sbagliare niente per più di metà spettacolo e, anche se non  provavo un grande piacere nell’esecuzione dei brani, riuscivo a cantarli senza grossi problemi. In fondo il ritorno di attenzione e di entusiasmo non è mai venuto meno. Sbagliato una strofa (forse saltata, ma è andata bene così) su MEGLIO L’IPOCRISIA (come previsto da Alessandro, visto che avevo sempre sbagliato lì, anche in prova) e poi saltato qualcosa sulle ultimissime canzoni, in particolare sul PIRATA finale dove ho improvvisato un paio di battute e ripetuto mezza strofa già fatta e mezza altra… più o meno inventata, ma cominciavo ad essere stanco e comunque, a quel punto, la cosa era ormai andata ampiamente in porto, con la soddisfazione manigesta dei presenti, in particolare del gestore Graziano che mi ascoltava con interesse, tra una portata e l’altra, tra un caffè, un servizio ai tavoli e una telefonata (infatti ad un certo punto è squillato il telefono del bar che aveva un suono molto acuto e mi ha fatto sballare un’intonazione e il tempo – io vado fuori tempo già da solo, se ci si mette anche un telefono è la fine – ma senza grosso panico).
Le basi, scarne e realizzate in solitudine, senza l’apporto di alcun musicista (visto che il sottoscritto non lo è…) si confermano comunque gradevoli e lo spettacolo è pronto e definitivo così; d’altra parte è in gestazione da giusto nove mesi e il parto si può dire perfettamente riuscito. Considererei definitiva la piccola modifica di anticipare la coppia monologo-canzone ARISTARCO SCARTAFACCIO e L’UOMO SOPRAMMOBILE prima del GATTO MAMMONE, che sta giusto bene nel sottofinale, prima della coppia monologo-canzone conclusiva.
Alessandro Rinaldi, vero mattatore del dietro-le-quinte, ha collaborato con me in tutto, con la  sua consueta determinazione, cercando di migliorare come poteva il suono e gestendo i mixer (il mio e quello del locale) con grande dedizione. Ha inoltre promosso egregiamente i miei CD riuscendo a venderne un numero di tutto rispetto. Per la paura di dimenticare la pubblicità da fare alla sua radio (Radioduepuntozero, della Valle Brembana che mi ha ospitato di recente per una lunga intervista) ho finito per dimenticarmi di ringraziare lui, che mi ha sostenuto e aiutato sia nella preparazione della messinscena che nel corso della rappresentazione, stando al mixer. Il suo amico Alessandro Colleoni ha filmato dal lato alla mia sinistra l’intera rappresentazione.
Certo mi sono mosso poco perché altrimenti fischiava tutto, così non ho potuto girare con il microfono in mano sui brani in cui era previsto che io la facessi. Sono rimasto piuttosto fermo, stretto tra il muro e l’asta del microfono perché non potevo spostare nulla, ma non ero certo imbalsamato. In particolare mi sentivo davvero sciolto e credo di aver sorriso più del solito, anche se in qualche pezzo cantato tendevo a chiudere gli occhi più per non farmi distrarre da ciò che vedevo accadere davanti a me (col rischio di sbagliare le parole) che per altri motivi. In teatro si ha il vantaggio dei riflettori negli occhi che non ti fanno vedere nulla, ma nemmeno io so se poi mi piaccia non saggiare le espressioni di chi mi sta di fronte. Mi sono divertito molto, come sempre, a notare l’attenzione delle persone che avevo davanti, il loro modo di seguire i pezzi, le sottolineature  sorridenti ad alcuni passaggi oppure i tentatividi applauso stoppati dal mio incalzare nelle parti recitate o dall’imbarazzata preoccupazione di non essere seguiti dagli altri. Sono in fondo abituato più a queste cose, che amo da sempre, piuttosto che alle atmosfere puramente teatrali.
Agitazione praticamente zero, nemmeno all’inizio. Forse è la prima volta che mi accade. Normalmente alle prime sono colto dall’angoscia di non ricordare le strofe; in questo caso non è accaduto, forse perché queste canzoni le ho studiate con maggiore attenzione e più a lungo, o forse perché dopo quasi vent’anni il gusto di raccontare le mie storie si mescola alla tranquillità di un mestiere ormai automatico, che ho nella pelle. Ho avvertito solo un po’ di nervosismo per il suono che mi arrivava falsato nella resa. Comunque pare che io sia riuscito ad ovviare ad alcuni problemi di acustica (mia).
Presenti: molti allievi delle mie classi prime di quest’anno, soprattutto la 1°G con alcuni genitori, Sara, che ha cambiato scuola, con mamma e sorellina simpaticissima, Michelle, Francesco e Alessandro Petrizzi (che tornava a sentirmi dopo molti anni), Mario Da Polenza e la sua amica, Milena la meravigliosa segretaria con un’amica (che si distraeva e “la” distraeva… tenerlo a mente per il voto in condotta), Savino Diana, Sergio Villa e signora, Claudio Capolino con moglie e figlia, tutto il gruppo di San Pellegrino (i Turcia e i Sonzogni), Adolfo e Lucia, la collega bionda e simpatica del Mascheroni con il marito, Riccardo Radici con la mamma, una ragazza che ho salutato calorosamente perché ne ricordavo il viso ma non saprei proprio dove andare a pescare nel mio passato (forse un’allieva di tanti anni fa), più tantissimi altri che non ricordo per un totale di oltre cento persone. Segnalate in borderò SIAE tutte le 12 canzoni depositate. Ora il 10 aprile a Zanica, il16 aprile ad Alzano, il 28 maggio al Caffè letterario. Dopo, come sempre, anche il pirata, allo scadere di quei quindici minuti che gli sono concessi, se ne finirà, soddisfatto ma a mordere il freno, in soffitta insieme a tutti gli altri sogni dei miei nove spettacoli di vent’anni trascorsi e delle mie cento canzoni.

                                                                                                 Alessandro Mancuso