"
Mamma", disse un giorno alla massa ghiacciata,
"non ti sembra una vita
stupida la nostra?"
La
mamma guardò quel monticello di ghiaccio blu e bianco che era suo figlio e
gli chiese stupita: "Che intendi dire?"
"
Stiamo
qui da anni e secoli, abbracciati l’uno all’altro, parliamo, osserviamo gli
orsi e gli ermellini, poi una corrente più calda ci porta via e un po’ alla
volta ci sciogliamo."
"
Infatti questo è il nostro destino!", rispose la mamma.
"
Mamma,
hai mai sentito parlare di qualche iceberg che non faccia parte della
famiglia?"
"
Beh",
disse tentennando un poco, "conosco solo noi e la signora qui sulla mia
destra. Ogni tanto scambiamo due chiacchiere..."
Il
piccolo, non contento della risposta, insistette: "Quindi non conosci un
iceberg famoso?"
"
Oh,
noo! Non fa parte della nostra natura diventare famosi. Noi iceberg sappiamo
che il prezzo della conoscenza è molto alto e quindi non ci azzardiamo a
diventare avventurosi."
"Perchè
no?"
La
madre non sapeva rispondere.
Poi il
piccolo chiese: "Mamma, posso fare amicizia con qualcuno, qui?"
Era una
domanda fuori da ogni logica, una cosa mai pensata da nessun iceberg.
La
madre decise di essere dura: "Ti sei mai guardato? Hai mai guardato tutti
noi che da millenni siamo qui a formare il polo? Ti pare che possiamo fare
amicizia con qualcuno che non sia come noi? Siamo percorsi in superficie da
orsi e zibellini e ermellini, ma non sono nostri amici. Su di noi scivolano
foche e otarie, ma da qui ad essere amici ce ne corre. Solo il vento ci
viene a trovare e a volte è anche troppo impetuoso. Non metterti strane idee
in mente, capito?"
Il
piccolo non rispose, ma l’idea di vedere cose nuove non l’abbandonava: più
volte proprio il vento gli aveva parlato di terre lontane, di oceani e di
navi che percorrevano le acque come conchiglie di legno o di acciaio. E più
il vento gli parlava e più cresceva in lui la voglia di fare nuove
conoscenza, di esplorare il mondo, di avere tanti amici e, perchè no,
diventare famoso.
In
realtà lui aveva già individuato la sua amica, quella che lo avrebbe aiutato
a realizza i suoi sogni. Era una balena che gironzolava sempre da quelle
parti.
Con gli
anni il piccolo iceberg crebbe sempre di più e divenne una montagna vera e
propria. E più cresceva, più la balena gli sembrava diventare piccola
piccola. Anzi, il cetaceo era diventato tanto piccolo ai suoi occhi che, si
e no, riusciva a scorgerlo al di là del suo enorme naso di ghiaccio.
L’iceberg pensava, continuamente, a come fare amicizia con le che avrebbe
potuto aiutarlo a realizzare i suoi desideri: conoscere qualcosa al di là di
quel mondo freddo e inospitale, vedere una nave o magari più di una, e
diventare famoso. Lui sarebbe stato l’iceberg che avrebbe allargato le
conoscenze della sua famiglia.
Ma come
poteva, quella balena piccola piccola, aiutarlo?
Innanzitutto bisognava farsi notare, ma come?
Uno
starnuto! Ecco il modo!
Se
avesse dato uno scossone alla sua massa enorme, la balena si sarebbe di
certo accorta di lui. Poi se le cose andavano bene, bisognava fare
conoscenza.
Bel
problema, però. Potevano piccoli scossoni essere una forma di comunicazione?
Avrebbe quel minuscolo e guizzante pesciolino nero, lontano mille metri dai
suoi occhi blu, risposto in qualche modo?
Tra
l’altro sua madre era sempre all’erta, pronta a stringerlo a sé appena lui
emetteva un solo gemito, decisa a non farlo allontanare neanche un
millimetro.
Alla
fine si decise.
Disse
alla madre e alla sorella: "Ehi, mi sento un pizzicorino, qui alla gola."
"
Non ti
preoccupare, sarà quel vento che ha soffiato stanotte", rispose la madre,
stringendolo a sé.
"
Cose
di stagione", disse la sorella.
"
Mi
viene da starnutire", disse lui con voce roca.
"
No!",
fece allarmata la madre.
"
Se
starnutisci si staccano parti intere di te e forse anche di me. Se proprio
non resisti, fai delle tossettine leggere."
La
balena era ai suoi piedi e lui fece qualche colpo leggere do tosse che si
riverberò fino al mare.
La
balena scappò via spaventata, guardando in su, verso la montagna di
ghiaccio. Poi sentì di nuovo quegli scossoni e notò che c’era qualcosa di
strano.
Sbuffò
dal naso con fare perplesso. Si riavvicinò cauta all’iceberg e di nuovo i
colpi di tosse si fecero sentire: erano piccoli e ritmati. Sembrava che
l’iceberg volesse comunicare. Decise di rispondere con dei colpi di coda.
Tre
colpi di coda... tre colpi di tosse. Beh, poteva essere un caso.
Due
colpi di coda... due colpi di tosse. Un altro caso?
Quattro
colpi di coda... quattro colpi di tosse.
Allora
non era un caso! Stava comunicando con quello che fino a pochi istanti prima
le era sembrato un enorme blocco di ghiaccio senz’anima.
Ma cosa
poteva volere da lei quella montagna? Al suo cospetto lei si sentiva
insignificante e quindi perché avrebbero dovuto fare amicizia? Come se non
bastasse, in quel periodo dell’anno non poteva neppure trattenersi troppo
perché c’era da seguire i piroscafi che attraversavano gli oceani da una
sponda all’altra.
I suoi
amici del Mare del Nord le avevano da poco portato un messaggio: un enorme
transatlantico stava per passare proprio di lì ed era quella nave bella e
gigantesca di cui aveva già sentito tanto parlare. Doveva vederla
assolutamente!
Stava
per andarsene quando sentì una voce. Era un sussurro pieno d’aria e di
ghiaccio, aguzzo come una fiocina ma robusto come il vento del Nord.
"
Nave",
aveva detto l’iceberg.
Allora
lei capì tutto. Fece un salto sulla superficie del mare come per guardare la
montagna negli occhi di ghiaccio e si allontanò veloce. E mentre la balena
si allontanava, lui tremava per lo sforzo. Quell’unica parola gli era
costata una enorme fatica.
"
Ho
sentito una voce mai udita prima", disse la madre, stringendolo a sé.
"
Quasi
l’urlo dell’orso", disse la sorella.
"
Un
colpo di tosse più forte", rispose lui imbarazzato.
Dopo un
po’ le vide arrivare all’orizzonte. Erano le balene, ed erano tante! Si
dirigevano senz’altro verso di lui, verso la sua parte immersa nell’acqua.
Quando
la madre si lamentò che non riusciva più a trattenerlo e quando anche la
sorella fu costretta a lasciare la presa, e quando sentì che una moltitudine
di creature nere lo aiutavano a staccarsi dalla banchisa, solo allora capì
che il suo desiderio sarebbe stato esaudito.
"
Addio
madre!", disse.
"Addio
sorella! Vado per la mia strada."
Diede
un ultimo strattone alla massa di ghiaccio e si sentì leggero. L’aveva
sognato per tanto tempo e ora gli sembrava incredibile: stava galleggiando,
circondato da una moltitudine di balene festose.
Era
notte. Le balene si allontanarono ed una di esse fece un salto sulla
superficie nera del mare. Doveva essere la sua amica e lo stava salutando.
Adesso
si muoveva libero ma nello stesso tempo prigioniero: una corrente
sottomarina lo stava trascinando, lenta e inesorabile, verso l’oceano
aperto.
In
lontananza scorse delle luci e vide una conchiglia stretta e allungata: era
la nave!
Si
sentì commosso e grosse lacrime scorsero lungo i suoi fianchi. Si accorse di
essere sempre più leggero, come se alcune sue parti stessero ormai
sciogliendosi.
E la
nave era vicina, sempre più vicina, e ora riusciva anche a sentire delle
voci, simili a quelle che ogni tanto percepita sulla sua superficie, quando
i cacciatori inseguivano gli animali.
Erano
voci allegre, erano risate di gioia e una musica dolce riempiva l’aria.
La
corrente lo trascinava sempre più forte. Lui cercava di resistere ma non
riusciva a contrastarla.
La
nave, adesso, era ancora più vicina: non così piccola come sembrava da
lontano, ma neanche così imponente come si aspettava. Eccola che scivolava
come una balena di ferro, con un rumore quieto e pacato.
Per la
prima volta poté osservare bene delle persone: di uno scorse il bianco degli
occhi, di un altro la dentatura candida.
Finalmente si sentì appagato: era necessario allontanarsi, ma la corrente lo
tirava e la nave era sempre più vicina.
A un
certo punto sentì un tonfo: aveva colpito la fiancata della nave e alcuni
suoi frammenti caddero in mare.
Sicuramente il transatlantico gli aveva procurato un graffio sul fianco e
subito dopo si era allontanato. O era lui che era stato trascinato? Il fatto
è che la nave era distante ora e lui sentiva come un fastidio nel punto dove
l’aveva urtata.
Capì
che si sarebbe sciolto più in fretta del previsto, perché comincio a
inclinarsi sula destra. Cercò di raddrizzarsi, ma sentiva che la corrente lo
portava sempre più veloce verso il caldo e che ogni tentativo era vano.
Mentre
scivolava via, sentì di nuovo la voce del vento: "Ora sei famoso, di te si
ricorderanno le generazioni future. E’ valsa la pena soddisfare il tuo
desiderio di avventura?"
L’iceberg si ricordò di quello che sua madre gli aveva detto anni prima.
Stette
un po’ in silenzio e poi disse: "Ho pagato il prezzo della conoscenza?"
"
Sì lo
hai pagato", rispose il vento.