L'ULTIMO VIAGGIO |
VIII LE
RONDINI E
per nove anni egli aspettò la morte che
fuor del mare gli dovea soave giungere;
e sì, nel decimo, su l'alba, giunsero
a lui le rondini, dal mare. Egli
dormia sul letto traforato cui
sosteneva un ceppo d'oleastro barbato
a terra; e marinai sognava parlare
sparsi per il mare azzurro. E
si destò con nell'orecchio infuso quel
vocìo fioco; ed ascoltò seduto: erano
rondini, e sonava intorno l'umbratile
atrio per il lor sussurro. E
si gittò sugli Omeri le pelli caprine,
ai piedi si legò le dure uose
bovine: e su la testa il lupo facea
nell'ombra biancheggiar le zanne. E
piano uscì dal talamo, non forse udisse
il lieve cigolio la moglie; ma
lei teneva un sonno alto, divino, molto
soave, simile alla morte. E
il timone staccò dal focolare, affumicato,
e prese una bipenne. Ma
non moveva il molto accorto al mare, subito,
sì per colli irti di quercie, per
un vïotterello aspro, e mortali trovò
ben pochi per la via deserta; e
disse a un mandriano segaligno, che
per un pioppo secco era la scure; e
disse ad una riccioluta ancella, che
per uno stabbiolo era il timone: così
parlava il tessitor d'inganni, e
non senz'ali era la sua parola. E
poi soletto deviò volgendo l'astuto
viso al fresco alito salso. Le
quercie ai piedi gli spargean le foglie roggie
che scricchiolavano al suo passo. Gemmava
il fico, biancheggiava il pruno, e
il pero avea ne' rosei bocci il fiore. E
di su l'alto Nerito il cuculo contava
arguto il su e giù de l'onde. E
già l'Eroe sentiva sotto i piedi non
più le foglie ma scrosciar la sabbia; né
più pruni fioriti, ma vedeva i
giunchi scabri per i bianchi nicchi; e
infine apparve avanti al mare azzurro l'Eroe
vegliardo col timone in collo e
la bipenne; e l'inquieto mare, mare
infinito, fragoroso mare, su
la duna lassù lo riconobbe col
riso innumerevole dell'onde.
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