QUESTA LA STORIA DEL LIVELLO DI NASSETA
(proprietà collettiva che risale a una presunta donazione di Carlo Magno )
Carlo Magno, con diploma dell' anno 871, donò alla chiesa di Reggio Emilia una vasta estensione di territorio, di oltre 2.000 ettari. Il tenimento passò poi, attraverso numerose contese, risolte anche con le armi, al monastero di san Prospero e infine nel 1834, dopo altre lotte, mediante affrancazioni, agli uomini di Collagna, Acquabona, Cinquecerri, Caprile, e Nismozza frazioni appartenenti alle comunità di Collagna, Ligonchio, Busana. Ma il comune di Reggio Emilia sostenne più tardi che il contratto di cessione del terreno non venne corroborato dalle formalità volute dalle leggi statutarie e che il canone pagato era irrisorio. Quindi intentò lite ma i giudici diedero ragione agli uomini di Collagna.
Si moltiplicarono le cause giudiziarie anche per stabilire la divisione degli utili fra le frazioni affrancatarie, per la compartecipazione delle frazioni che non affrancarono e per riconoscere anche alle donne il diritto di partecipare agli utili del livello. In particolare la frazione di Collagna, avendo per prima di tutte le altre ottenuta l'affrancazione , sosteneva di aver acquistato integralmente il diritto di proprietà e al pascolo spettante alle altre frazioni. Finalmente con il rogito del Dott. Apollinare Ferri in data 15 luglio 1840, si addivenne ad una convenzione, mediante la quale si riconobbe che le rendite e le spese del latifondo di Nasseta dovessero dividersi per metà alla frazione di Collagna e per l'altra metà alle altre frazioni interessate. Tutte le frazioni avevano il diritto di uso e godimento promiscuo del pascolo e legnatico, limitato questo però ai bisogni di famiglia.
In caso di vendita di legna metà del prodotto doveva spettare alla frazione di Collagna e l'altra metà doveva essere ripartita tra le altre frazioni. Altrettanto doveva accadere per ogni altro prodotto. In egual proporzione dovevano essere ripartite tesse e spese anche in caso di lite. Una vertenza insorse tra il comune di Collagna e quello di Ligonchio. Il primo sosteneva che il latifondo gli appartenesse in gran parte, per giurisdizione territoriale, mentre il secondo sosteneva che il livello di Nasseta, fino ad allora incensito, non dovesse essere censito nelle mappe del comune di Collagna. La lunga e laboriosa vertenza fu definitivamente risolta alla sezione del Consiglio di Stato in data 21 novembre 1923, la quale riconosceva che tutto il territorio del livello doveva essere censito nei comuni di Collagna e Busana. Sorse un' altra più grossa questione, per sapere chi doveva amministrare quel latifondo di promiscua proprietà. Prima di allora una larva di amministrazione era stata tenuta da speciali mandatari, nominati da ciascuna delle frazioni interessate per mezzo di procura notarile. Ma la proprietà collettiva non era disciplinata da norme regolamentari. I livellari e i mandatari più astuti e più audaci vendettero, carbonizzarono, occuparono i migliori appezzamenti del livello, e non sempre a profitto della colletività.
Il livello, sul quale venivano fatti tagli di piante, dissodamenti ed emissioni di bestiame e pascolo senza alcuna regola, divenne una specie di RES NULLIUS o meglio un territorio dove il primo occupante ed il più astuto faceva ciò che gli tornava comodo. Prima del nuovo catasto quel vasto latifondo era sfuggito alla censurazione, onde nessun tributo pagava allo Stato nè al Comune. Ma dopo l'attuazione della legge 1886 sulla perequazione fondiaria, venne intestato ai comuni di Collagna,Busana e Ligonchio. Il Livello di Nasseta, con decisione del Consiglio di Stato del novembre 1913, venne assegnato per giurisdizione al comune di Collagna e la G.P.A. di Reggio con decisione del 12 ottobre 1903 riconobbe al comune di Collagna il diritto di disciplinare l'uso del Livello in parola.
Le cause per l'attribuzione dei diritti riguardanti il livello di Nasseta e per stabilire i confini dei terreni di rispettiva competenza continuarono a essere promosse da una parte a dall'altra, con tendenza a riaccendersi perchè chi risultava soccombente, con tenacia montanara, non si rassegnava e ricorreva ai superiori gradi di giurisdizione. Nella seduta del consiglio comunale del 22 maggio 1912, il sindaco riferì che il Ministro dell'interno con decreto reale 1 febbraio di quell'anno, risolse in favore dei comuni di Collagna e Busana la vecchia questione relativa ai confini territoriali, che si era accesa col comune di Ligonchio, stabilendo che il fiume Secchia non dovesse essere varcato. Ma Ligonchio presentò ricorso avverso alla decisione e Collagna approvò un controricorso. Un'altra complicazione insorse l'anno seguente. Nella seduta consigliare del 16 novembre Emilio Pulniani manifestò tutta l'amarezza e la protesta dei frazionisti di Collagna, comproprietari del livello di Nasseta, per le forti restrizioni imposte dalla legge forestale che vietava di << legnare e pascolare su tale territorio>>. In tal modo <<aumentava il disagio di questa popolazione, priva di risorse specialmente nell'inverno>>. L'oratore proponeva quindi che fosse chiesto alle superiori autorità forestali l'autorizzazione a tagliare e pascolare. Le superiori autorità non ne vollero sapere, tanto che la Prefettura, con lettera dell' 11 dicembre 1913, restituì non approvata la delibera (seduta del 27.03.1914). Le proteste dei consiglieri furono molto vivaci. Che farsene del famoso Livello di Nasseta se era interdetto ai pastori e se non si poteva nemmeno raccogliervi qualche fascina per cuocere la polenta?
In seguito le liti non si spensero. Nel 1930 un'altra causa coinvolse Vaglie, Campo e Ligonchio. Per porre termine a questi contrasti, dopo l'ultima Guerra, i sindaci di Collagna, Busana e Ligonchio decisero la costituzione dell'Azienda per il Livello di Nasseta, affinché componga al suo interno i contrasti e amministri nell'interesse di tutti. Attualmente, in base alla legge regionale sulla forestazione, i territori del Livello di Nasseta sono amministrati da un consorzio volontario.
ACQUABONA NEI SECOLI
Secolo XII
La famiglia Vallisneri, insignita del titolo di conte, consolida ed estende il suo feudo che fa capo a Vallisnera,ove erige un castello. Sono soggette a quella famiglia anche le comunità di Acquabona, Cerreto, Culagna, Nismozza e Vaglie. I rapporti con le comunità e i sudditi sono regolate da uno statuto.
Secolo XIII
1237. Gli abitanti di Acquabona, Cerreto, Culagna, Nismozza e Ramiseto giurano fedeltà al comune di Reggio, con il favore dei Vallisneri, che partecipano all'amministrazione della città. Valbona era invece legata con un giuramento al comune di Parma.
1357. Il feudo dei Vallisneri viene diviso. Al ramo principale della famiglia toccano Vallisnera, Valbona e Acquabona. I Vallisneri dell'altro ramo, che si trasferiscono a Cerreto, hanno in dotazione, oltre a Cerreto, Culagna e Vaglie.
Secolo XVII
Agli inizi del '600 il feudo dei Vallisneri di Vallisnera e Acquabona è incorporato nella Podesteria di Castelnuovo Monti.
1612. Il Duca Cesare d'Este stacca Acquabona e Nismozza dalla Podesteria di Castelnuovo Monti e la erige in contea, investendone Paolo e Alessandro Brusantini, ottenendone in cambio 15.000 lire. Il conte Alessandro Brusantini (il famoso conte di Culagna del Tassoni) per rifarsi istituisce la <<tassa sulle castagne>> e obbliga i sudditi a macinare il grano nel suo mulino.
1621. La contea di Acquabona è ceduta dai Brusantini ai conti Fontani di Modena.
1711. Il Duca sopprime la Contea di Acquabona ed erige Culagna in contea, dopo di averla staccata dalla Podesteria di Cerreto. A Culagna viene assogettata Acquabona, mentre Nismozza è di nuovo aggregata alla Podesteria di Castelnuovo.
1796. Proclamazione della Repubblica Cispadana e abolizione di tutti i feudi, contee e podesterie. L'alta montagna reggiana viene a far parte del distretto di Castelnuovo Monti.
1815. Acquabona, Cerreto, Culagna, Vallisnera e Valbona vengonono a far parte come frazioni, del comune di Busana.
1860. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, Culagna che assunse la nuova denominazione di Collagna, fu separata da Busana e costituita in comune con giurisdizione sulle frazioni di Acquabona, Vallisnera, Valbona e Cerreto.
(Le notizie storiche sono state desunte sino all'anno 1860 dall'accurata ricerca di Don Augusto Gambarelli)
IL FEUDO «MINORE» DI ACQUABONA (POI DAL 1711 DI COLLAGNA).
Quando la Signoria d'Este ebbe riconfermato ai Vallisneri il feudo già loro di Vallisnera e Valbona, ne furono detratte delle frazioni: già s'è visto, di Collagna assegnata alla podesteria di Cerreto; nel contempo e alla stessa maniera venne detratta Acquabona (con Njsmozza) e aggiudicata prima alla Podesteria di Felina, dopo a quella di nuova istituzione di Castelnovo-monti; cosicché questa frazione visse tale vita amministrativa di Comunità membro d'una podesteria fino al 1612
Si era nell'epoca «secentista» in cui valeva lo sfoggio e il titolo di feudatario alla corte anche di Modena, ed un servizio di fedeltà dava diritto ad esser dichiarati «nobili» e investiti d'un lembo di terra che avesse della gente, (il numero non contava, se si pensa che la contea di Sacca, distaccata dal feudo di Nigone e pagata profumatamente, consisteva in un lenzuolo di terra alla confluenza dell'Atticola con la Lonza ed aveva tre catapecchie); quindi il Duca era spesso seccato da cortigiani, ambiziosi di potersi presentare in una parata di corte come «conte» di un nome «nuovo», per esempio di Deusi, (altro nido di quattro casupole). E arrivava la volta che il Duca cedeva e dava le disposizioni di cercare in giro e, chi aveva «dei soldini», ci riusciva prima.
Fu cosi che il Podestà di Castelnovo monti venne fin dal 1608 interpellato; ma, di solito, per non rimetterci nello stipendio, rispondeva con parere negativo dicendosi contrario a sottrarre delle Comunità alla Podesteria. Dietro replica, perché c'erano i Brusantini che premevano sotto, scrisse questa relazione di Acquabona: «...non ha molino, avendoglielo portato via Secchia; riceve molto danno da un rivo che gli passa per mezzo, ma di esso si potria cavar utile con farcelo... fa famiglie 24 che danno più di 100 anime; essi sono da 12 soldati; la terra è picciola, ma li terreni assai fruttiferi, non vi fa però vino, ma delle castagne et altri frutti. Ha parte nel M. Ventasse di dove ricava fieni e perciò tiene bestie grosse secondo il bisogno». 11 duca Cesare doveva compensare i servizi del suo cameriere segreto Paolo Brusantini, capitano delle sue guardie alemanne, che poteva versare subito nelle smilze casse della Camera Ducale lire 15 mila e prometterne a rate altrettante; quindi fu decretato lo stralcio dalla podesteria delle due Comunità (Acquabona e Nismozza) per erigerle in contea da investire al nuovo «nobile» Carlo Brusantini e suo figlio Alessandro, vanesio questo e millantatore, con lo spirito «esterno» d'un Don Chisciotte, ma «interno»di Sancio Pancia, sicché prestò il fianco al Tassoni che lo raffigurò nel conte di Culagna, uno dei più ridevoli personaggi della Secchia Rapita e diventò la favola dell'ambiente di corte. Sicché si diede d'attorno di disfarsi del feudo, tanto più che si era reso subito odioso «in loco», avendo aperto un molino proprio; obbligando i terrazzani ad andarvi a macinare con una «molenda» più gravosa di quella richiesta da quello di Collagna, di cui solevano servirsi, dopo il crollo del loro; per sopraggiunta s'era messo a far pagare una tassa sulle castagne: cosa inaudita...
Purché si contentassero sul prezzo preteso, non mancavano aspiranti, e solo dopo 9 anni di delusioni e amarezze, pur avendo dovuto tirare e poi cedere sul conto del nuovo molino, i Brusantini passarono il feudo (21 agosto 1621) ai conti Fontani di Modena, i quali vi durarono per 90 anni, succedendovi nella persona di Tommaso, Francesco, Filippo e Galeazze, trovandolo preferibile a quello di Debbia cui avevano immediatamente rinunciato, ben lieti di pagare come ricognizione annua il costo per presentare alla toilette ducale «una bozza di fior d'angeli».
Francesco Milani
Infierirono più che altrove le truppe francesi di passaggio
Acquabona fece parte, fino alla metà del Cinquecento, di Vallisnera, quando, stanchi quei fedeli di dover salire tutte le feste lassù, si accordarono a mettere insieme una chiesetta ed a dotarla di appezzamenti, consegnati al rettore di Vallisnera da sfruttare purché scendesse lui ogni domenica per una Messa. La vera distinzione parrocchiale si ebbe nel 1561 con l'elezione di Rettore distinto il 12 maggio nella persona di don Giorgio Pramaori.
Quanto a fabbricato, la chiesa ha cambiato tre volte: la primitiva, già in piedi e funzionante nel 1543, era più in basso dell'abitato, disgraziatamente su terreno mal sicuro, sicché un secolo dopo già <per la pioggia la chiesa vecchia minaccia di cadere essendosi malamente mossa; però hanno dato principio altrove a nuova pianta avendo già la muraglia fuori dai fondamenti» (relazione del 1651). Di questa seconda esiste la pianta ricalcata nel 1664 (cf. il cliché); si aggiunse in seguito da una parte un aggetto per un altare secondario e dall'altra quello che serviva da sacrestia. Tutti sanno come si è arrivati alla terza chiesa attuale, su disegno del geom. Gianni Baldini di Reggio.
Merita di esser notato come infierirono, più che altrove, le truppe francesi di passaggio ritornando da Cremona nel 1649 tanto sul rettore, malmenandolo spieiatamente che morì poco tempo dopo, quanto sulla roba di chiesa, sicché ne approfittarono per andare a raccomandarsi a Modena anche per esser aiutati nella costruzione della nuova chiesa: «... rubati i calici, i vasetti d'argento, pianete, campagna, candelieri d'ottone... per le gran piogge è scorsa la terra dove è stata fabbricata la chiesa che l'han quasi gettata a terra e sono necessitati a riedificarne un'altra in altro sito lontano». (Ebbero l'esenzione dalla tassa macina finché non l'ebbero finita). La visita Mariliani (1664) la descrive «de novo riedificata, in bono statu quoad materiale»; ma ancora sprovvista di suppellettile «depraedada a militibus franchis». Picenardi (1705) trovò la chiesa «in loco detto in S. Rocco, con porta a mezzogiorno, coperta di piagne, soffitto d'asce e pavimento di calcina». Ancora sotto Castelvetri (1751) era coperta a piagne. Al tempo di Cattani (1829) il beneficio era sussidiato dalla Plebana di S. Polo con lire 127,92 annue. Sotto il vescovo Macchi (1867) si annota: «sul luogo della prima chiesa lavinata ci sono alberi d'una grossezza assai notabile... il tassello fu messo in volto per beneficienza del duca Francesco IV... due quadri nuovi... campanile costrutto di nuovo, senza scale dentro... la sacrestia non c'è; il prete si veste in coro». Il convisitatore del vescovo Marchi (1903) trovò la chiesa «in stato discreto».
L'abitato di Acquabona, prima dell'ultima guerra. Si nota la vecchia parrocchia andata distrutla, sostituita dall'attuale chiesa in stile moderno. Il ponte è ancora quello di allora, (foto di Amanzio Fiorini).
Acquabona ieri ed oggi..