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BIOTECNOLOGIE ED AGROECOLOGIA: ALTERNATIVE SCIENTIFICHE CONCRETE AI RISCHI ED ALLE PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA DIFFUSIONE DI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI IN AGRICOLTURA

 

Indice
 

  1. Premessa
  2. Biotecnologie e agricoltura:le diverse opzioni
  3. Rischi per la salute umana
  4. Impatto sulla Agrobiodiversità
  5. Coltivazioni transgeniche resistenti agli erbicidi (HRCs)
  6. Piante transgeniche resistenti ad insetti (Bt crops)
  7. Aspetti Sociali e Legali
  8. Impatto di piante transgeniche resistenti a patogeni
  9. Risultati tecnico economici delle coltivazioni transgeniche
  10. Field performance of some recently released transgenic crops
  11. Ringraziamenti
  12. Bibliografia

Dr. Giuseppe Altieri ,  Agroecologo  -  AGERNOVA  Perugia
12 ottobre 1999
 

 

1.        Premessa

Sussistono oggi numerose argomentazioni scientifiche a sostegno di una pausa di riflessione sull'impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura e si rende necessaria una moratoria internazionale in attesa di adeguati protocolli che regolino la ricerca in materia, al fine di meglio valutare le problematiche tecniche, agronomiche, sociali ed economiche ed i rischi dell'impatto ecologico-sanitario.

Parallelamente i progressi enormi nel settore delle cosiddette Biotecnologie Agroecologiche, quali la produzione di organismi utili per la Lotta Biologica e Microbiologica in Biofabbriche, i programmi di salvaguardia e recupero della Biodiversità Agricola ed il suo miglioramento genetico in situ, i sistemi organici di fertilizzazione e compostaggio, lo sviluppo di macchine sempre più sofisticate per il controllo delle infestanti e per le lavorazioni conservative della fertilità del suolo, i moderni sistemi di avvicendamento colturale e cover-crops a protezione dell'erosione e della sostanza organica nei terreni, unitamente allo straordinario sviluppo del mercato nazionale ed internazionale dei prodotti agricoli biologici e non geneticamente modificati (circa 1 milione di ettari coltivati attualmente in Italia), offrono alla nostra Nazione un'occasione unica per il rilancio di un agricoltura "mediterranea" basata sulla tipicità e sanità dei suoi prodotti e su una cultura agricola tra le più civili e colte, in grado di affermarsi in breve tempo in tutto il mondo. Un'immensa ricchezza che cova sotto le ceneri dell'agricoltura italiana, soprattutto tra le fertili e calde terre del Sud.

I prossimi anni saranno decisivi per affermarsi sul mercato della qualità biologica, certificata da marchi riconosciuti in tutto il mondo. In questo contesto appare quanto mai rischiosa l'apertura europea ai prodotti agricoli transgenici che potrebbero avviare la "contaminazione" delle nostre coltivazioni, mentre è più opportuno uno sforzo nella ricerca agroecologica e nei programmi di sviluppo territoriale dei sistemi agricoli ecocompatibili.

Su questa strada si sono avviati diversi Stati Europei (Grecia, Lussemburgo, Austria, Danimarca,Inghilterra) oltre a Italia e Olanda che hanno presentato ricorso alla Corte Europea contro la direttiva 98/44 che consente la brevettabilità di organismi viventi.

 

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2.        Biotecnologie e agricoltura:le diverse opzioni

 

Troppo spesso oggi, nel dibattito scientifico sui mass-media, si tende a un uso quanto meno restrittivo del termine "biotecnologia", assimilandolo esclusivamente a una sua branca molto recente: l'ingegneria genetica o meglio la produzione di organismi geneticamente modificati (transgenici) nel cui DNA sono stati inseriti geni di specie diverse, a volte molto lontane dal punto di vista evolutivo. In realtà altre biotecnologie, soprattutto in campo agricolo, riuniscono tutta una serie di scienze e tecniche del vivente che si sono sviluppate attraverso i secoli. Basti pensare alla produzione di fermentati (vino, yogurt, birra), alle tecniche di selezione varietale e al miglioramento genetico classico, basato su incroci e selezioni all'interno delle singole specie, al compostaggio delle materie organiche fertilizzanti fino ad arrivare ai moderni sistemi di produzione ed impiego di organismi utili nella difesa delle coltivazioni (Lotta Biologica e Microbiologica) e all'uso di "feromoni sessuali" per la cattura e il disorientamento di insetti dannosi.

Diecimila anni di lavoro e cultura contadina hanno sviluppato sistemi produttivi adattati ai più svariati ambienti del nostro pianeta.

L'agroecologia, coniugando il recupero della tradizione agricola e della biodiversità su cui essa è fondata, con le innovazioni tecniche dei sistemi di produzione biologica, consentirebbe di sfamare la terra, evitando l'inquinamento da pesticidi e nitrati, l'erosione genetica, preservando la fertilità organica dei terreni, sempre più minacciati dai processi di desertificazione.

Oggi invece, attraverso la manipolazione genetica e il diritto di brevetto, intere aree geografiche rischiano di perdere la propria biodiversità a favore di un'industria che, modificando un segmento di DNA, ottiene tutti i diritti di sfruttamento, unitamente al controllo strategico delle risorse necessarie alla sopravvivenza dei popoli (cibo, semi, acque). Un costo ulteriore per gli agricoltori, sottoposti alla sempre più elevata pressione dei costi di produzione e alla contemporanea contrazione dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli convenzionali, per la politica di globalizzazione dei mercati e di eccedenza nelle produzioni. A ciò contribuisce la diffusione delle varietà geneticamente modificate le quali, in altri paesi, stanno trasformando profondamente le tecniche di produzione del cibo.

Le coltivazioni transgeniche sono passate da 2,8 milioni di ettari nel 1996 a oltre 30 milioni di ettari nel 1998 (64% negli USA, seguiti da Cina, Argentina, Messico), principalmente soia e mais con caratteristiche di resistenza agli erbicidi (HRCs) o produttrici di tossine insetticide verso lepidotteri fitofagi (BT crops). Colza, patata, tabacco, cotone e pomodoro sono altre colture attualmente in sviluppo commerciale. Esse sono proposte dalle stesse multinazionali agrochimico-farmaceutiche che hanno promosso l'utilizzo massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici dal dopoguerra ad oggi, il cui uso riesce a preservare solo il 27% delle produzioni , mentre il 42% dei raccolti viene perso per fenomeni di resistenza (da parte di insetti, patogeni, infestanti) (fonte Agrofarma,1997).

Molti scienziati hanno espresso preoccupazioni sui rischi per la salute umana (British Medical Association, maggio 1999), per l'ambiente e gli agroecosistemi nonché dubbi sull'efficacia tecnico-economica delle coltivazioni transgeniche (Rissler e Mellon, 1996; Krirusky e Wrubel, 1996).

La principale preoccupazione è rappresentata dal fatto che la troppo rapida diffusione delle colture transgeniche, in virtù dei profitti di mercato, non consente di valutare opportunamente i rischi a lungo termine (Mander e Goldsmith, 1996). Inoltre i metodi scientifici di valutazione dei rischi sono stati proposti da troppo poco tempo (Kjellsson e Simonsen, 1994).

 

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3.        Rischi per la salute umana

 

In generale il trasferimento di geni lontani, dal punto di vista evolutivo, in un altro organismo (es. da batteri a piante) fa si che questi si trovino ad agire in un ambiente completamente diverso ed è impossibile prevedere con precisione tutte le alterazioni del metabolismo conseguenti. Sostituire o inserire un gene in un organismo, non è come cambiare un microchip ad un computer e, da oltre 30 anni, gli scienziati hanno dimostrato che l'azione di un singolo gene è collegata con il complesso patrimonio genetico della specie in questione e non solo con il carattere che desideriamo ottenere. Nel campo dell'ingegneria genetica si rischia pertanto di applicare un vecchio paradigma, screditato dal punto di vista scientifico. Tra i rischi connessi, ad esempio, la possibile produzione nelle cellule transgeniche di sostanze secondarie (enzimi, tossine, allergeni, ecc.) con imprevedibili effetti sulle piante e su chi se ne alimenta. Non essendo disponibili a priori metodi di analisi, è necessario valutare genericamente la produzione di nuove sostanze metaboliche negli OGM ed effettuare test di nutrizione su animali e infine sui volontari umani, prima di immettere un tale prodotto sul mercato. Ad esempio sono state prodotte fragole transgeniche resistenti al gelo inserendovi geni di pesci artici, ma nei frutti si produce un livello elevato di glicole etilenico che li rende non commestibili. In un altro caso, un lievito modificato per incrementare la fermentazione con copie multiple di un suo stesso gene ha prodotto l'accumulazione di sostanze metaboliche tossiche (metilglioxal) a livelli mutagenici. Sono state scoperte inoltre allergie provocate da Soia modificata con geni di Noce brasiliana. Un caso molto grave è stato rappresentato dalla produzione di Triptofano (un integratore alimentare) derivante da un organismo geneticamente modificato che ha provocato l'insorgenza di una patologia del sangue fino allora sconosciuta, con alcuni casi di morte ,a causa di una nuova tossina non prevista.

Inoltre secondo la British Medical Association sono urgenti ulteriori ricerche, nel lungo termine, sui rischi di insorgenza di resistenze agli antibiotici a causa del possibile passaggio di DNA con tali caratteristiche dagli OGM (es quelli che contengono geni "marcatori" resistenti ad antibiotici) a batteri patogeni per l'uomo e gli animali(ad esempio durante la digestione tra la flora microbica intestinale), e sulla valutazione degli effetti connessi alla digestione e al metabolismo del DNA transgenico per chi si alimenta di cibi transgenici.

Mai come in questo campo è necessario applicare il "principio di precauzione" in quanto non possiamo prevedere gli eventuali effetti negativi che potrebbero essere irreversibili e incontrollabili, nel caso di coltivazioni transgeniche su larga scala, trattandosi di esseri viventi in grado di riprodursi. Ciò significa innanzitutto raggiungere un livello scientifico sufficiente per stabilire i rischi delle modificazioni genetiche e la loro accettabilità e, successivamente, effettuare una chiara e completa analisi costi/benefici e di impatto sulla salute e l'ambiente, confrontando l'impiego di OGM con altre forme di produzione, a rischio zero, Agricoltura Biologica in primis, la quale sta vivendo un momento di crescita esponenziale in tutto il mondo.

La richiesta dei consumatori si sta di fatto orientando sempre più verso alimenti certificati, esenti da residui chimici e non geneticamente modificati e sia il mercato che la politica Agroambientale dell'Unione Europea paga un premio ai produttori biologici.

Francamente non si capisce come mai, nel nostro Paese, la Ricerca Pubblica investa così poco nel settore dell'Agroecologia e nello stesso tempo non si preoccupi di garantire che le conoscenze scientifiche, nel campo delle biotecnologie, divengano di pubblico dominio, a beneficio dell'intera società e non brevettabili da chiunque sia.

 

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4.        Impatto sulla Agrobiodiversità

 

Le Multinazionali agrochimiche che negli ultimi anni hanno acquisito il controllo delle maggiori ditte sementiere (Gresshoft, 1996) offrono agli agricoltori il pacchetto di sementi associate al proprio diserbante, espandendo così il mercato dei loro prodotti chimici (Mac Kenzie, 1996).

L'espansione di mercato di una singola varietà transgenica crea le condizioni di uniformità genetica per intere aree agricole. Il diritto di brevetto e di proprietà intellettuale consentono alle compagnie sementiere di stipulare contratti che vietano agli agricoltori di riseminare il loro raccolto. La Monsanto inoltre possiede alcune tecnologie che fanno perdere ai semi la capacità di riprodursi (gene terminator).

Tutto ciò rappresenta una minaccia per la conservazione della biodiversità, legata alla capacità degli agricoltori di selezionare, conservare, condividere e riutilizzare le sementi da essi prodotte.

La prospettiva futura di poche varietà dominanti sul mercato dei semi crea il presupposto per un'alta vulnerabilità a nuovi patogeni ed insetti dannosi e per una perdita ulteriore di biodiversità (erosione genetica, Robinson, 1996). La maggior parte delle varietà moderne, introdotte in sostituzione a quelle autoctone - che spesso sono andate definitivamente perdute (Tripp, 1996)- sono inoltre poco produttive negli ambienti marginali (Robinson, 1996). Le varietà transgeniche possono quindi provocare un indebolimento progressivo delle specie coltivate, sia per l'impoverimento delle risorse genetiche indigene dei diversi paesi sia per la riduzione di fenomeni naturali di adattamento e selezione nei diversi ambienti. Il fenomeno è di tale portata che urgono al più presto seri programmi di conservazione in situ e recupero commerciale delle cultivar autoctone che possono soddisfare una discreta domanda, in particolare nell'ambito dei prodotti tipici, rivolti sia al mercato locale che, con opportune campagne pubblicitarie, a quelli internazionali di qualità, con un prezzo equo per i produttori.

 

(a)        Protezione di varietà autoctone con il contributo di biotecnologie pulite

Diversi Paesi stanno discutendo modalità, tecniche e norme legali a tutela del germoplasma autoctono, frutto della selezione millenaria operata dalle agricolture di tutto il mondo. Secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Rio de Janeiro, le Nazioni possono rifiutarsi di fornire germoplasma se non è rispettato il principio di tutela dell'ambiente e di equa ripartizione dei diritti. In questo caso, l'impiego delle biotecnologie di "mappatura genica" consentono di individuare precocemente semi e plantule e classificare le diverse varietà con la semplice indagine sul patrimonio genetico, senza operare modificazioni dello stesso. E' possibile pertanto arrivare ad una classificazione e ad un registro delle cultivar autoctone e ad una conseguente legislazione di protezione nazionale e regionale. Oggi nel nostro Paese accade invece che sementi di foraggere quali ad esempio il trifoglio sotterraneo vengano registrate da Ditte Sementerie Australiane che lucrano immensi guadagni dall'espropriazione di un patrimonio genetico autoctono selezionato nei secoli (in questo caso dai pastori della Sardegna). Lo stesso sta accadendo in estremo oriente con la registrazione di un marchio sul riso "basmati" da parte di una Multinazionale che acquisisce i diritti commerciali sul nome di una vecchia varietà autoctona (Fonte Report RAI 3 :"Pirateria genetica").

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5.        Coltivazioni transgeniche resistenti agli erbicidi (HRCs)


Le HRCs dovrebbero ridurre l'applicazione di erbicidi, impiegando alte dosi di singoli prodotti verso il quale esse risultano resistenti e che si degradano velocemente nell'ambiente. Tra questi diserbanti si ricordano: Glyphosate (Roundup), Bromoxinil, Solfonilurea, Glifosinate Ammonium, Imidazoli
 

(a)        Resistenza delle erbe infestanti ai diserbanti

L'uso ripetuto di una singola sostanza su una coltivazione aumenta l'insorgenza dei fenomeni di resistenza. Sono circa 216 i casi di resistenza segnalati nei confronti di uno o più gruppi di diserbanti chimici (Holt e Le Baron, 1990,1993) per lo più verso le triazine (circa 60 specie) ma anche nei confronti delle solfonilurea (14 specie resistenti). Un infestante molto aggressiva sul mais e la soia (cocklebur) è divenuta resistente agli imidazolici. L'uso massiccio del glyphosate, in espansione in tutto il mondo, sta evidenziando resistenze in popolazioni australiane di "ryegrass", quackgrass", "birdsfoot", trifoglio e Cirsium arvense (Gill, 1995).
 

(b)        Impatto ambientale degli erbicidi

Le industrie agrochimiche affermano che glyphosate e bromoxinil si degradano rapidamente nel suolo, non si accumulano, non lasciano residui sugli alimenti e non danneggiano organismi non bersaglio Ma le ricerche di laboratorio sul Bromoxinil evidenziano tossicità sui pesci, difetti neonatali su animali di laboratorio e possibili effetti cancerogeni sull'uomo (Goldsberg,1992), considerando molto rischioso per i lavoratori agricoli il fatto che il prodotto viene assorbito attraverso la pelle. Similmente il Glifosate si è dimostrato tossico per organismi del suolo(tra cui i lombrichi) e per diversi organismi utili tra cui acari, coccinellidi e carabidi predatori, nonché su organismi acquatici, pesci. inclusi (Pimentel,1989). Si verificano inoltre accumuli di tale prodotto in frutti e tuberi, probabilmente a causa della ridotta degradazione all'interno delle piante. Recentemente la Monsanto ha chiesto di aumentare di 20 volte il livello dei residui di Glifosate ammessi sulla Colza transgenica, in quanto non è sufficiente il trattamento erbicida sul terreno e si rende necessario l'intervento chimico anche sulla coltura.

Indagini epidemiologiche e statistiche condotte in Svezia durante tredici anni di studi hanno associato la diffusione dell'impiego di Glifosate all'incremento del linfoma di tipo non-Hodgkin, una forma di cancro aumentata dell'80% dagli anni '70 (L.Hardell e M.Eriksson:"A case study of non Hodgkin Limphome and Exposure to Pesticide", Cancer-Marzo,1999,Vol .85/n°6).

Alla luce di tali dati andrebbero riviste le autorizzazioni all'impiego di tali erbicidi, anche in virtù dell'evoluzione tecnica che ha consentito lo sviluppo di efficienti sistemi alternativi di controllo delle infestanti (macchine moderne, strigliatrici, avvicendamenti colturali, cover crops, ecc.).

 

(c)        Le coltivazioni transgeniche possono divenire "infestanti"

A causa della naturale necessità di avvicendamento delle coltivazioni, semi di piante transgeniche rimasti sui campi dopo la raccolta possono creare problemi seri di competizione per le colture successive ed essendo resistenti ad un certo erbicida richiedono applicazioni di altri diserbanti (Radosevich et al 1996). 

 

(d)        Insorgenza di "SUPERINFESTANTI"

Un altro rischio dello sviluppo su larga scala delle colture transgeniche è il passaggio dei geni di resistenza ai diserbanti ad altre piante selvatiche che diventano infestanti. E' dimostrata infatti la possibilità di scambi genetici tra specie vegetali diverse ma vicine dal punto di vista evolutivo e molte coltivazioni hanno possibilità di venire in contatto con parenti selvatici sessualmente compatibili(Lutman1999). In Europa ad esempio sussiste il rischio di passaggio attraverso il polline ,della tolleranza agli erbicidi dalla colza transgenica ad altre specie vicine infestanti, quali Brassica nigra, Sinapis arvensis (Casper e Landsman 1992). Sussistono inoltre possibilità di incroci con un certo grado di compatibilità anche tra specie non vicine parenti.

 

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6.        Piante transgeniche resistenti ad insetti (Bt crops)

 

L'inserimento all'interno del DNA di alcune specie vegetali, tra cui Mais e Cotone, di geni di un batterio del terreno (Bacillus thuringiensis var.Kurstaky), in grado di produrre una tossina insetticida verso le larve di alcuni Lepidotteri, consentirebbe, secondo le multinazionali, di ridurre drasticamente l'uso di insetticidi chimici.

Va premesso che lo stesso batterio viene attualmente usato ampiamente come "Bioinsetticida" ed è prodotto con tecnologie relativamente semplici in tutto il mondo. Esso viene spruzzato sulle coltivazioni al superamento delle soglie economiche di intervento e non comporta alcun problema per l'ambiente o le specie utili in quanto la tossina si degrada rapidamente.

 

(a)        Selezione di insetti resistenti al BT

Inserito all'interno delle piante trangeniche invece, il gene del batterio induce la produzione continua della tossina BT. Ciò comporta la rapida selezione di individui resistenti (come dimostrato in prove di laboratorio e di campo su diverse specie di Lepidotteri), grazie all'elevato ritmo di riproduzione degli insetti (Tabashnik 1994). Le industrie affermano di poter superare il problema utilizzando le diverse forme di Tossine BT isolate in natura. Ma, dal momento che gli insetti sono in grado di sviluppare resistenze "multiple" e "incrociate", questa strategia è destinata a fallire (Alstad e Andow 1995).

Alcuni scienziati hanno rilevato la cosiddetta "Resistenza Comportamentale" da parte di insetti che si difendono attaccando i tessuti delle piante con minore concentrazione di tossina.

Inoltre, su mais BT, la produzione di tossina si riduce verso la maturazione, il che comporta la sopravvivenza dell'ultima generazione di Piralide le cui larve entrano in diapausa per sviluppare adulti nella primavera successiva. Ciò, oltre ad accelerare lo sviluppo di resistenza, comporta danni sulla granella in prossimità del raccolto. Al fine di prevenire l'insorgenza a di resistenze è stata proposta la semina mista con coltivazione non BT o l'allestimento di "aree rifugio" di Mais non BT per un 20% delle coltivazioni, cosi da favorire l'accoppiamento di individui resistenti al BT, con quelli sensibili che si sviluppano nelle aree suddette (Tabashnik 1994). Ovviamente, per ridurre i danni sulle coltivazioni "rifugio", viene proposto l'intervento con insetticidi, ma in questo caso si riduce notevolmente la popolazione di insetti non resistenti e bisognerebbe aumentare di molto l'area rifugio(40%). In ogni caso, diversi studi contraddicono tale strategia in quanto, ad esempio sul cotone, le larve di un insetto dannoso (Pink Bollworm) si sviluppano più velocemente sulle piante non BT che su quelle BT. Ciò comporta uno sfasamento dei cicli che può ridurre notevolmente gli incroci tra i diversi ceppi compromettendo l'efficacia della strategia (Liu e al. 1999). Ancora, gli studi del Prof. Cummins su "Science", dimostrerebbero che le aree rifugio potrebbero addirittura velocizzare la diffusione di insetti resistenti al BT sul Mais, in quanto su queste gli individui resistenti si sviluppano senza problemi.

Inoltre è molto difficile in paesi, come l'Italia, dove le dimensioni medie delle aziende sono ridotte, la gestione di aree rifugio su zone consistenti di coltivazione.

Per quanto concerne il nostro paese, non bisogna dimenticare che sul Mais la Piralide, ovvero l'insetto che dovrebbe essere controllato con le coltivazioni BT, ad oggi non rappresenta un serio problema, in quanto i danni difficilmente superano il 7-10% (in qualche caso si arriva al 15%) e non giustificano interventi chimici, attestandosi al disotto delle soglie economiche di intervento. Per assurdo, introducendo coltivazioni estensive di Mais transgenico BT potremmo ottenere l'effetto negativo di selezionare ceppi di Piralide resistenti al BT, compromettendo la possibilità di impiego di un efficacissimo e prezioso mezzo di difesa biologica (si ricorda che la Piralide è ad esempio molto più dannosa sul Peperone, in particolare in zone limitrofe a coltivazioni di Mais). Inoltre in Italia la Piralide sviluppa almeno 2 generazioni (più una terza parziale), il che compromette l'efficacia di quei Mais BT che esprimono la tossina solo sulle parti verdi delle piante in quanto persistono i danni più gravi, ovvero quelli sulla granella. D'altronde i mais Bt che esprimono sulla granella (anche sul Polline) riducono notevolmente la produzione di tossina verso la maturazione, quando ancora si trovano larve di Piralide attive sui semi.

Alternative:

la Piralide può essere efficacemente combattuta laddove siano stati riscontrati danni alle coltivazioni attraverso l'impiego della Lotta Biologica per mezzo degli insetti utili (ooparassitoidi) tra cui Trichogramma maidis, allevato in tutto il mondo in biofabbriche.

Ma l'aspetto più importante, e non solo nel nostro paese, sta nel fatto che la Piralide non è l'unico insetto dannoso sul Mais e in genere vi sono diversi fitofagi dannosi su tutte le coltivazioni, per cui il ricorso agli insetticidi è necessario anche sulle varietà transgeniche, contro gli insetti non sensibili al BT.(Gould1994). In un recente studio dell'USDA (1999), l'analisi di 12 regioni in cui sono state coltivate varietà BT, mostra come in 7 di queste non ci sono state riduzioni significative dell'uso di insetticidi rispetto a colture convenzionali, mentre nel delta del Mississippi si è rilevato un incremento d'uso di insetticidi sul Cotone BT, rispetto al cotone convenzionale. Un'elevata infestazione di "Bollworm", nel 1997 ha causato grossi danni sul cotone BT ed è stato necessario ricorrere agli insetticidi chimici anche contro questo insetto che doveva essere controllato dalla tossina BT (Peferoen 1997). La causa di questi danni sta nel ritardo di espressione della tossina Bt sugli organi delle piante sensibili all'attacco degli insetti, rispetto al ciclo degli stessi .

 

(b)        Impatto sugli Insetti utili e su specie non bersaglio

La diffusione di coltivazioni transgeniche Bt, mantenendo un livello molto basso di popolazione di insetti dannosi, può influire negativamente sui nemici naturali, che vengono sterminati, in quanto necessitano di un livello minimo di prede nell'Agroecosistema, in particolare per quanto riguarda i parassitoidi utili (di uova o di larve), molto specifici, che vivono a spese di lepidotteri sensibili al BT. I Predatori, in genere più polifagi, potrebbero invece sopravvivere su altri insetti presenti o su insetti moribondi sensibili al BT.

Inoltre, studi in Scozia hanno dimostrato che gli Afidi, presenti su coltivazioni BT e non sensibili alla tossina, sono capaci di "sequestrare" la tossina BT attraverso la suzione e trasferirla alle Coccinelle Predatrici degli afidi stessi, con danni sulla riproduzione e longevità degli Insetti utili (Birch 1997). Studi simili in Svizzera riportano che larve di Crisopidi utili, alimentatesi di prede viventi su mais BT, hanno manifestato una mortalità del 62% ,in confronto al 37% delle larve alimentatesi su prede sviluppatesi su mais non BT (Hilbeck e al. 1998). Pur trattandosi di studi su piccola scala ,si rappresenta ciò che può avvenire su scala territoriale.

Nel caso di insorgenza di resistenza al BT, nelle popolazioni di insetti in un primo momento controllati, è molto probabile un ritorno a usi massicci di insetticidi, anche a causa della riduzione di quei nemici naturali che oggi contribuiscono a mantenere in gran parte le popolazioni di piralide al di sotto delle soglie di danno. Il Mais BT potrebbe pertanto addirittura incrementare i danni da Piralide nel lungo periodo.

Recenti studi inglesi pubblicati dall'autorevole rivista "Nature", dimostrano inoltre che il polline di mais transgenico che contiene la tossina BT può causare danni a specie di lepidotteri non dannosi, quale la Farfalla Monarca e che potenzialmente migliaia di specie di Farfalle, tra cui alcune protette, sono in tutta Europa vulnerabili al polline di Mais BT.

 

(c)        Effetti sugli organismi del suolo

La tossina BT che finisce nel suolo, attraverso i residui fogliari e colturali, può persistere per 2-3 mesi mantenendo la sua attività (Palm e al.1996) e accumulandosi nel suolo e nell'acqua può danneggiare invertebrati e alterare i cicli delle sostanze nutritive (Donegan e al 1995).

L'introduzione di Microrganismi geneticamente modificati nel suolo (es. Pseudomonas fluorescens) può alterare le popolazioni microbiche indigene (batteri, funghi, protozoi) alterando l'attività enzimatica del suolo, con effetti sul ciclo del carbonio (Naseby e Lynch 1998).Questi ricercatori richiamano la necessità di ulteriori ricerche prima dell'immissione sul mercato di microrganismi transgenici ad uso agricolo.

 

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7.        Aspetti Sociali e Legali

 

Diverse problematiche si stanno manifestando, di difficile se non impossibile soluzione.

- Il trasferimento di geni attraverso il polline dalle coltivazioni transgeniche a quelle "Biologiche", può provocare seri problemi di "Certificazione" delle produzioni Biologiche, che come è noto, non possono contenere organismi geneticamente modificati. Recenti studi in Inghilterra, hanno dimostrato ad esempio che il polline di mais BT può essere trasportato da insetti pronubi fino a 5 km di distanza dalle coltivazioni transgeniche e gli agricoltori biologici possono subire danni economici notevoli dalla "contaminazione" delle loro produzioni. In Europa le coltivazioni transgeniche sono ancora limitate ai campi sperimentali ed i consumatori si oppongono alla loro diffusione sul mercato. La contaminazione delle coltivazioni convenzionali potrebbe innescare seri problemi commerciali. Va rifiutata inoltre l'ipotesi di accettazione di un limite di tolleranza di OGM nei prodotti convenzionali, difficilmente verificabile dal punto di vista quantitativo e non compatibile con le certificazioni di produzione biologica.

- In Canada e negli Stati Uniti, diverse vertenze legali sono state avviate dalle compagnie sementiere verso agricoltori che avevano sui propri terreni colture transgeniche senza aver pagato i diritti di brevetto o per aver riseminato il proprio raccolto. Alcuni agricoltori convenzionali hanno d'altronde controdenunciato le compagnie sementiere in quanto le loro coltivazioni sono state contaminate da quelle transgeniche.

- Nessuna compagnia di assicurazioni intende attivare polizze sui rischi delle coltivazioni transgeniche e tantomeno le compagnie sementiere vogliono assumersi responsabilità. Recentemente la Deutsch Bank ha consigliato agli azionisti di disinvestire dalle industrie biotecnologiche, dal momento che i consumatori in tutto il mondo stanno aumentando la consapevolezza dei rischi e rifiutano i cibi transgenici

- Un problema molto serio che si sta manifestando in USA è rappresentato dall'allarme dei produttori che usano normalmente il BT per difendere le proprie coltivazioni, per il rischio di comparsa di insetti resistenti provenienti da cotone e mais transgenici, che possono attaccare le loro colture, o altre colture sensibili agli stessi insetti (Gould 1994).Tra questi soprattutto i produttori biologici, essendo il BT un bioinsetticida.

- E' necessario inoltre verificare con attenzione, l'eventuale immissione sul mercato senza autorizzazioni, di sementi geneticamente modificate nel nostro paese.

-Va detto inoltre che le prove sperimentali, spesso condotte solo dalle ditte produttrici di piante transgeniche, non valutano attentamente l'impatto ambientale e non hanno una durata sufficiente a valutare effetti di lungo termine.

 

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8.        Impatto di piante transgeniche resistenti a patogeni

 

Un sistema messo a punto per difendere le piante da virus dannosi è quello di inserire una sequenza di RNA virale all'interno della pianta, cosi da interferire con il processo di infezione virale, dando la cosiddetta "protezione derivata verso il patogeno". Sussiste però il rischio che la ricombinazione tra l'RNA virale e quello all'interno della pianta transgenica, possa produrre nuovi patogeni e problemi aggravati. (Steinbrecher, 1996). Tali possibili rischi, documentati, rendono necessarie ulteriori ricerche sperimentali (Paoletti e Pimentel 1996), prima del rilascio ambientale di tali coltivazioni.

 

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9.        Risultati tecnico economici delle coltivazioni transgeniche

 

La Union of Concerned Scientists, negli Stati Uniti ha evidenziato come le coltivazioni transgeniche su vasta scala non stanno mantenendo le promesse dell'industria, mentre nello stesso tempo si evidenziano seri rischi ecologici (TAB.1,da Altieri M. 1999).

Su 18 regioni studiate dall'USDA nel 1998, 12 non hanno dato significative differenze di produzione tra coltivazioni transgeniche e non. Nelle altre 6 regioni si sono avuti incrementi del 5-30% delle produzioni, principalmente su mais e soia. Il cotone resistente al glifosate non ha mai dato incrementi di produzione. Inoltre su cotone Bt si sono manifestati danni, in quanto gli insetti si sono adattati e le industrie non sono state in grado di prevedere, sottovalutando le capacità degli insetti di superare la resistenza genetica indotta nelle piante (The Gene Exchange 1996).

Inoltre, si sono avute ridotte produzioni di cotone su larghe aree del delta del Mississippi a causa dell'effetto fitotossico del Roundup (New York Times 1997), dovute a variazioni climatiche.

Infine, rispetto alle affermazioni diffuse secondo le quali le coltivazioni transgeniche contribuiranno a risolvere il problema della fame nel mondo, occorre rispondere che da ricerche condotte in tutti i paesi ,in particolare in quelli in via di sviluppo, all'aumentare delle dimensioni delle aziende agricole, le produzioni medie per unità di superficie si riducono, dal momento che è più difficile il controllo dei mezzi di produzione da parte dell'uomo e ci sono minori possibilità di attuare sistemi di produzione, quali le consociazioni e le policolture, che sono in grado di aumentare notevolmente le rese unitarie. In certi casi si riscontrano incrementi produttivi fino al 300% e oltre nei sistemi di agricoltura tradizionali, rispetto alle coltivazioni industriali, finalizzate ai mercati internazionali e non all'approvvigionamento locale di cibo. Possiamo pertanto affermare che la fame si risolve dando la terra e l'accesso alle fonti idriche ai contadini, piuttosto che incrementando le coltivazioni transgeniche le cui promesse in fondo sono misere.

 

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TABELLA 1 (da Miguel A.Altieri"Ecological impacts of transgenic crops on agroecosystem healt"-Comun.person. (1)
10. Field performance of some recently released transgenic crops
Transgenic Crop Released Performance Reference
1. Bat transgenic cotton Additional insecticide sprays needed due to Bat cotton failing to control bollworms in 20,000 acres in eastern Texas The Gene Exchange 1996; Kaiser 1996; Peferoen 1997
2. Cotton inserted with Roundup Readyô gene Bolls deformed and falling off in 4-5 thousand acres in Mississippi Delta  Lappe and Bailey 1997; Myerson 1997
3. Bat corn 27% yield reduction and lower Cu foliar levels in Beltsville trial Hornick 1997
4. Herbicide resistant oilseed rape Pollen escaped and fertilized botanically related plants 2.5 km away in Scotland Scottish Crop Research Institute 1996
5. Virus resistant squash Vertical resistance to two viruses and not to others transmitted by aphids Rissler, J. (Personal communication)
6. Early FLAVR-SAVR tomato varieties Did not exhibit acceptable yields and disease resistance performance Biotech Reporter 1996
7. Roundup Ready Canola Pulled off the market due to contamination with a gene that did not have regulatory approval Rance 1997 
8. Bat potatoes Aphids sequestered the Bat toxin affecting coccinellid predators in negative ways Birch 1997
9. Herbicide tolerant crops Development of resistance by annual ryegrass to Roundup Gill 1995

 

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11.        Ringraziamenti

 

Un particolare ringraziamento al Prof. Miguel A. Altieri (Department of Environmental Science, Policy and Management, University of California, Berkeley) per le preziose informazioni scientifiche e bibliografiche fornite.

Si ringrazia inoltre Alessandro Giannì di Greenpeace Italia per la collaborazione al reperimento del materiale bibliografico.

 

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12.      Bibliografia

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