L'ULTIMO VIAGGIO

VII

 

LA ZATTERA

 

E gli dicea la veneranda moglie:

Divo Odisseo, mi sembra oggi quel giorno

che ti rividi. Io ti sedea di contro,

qui, nel mio seggio. Stanco eri di mare,

eri, divo Odisseo, sazio di sangue!

Come ora. Muto io ti vedeva al lume

del focolare, fissi gli occhi ingiù.

Fissi in giù gli occhi, presso la colonna,

egli taceva: ché ascoltava il cuore

suo che squittiva come cane in sogno.

E qualche foglia d'ellera sul ciocco

secco crocchiava, e d'uno stizzo il vento

uscìa fischiando; ma l'Eroe crocchiare

udiva un po' la zattera compatta,

opera sua nell'isola deserta.

Su la decimottava alba la zattera

egli sentì brusca salire al vento

stridulo; e l'uomo su la barca solo

era, e sola la barca era sul mare:

soli con qualche errante procellaria.

E di là donde tralucea già l'alba

ora appariva una catena fosca

d'aeree nubi, e torbide a prua l'onde

picchiavano; ecco e si sventò la vela.

E l'uomo allora udì di contro un canto

di torte conche, e divinò che dietro

quelle il nemico, il truce dio del mare,

venìa tornando ai suoi cerulei campi.

Lui vide, e rise il dio con uno schianto

secco di tuono che rimbombò tetro;

e venne. Udiva egli lo sciabordare

delle ruote e il nitrir degli ippocampi.

E volavano al cielo alto le schiume

dalle lor bocche masticanti il morso;

e l'uragano fumido di sghembo

sferzava lor le groppe di serpente.

Soli nel mare erano l'uomo e il nume

e il nume ergeva su l'ondate il torso

largo, e scoteva il gran capo; e tra il nembo

folgoreggiava il lucido tridente.

E il Laertiade al cuore suo parlava,

ch'altri non v'era; e sotto avea la barra.  

 

  L'ULTIMO VIAGGIO 8-LE RONDINI