L'ULTIMO VIAGGIO |
XVI L'ISOLA
EEA E
con la luce rosea dell'aurora s'avvide,
ch'era l'isola di Circe. E
disse a Femio, al molto caro Aedo: Terpiade
Femio, vieni a me compagno con
la tua cetra, ch'ella oda il tuo canto mortale,
e tu l'eterno inno ne apprenda. E
disse ad Iro, dispensier del cibo: Con
gli altri presso il grigio mar tu resta, e
mangia e bevi, ch'ella non ti batta con
la sua verga, e n'abbi poi la ghianda per
cibo, e pianga, sgretolando il cibo, con
altra voce, o Iro non-più-Iro. Così
diceva sorridendo, e mosse col
dolce Aedo, per le macchie e i boschi, e
vide il passo donde l'alto cervo d'arboree
corna era disceso a bere: Ma
non vide la casa alta di Circe. Or
a lui disse il molto caro Aedo: C'è
addietro. Una tempesta è il desiderio, ch'agli
occhi è nube quando ai piedi è vento. Ma
il luogo egli conobbe, ove gli occorse il
dio che salva, e riconobbe il poggio donde
strappò la buona erba, che nera ha
la radice, e come latte il fiore. E
non vide la casa alta di Circe. Or
a lui disse il molto caro Aedo: C'è
innanzi. La vecchiezza è una gran calma, che
molto stanca, ma non molto avanza. E
proseguì pei monti e per le valli, e
selve e boschi, attento s'egli udisse lunghi
sbadigli di leoni, désti al
lor passaggio, o l'immortal canzone di
tessitrice, della dea vocale. E
nulla udì nell'isola deserta, e
nulla vide; e si tuffava il sole, e
la stellata oscurità discese. E
l'Eroe disse al molto caro Aedo: Troppo
nel cielo sono alte le stelle, perché
la strada io possa ormai vedere. Or
qui dormiamo, ed assai caldo il letto a
noi facciamo; ché risorto è il vento. Disse,
e ambedue si giacquero tra molte foglie
cadute, che ammucchiate al tronco di
vecchie quercie aveva la procella; e
parvero nel mucchio, essi, due tizzi, vecchi,
riposti con un po' di fuoco, sotto
la grigia cenere infeconda. E
sopra loro alta stormìa la selva. Ed
ecco il cuore dell'Eroe leoni udì
ruggire. Avean dormito il giorno, certo,
e l'eccelsa casa era vicina. Invero
intese anche la voce arguta, in
lontananza, della dea, che, sola, non
prendea sonno e ancor tessea notturna. Né
prendea sonno egli, Odisseo, ma spesso si
volgea su le foglie stridule aspre.
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