L'ULTIMO VIAGGIO

VI

 

IL FUSO AL FUOCO

 

E per nove anni ogni anno udì la voce,

di su le nubi, delle gru raminghe

che diceano, Ara, che diceano, Dormi;

ed alternando squilli di battaglia

coi remi in lunghe righe battean l'aria:

mentre noi guerreggiamo, ara, o villano;

dormi, o nocchiero, noi veleggeremo.

E il canto il cuore dell'Eroe mangiava,

chiuso alle genti come un aratore

cui per sementa mancano i due bovi.

Sedeva al fuoco, e la sua vecchia moglie,

la bene oprante, contro lui sedeva,

tacita. E per le fauci del camino

fuligginose, allo spirar de' venti

umidi, ardeano fisse le faville;

ardean, lievi sbraciando, le faville

sul putre dorso dei lebeti neri.

Su quelle intento si perdea con gli occhi

avvezzi al cielo il corridor del mare.

E distingueva nel sereno cielo

le fuggitive Pleiadi e Boote

tardi cadente e l'Orsa, anche nomata

il Carro, che lì sempre si rivolge,

e sola è sempre del nocchier compagna.

E il fulgido Odisseo dava la vela

al vento uguale, e ferree avea le scotte,

e i buoni suoi remigatori stanchi

poneano i remi lungo le scalmiere.

La nave con uno schioccar di tela

correa da sé nella stellata notte,

e prendean sonno i marinai su i banchi,

e lei portava il vento e il timoniere.

L'Eroe giaceva in un'irsuta pelle,

sopra coperta, a poppa della nave,

e, dietro il capo, si fendeva il mare

con lungo scroscio e subiti barbagli.

Egli era fisso in alto, nelle stelle,

ma gli occhi il sonno gli premea, soave,

e non sentiva se non sibilare

la brezza nelle sartie e nelli stragli.

E la moglie appoggiata all'altro muro

faceva assiduo sibilare il fuso.  

 

L'ULTIMO VIAGGIO 7- LA ZATTERA