Emigranti
di Guglielmo
Gaviani
"Tilcara sta alla fine dell'altopiano, sulla
strada che va dall'Argentina
alla Bolivia: un paesino con le case
dipinte a colori chiarissimi, celestini
e verdolini. Il cielo è
pallido, di cristallo, vicino al punto che sembra
possibile
carezzarlo con le dita. Un cielo straniero. Perché sei
qui
Carlén? - sembra dirgli". (Laura Pariani, Di corno
o d'oro, Sellerio, 1993).
Oggi parlare di emigranti rammenta
subito i disgraziati d'Africa sui gommoni di Lampedusa, gli albanesi
aggrappati ad improbabili imbarcazioni sui mari d'Otranto, i
fuggitivi di tutte le guerre dal Kosovo o dal Kurdistan di
turno...
Ma "emigranti" è stato l'appellativo di
tanti italiani che si spostano dalle
terre d'origine per cercar
fortuna ovunque ci fosse la più piccola
possibilità
di trovarla. Ed il cielo era, sempre, straniero.
I precursori sono
gli emigranti del nord Italia, di quella terra che
immemori
politici vorrebbero blindata ai nuovi emigranti: sono infatti
i
contadini senza terra delle impervie vallate bergamasche e
bresciane (i
bergamitt, famosi e ricercati per le loro capacità
in stalla), del Veneto e
del Friuli a fornire mano d'opera
nelle imprese "moderne" della Lomellina e delle risaie
vercellesi e novaresi. E poi quando l'espulsione di contadini dalle
terre si fa massiccia anche al nord ed i contratti colonici sono da
fame, ecco che l'emigrazione si sposta verso gli altri paesi europei:
nelle miniere dell'Alsazia Lorena, nei cantieri di Parigi, ma anche
seguendo le grandi opere pubbliche (la costruzione dei canali nel
vercellese in particolare nella zona di Lione Vercellese, i trafori
del Sempione e del Gottardo, la costruzione del porto di La Spezia).
I contadini diventano scariolanti, magutt, minatori.
All'angolo
delle vie di New York si possono trovare accattoni bambini
con
l'accento italiano tant'è che persino Francesco Crispi
presenta nel 1888 un disegno di legge per regolamentare la materia:
l'Art.7 prevede l'ammenda di lire mille (una somma ragguardevole
all'epoca) contro "gli ecclesiastici, i sindaci, i segretari
comunali e i maestri che con esortazioni scritte o verbali promuovono
l'emigrazione anche senza fine di lucro". Quel "senza fine
di lucro" è la foglia di fico di una classe politica
ipocrita...
Secondo Grazia Dore autrice del libro La
democrazia italiana e l'emigrazione in America (Edizione Marcelliana,
1964), le grandi compagnie di navigazione e i cacciatori di
manodopera per conto dei grandi proprietari latino-americani versano
per ogni emigrante una media di venti lire agli agenti e ai sub
agenti ( che sono, appunto nella grande maggioranza dei casi, il
maestro di scuola, l'ufficiale postale, l'impiegato comunale, il
parroco).
Negli Atti della Giunta per l'Inchiesta Agraria del
1870-80, incaricata dal
Parlamento di studiare le condizioni di
vita dei contadini e l'emigrazione,
si legge: " Il Comune di
Cuggiono (provincia di Milano, ndr) è quello che in tutto il
circondario (di Gallarate, ndr) dà il maggior numero di
emigrati temporanei ; non meno di 900 uomini e giovinotti partono
ogni anno nel mese di febbraio per la Francia, o per la Germania, o
per dove insomma sanno esservi lavoro, e là si fermano fino
alla fine di ottobre nella qual epoca ritornano portando a casa
discrete somme di denaro, che i più buoni e diligenti danno al
capo di casa, e gli spensierati tengono per se e sprecano in pochi
mesi. In questi anni di frequente fallanza dei principali prodotti
agricoli, per causa specialmente della siccità, questa
emigrazione
temporanea la si estende anche a Bernate, Boffalora,
Inveruno... tutti hanno in Francia un buon numero di giovinotti ".
La foto allegata è di questi anonimi (almeno per noi oggi)
emigranti delle campagne milanesi nella grande St. Luois
(Missouri).
Laura Pariani in Di corno o d'oro descrive come
avveniva nelle campagne
milanesi il reclutamento. Siamo nel
1877...
"La seconda domenica d'aprile, dopo la messa grànda,
sulla piazza della
chiesa, mentre gli uomini chiacchierano, arriva
un biroccino. Ne scende un signore ben vestito, la catena d'oro
dell'orologio ben in mostra. Due occhi da fuén. Con lui c'è
un altro uomo, tarchiato, dall'aria da contadino, ma ben vestito
anche lui. Tutti i paesani vengono invitati all'osteria del
Gallo
a bere un bicchiere, gratis et amore Dei, paga il forèsto.
Anche del
tabacco viene offerto a tutti. Al tavolo dell'osteria
l'uomo comincia a
parlare della Mérica, terra di delizie,
dove tutti han da magiare tocchi di
carne grossi così e
tutti i contadini possiedono la ròbba, cioè un pezzo
di
terra. E chi al gh'à la ròbba, gh'à
rispètu. Poi, perché nessuno capisca pan
per
polenta, fa parlare il suo compagno, che una volta era un colono e
che
ora fa il sciùr in Mérica." (p.34 e
segg.).
Ricorda Edmondo De Amicis nel suo reportage
Sull'Oceano (ristampato da Garzanti nel 1996) in un viaggio verso
l'Argentina... "C'erano molti
Valsussini, Friulani,
agricoltori della bassa Lombardia, contadini d'Alba e
d'Alessandria
che andavano all'Argentina non per altro che per la mietitura, ossia
per mettere da parte trecento lire in tre mesi e navigando quaranta
giorni. Tessitori di Como, famigli d'Intra, segantini del Veronese.
Della Liguria il contingente solito dato in massima parte dai
circondari di Albenga, Savona e Chiavari..."
L'emigrazione
degli ultimi venti anni dell'800 è di questa gente, di
queste
terre.
Solo col nuovo secolo arriverà l'ondata
dal sud che culminerà nel 1906 con
787.977 emigranti di cui
più di centomila provenienti dalla Sicilia, la
regione che
deterrà per anni questo triste primato.
L'emigrazione
soprattutto quella verso l'america latina (la Mérica
di
frascuni o Matta) è quella più disgraziata. I
contadini italiani vanno a
fare i contadini nelle grandi
piantagioni. Poveri in Italia, poveri
all'estero. E spesso rimane
una emigrazione temporanea.
Nel nord America invece c'è
chi fa fortuna e si consolidauna comunità
italiana
soprattutto nella California, a S. Francisco, St. Luois
(Missouri),
Boston, Rockford, Detroit. Nelle aree più
industriali.
Ancora negli anni della ricostruziome nel secondo
dopoguerra vengono fatti scambi "commerciali" tra il
governo italiano e quello belga che prevedono la fornitura di mano
d'opera in cambio di acciaio.
Quando a Marcinelle
(in Belgio) l'8 agosto 1956, 262 lavoratori persero la
vita in
una miniera per una tragica esplosione, ben 136 italiani
erano
emigrati da varie regioni del nostro Paese, in particolare
dalla Calabria e
dall'Abruzzo.