Favole, racconti e storie di Natale

Lunetta e il regalo di Natale

 

Lunetta è giovane e sbarazzina. E’ giocherellona, vivace, molto simpatica e tremendamente golosa.

Lunetta non è una bambina, ma é una renna: una delle renne di Babbo Natale.

Un giorno, gironzolando senza meta per i corridoi del castello di Babbo Natale al Polo Nord, sentì un profumino delizioso spandersi nell’aria.

Annusò in giro e scoprì che proveniva da una piccola porta socchiusa.

Spinse con cautela e si trovò davanti a una scala che scendeva verso il buio. Dal fondo provenivano voci, risate e un’aria calda e profumata.

Ballerina, annusando deliziata, si avviò alla scoperta.

Scese adagio i gradini e finalmente giunse ad una grande porta di legno con un finestrino nel mezzo.

Lunetta si alzò sulla punta degli zoccoli, allungò il collo e sbirciò dal vetro.

Enormi pentoloni colmi di cioccolata, cento forni attorno ai quali gli gnomi si affaccendavano infilando torte di ogni  foggia, grandi tini pieni di panna e di crema, cascate di frutta candita, montagne di torrone, marzapane, uvetta e nocciole, vassoi di bigné, ciambelle, paste e meringhe. Ed un profumo... un profumo... Lunetta si senti quasi svenire.

Con gli occhi socchiusi e il naso per aria si appoggiò alla porta e ruzzolò dentro.

Si trovò così seduta su di una grande torta al cioccolato. Tutta spaventata stava per darsela a gambe, ma si accorse che nessuno stava per sgridarla e che, anzi, occupati com’erano, gli gnomi non si erano neanche accorti di lei.

Per cui, non sapendo cosa fare, Lunetta iniziò a mangiare la torta su cui era seduta.

"Buona!", pensò.

"Proverò anche quella vicina, giusto un assaggino..."

E poi ne assaggiò un’altra alla panna che si era un po’ schizzata di cioccolato e quindi non si poteva più regalare. E alcuni bigné caduti per terra quando aveva urtato un vassoio vicino alla torta di panna. E un cestino di marzapane pieno di frutta candita, giusto per mandar giù la panna che le era andata di traverso.

Dopo di che, essendo una renna molto educata, cercò di fare conoscenza con qualcuno degli gnomi. Ma questi le passavano accanto di corsa e non la degnavano neanche di uno sguardo.

Ne rincorse un paio sorridendo e scodinzolando, ma il via vai era così frenetico che rischiò di essere investita, per cui si ritirò in un cantuccio caldo sopra una pila di strofinacci e si addormentò.

Si svegliò la mattina dopo circondata da torte alla frutta appena sfornate. Ne vide una di banane, che era la sua favorita, e fece un’abbondante colazione.

Poi, guardandosi attorno con aria soddisfatta, decise che quel posto le piaceva molto e siccome nessuno sembrava volerla mandare via, decise di restarci per qualche tempo.

Passò un mese stupendo. Imparò a conoscere gli gnomi uno ad uno. Si interessò al loro lavoro seguendone tutte le fasi. Si fece insegnare a impastare, a fare la pasta frolla, la pasta sfoglia, a creare creme leggere e vellutate, a decorare le torte con la panna, a riempire i bigné, a glassare con la spatola e a farcire con i canditi.

Siccome era una renna molto scrupolosa, assaggiò tutto quello che c’era da assaggiare, per rendersi meglio conto delle differenze.

Il tempo volava, purtroppo, ed un bel giorno si rese conto che era il 24 dicembre.

Mamma mia! Quasi faceva tardi. Aveva appena in tempo per addobbarsi a festa, raggiungere le altre renne ed essere attaccata alla slitta.

Si precipitò fuori arrancando per la scala dalla quale era arrivata. Come sembrava ripida e stretta, ora. Doveva fermarsi quasi ad ogni gradino per riprendere fiato.

Sgusciò dalla porta e corse verso la sala di partenza.

Entrò come un fulmine ansimando e scivolando sul lucido pavimento di legno. Le sue compagne erano già tutte legate, le corna splendenti, i mantelli lisci e profumati, gli zoccoli d’oro impazienti.

Le renne si voltarono al suo arrivo. E scoppiarono in un lungo ooooh.

Lunetta si fermò. Guardò dietro di sé, guardò le renne, guardò ancora dietro di sé, e infine capì che era proprio lei la causa della loro sorpresa.

Allora si sedette e si osservò con cura.

"Forse ho della cioccolata sugli zoccoli", pensò.

Finalmente capì! Era ingrassata, tremendamente ingrassata. Un vero palloncino di pelo.

Si mise sulle quattro zampe ed abbassò la testa. La pancia toccava per terra.

"Presentarsi così il 24 dicembre. Non era mai successo. Questi giovani...", disse la renna più anziana.

"Inconcepibile", disse una renna intellettuale.

Attratto dal baccano apparve sulla porta Babbo Natale.

Si avvicinò a Lunetta aggrottando la grande fronte e lisciandosi la barba.

"Non so cosa sia successo", disse inarcando le folte sopracciglia, "ma in queste condizioni dubito molto che tu riesca a volare."

"Ma...", mugolò Lunetta.

"Niente ma", disse Babbo Natale, "il rischio è troppo grande e tu sai quanto sia importante la distribuzione dei doni. Cosa direbbero i bambini se giungessi in ritardo per colpa di una renna? Mi dispiace..."

Lunetta si alzò di scatto: "Posso volare benissimo, le assicuro, guardi!"

Si lanciò attraverso la sala, rimbalzò un paio di volte, si staccò dal pavimento per qualche centimetro e ricadde sul naso. L’impeto la portò a scivolare fin sotto al tavolo, trascinando con sé tovaglia e candelieri.

Babbo Natale senza dire altro si voltò, salì sulla slitta e schioccò la frusta.

Lunetta, da sotto il tavolo, con la tovaglia sul naso li vide partire verso il cielo dorato, descrivere un grande arco nel cielo e sparire all’orizzonte.

Le sue lacrime cadevano proprio sul candeliere facendo ting, ting, ting.

La grande sala era ora vuota e silenziosa. Dove prima c’era la slitta adesso rimaneva una scia di stelline fosforescenti che si attenuava pian piano.

Lunetta si sentiva proprio disperata. Guardò con il capo inclinato il rettangolo di cielo stellato oltre la porta, poi si avviò tristemente verso la propria stalla.

Di colpo si arrestò. In mezzo al pavimento lucido della grande sala c’era un pacchetto. Un pacchetto di carta azzurra con un fiocco blu scuro. Accanto Lunetta vide il bollettino di consegna (Babbo Natale è molto organizzato) e, attaccata con una graffetta, la letterina del bambino che l’aveva chiesto.

"Deve essere caduto dalla slitta", disse tra sé Lunetta.

"Caro Babbo Natale", diceva la letterina, "noi abitiamo in una casa vecchia, ma stiamo bene. Sotto di noi abita una famiglia che viene da un posto lontano che non so come si chiama. Hanno un bambino della mia età con il quale ogni tanto gioco. Lui dice che Babbo Natale non esiste. Dice che i regali li comprano le mamme ricche per i bambini ricchi, che lui Babbo Natale non l’ha proprio mai visto. Quel bambino ha una mamma sempre molto preoccupata, che non sta neanche tanto bene con la salute. Ieri l’ho sentita che diceva che non hanno i soldi per una maglia di lana e che con questo freddo il bambino si ammala. Mi piacerebbe tanto che lui credesse a Babbo Natale e non a quella storia delle mamme ricche, forse si sentirebbe più felice. Tuo affezionatissimo Paolo."

"Oh!", gemette Lunetta.

Guardò il pacchetto, guardò le stelle, guardò la propria pancia...

"Accidenti! Ci devo pensare io."

Afferrato il pacchetto tra i denti prese la rincorsa dal fondo della sala, fece un profondo respiro e si lanciò con un grande salto dalla finestra.

Più che un volo il suo fu una lunga parabola che terminò in un mucchio di neve.

Doveva farcela. Annaspò, rimbalzò, scivolò, corse, rimbalzò ancora e finalmente riuscì a volare. Non molto in alto per la verità, ed ogni tanto toccava con la pancia la cima delle colline o strofinava contro i rami degli alberi alti, ma non si arrendeva.

Era una bella notte fredda e trasparente. La luna illuminava la neve e la campagna sembrava un mare grigio e blu. Ogni tanto Lunetta sorvolava un villaggio dalle casette strette una all’altra, con le luci alle finestre e gli abeti illuminati. Passando sui camini le giungeva odore di resina e dolci. Dolci! dannati dolci. Non avrebbe mai più toccato un dolce in vita sua.

Su certi tetti vedeva le tracce fosforescenti lasciate dalle renne di Babbo Natale. Come avrebbe voluto essere con loro...

Volò e volò per ore ed ore, su paesaggi sempre diversi, su città e campagne, su boschi scuri ed autostrade illuminate. Voleva fermarsi per riprendere fiato, ma aveva paura di non arrivare in tempo.

Finalmente giunse alla città giusta e all’indirizzo marcato sul bollettino.

Atterrò pesantemente sul tetto e annaspando raggiunse il camino.

"Non ce la farò mai", pensò mentre si infilava nella canna fumaria.

"Com’é stretto! Ma come fa Babbo Natale?"

"Ooooh!", urlò e precipitò in una nuvola di fuliggine nel bel mezzo della stanza.

Si guardò intorno. Era una stanza molto spoglia. C’era una signora che teneva un bambino piccolo piccolo in braccio cantando sotto voce.

Un altro bambino sedeva sul pavimento guardando fuori dalla finestra.

"Questa è la sera di Natale, dovrebbero essere felici. Ma non c’é aria di Natale: sono tristi e... soli",  pensò Lunetta.

Appoggiò il pacco di fronte al bambino. Ma questo non si mosse.

Spinse il pacchettino con il muso fino a toccare il bambino, ma senza risultato.

"Perchè non lo vede? Neanche la madre mi vede. Insomma, non capita tutti i giorni di vedere una renna grassa uscire dal camino."

Lunetta fece un ultimo tentativo: strappò con i denti il nastro del pacco e aprì la scatola.

Vuota!

La scatola conteneva solo una specie di polverina dorata, fine ed impalpabile, che volò nell’aria e, come un profumo, si diresse verso la porta.

"Non c’é la maglia di lana", pensò Lunetta angosciata.

"Babbo Natale non può averla dimenticata?"

In quel momento bussarono energicamente alla porta. Lunetta spaventatissima corse verso il camino e si arrampicò più in fretta che poteva.

Sbucò sul tetto affannata e coperta di fuliggine e rimase a bocca aperta. Vide Babbo Natale che sedeva nella sua slitta ricolma di regali, splendente nel suo abito rosso e  le renne scalpitavano.

"Era vuota! Era vuota!", balbettò Lunetta.

"Il pacchetto era vuoto, niente maglia, niente!"

"No", disse sorridendo Babbo Natale.

"Non era affatto vuoto. Conteneva qualcosa di molto prezioso. Prima non hai sentito bussare?"

"Si", disse Lunetta dubbiosa.

"Allora vieni con me e viene a vedere..."

Scesero leggeri lungo la facciata e sbirciarono dalla finestra.

La stanza era piena di gente. C‘era un piccolo albero di Natale tutto illuminato e il bambino rideva con una grande sciarpa attorno al collo.

Un omone dalla voce burbera, ma con il viso gentile stava dicendo: "Volevo darvi il benvenuto a nome di tutti i vicini. Benvenuti tra noi. Ci si vede sempre di corsa e non si riesce mai a parlare.  Io sono spesso solo e mi farebbe piacere se ogni tanto passate a bere una tazza di the."

E una signora, che portava una torta, si rivolse al padre del bambino con una vocina squillante: "Lei mi ha portato quella borsa pesante l’altro giorno e io ho pensato di fare questa sciarpa per ricambiare."

E tutti dicevano "BUON NATALE" e sorridevano.

Babbo Natale si rivolse a Lunetta che guardava a bocca aperta e disse sottovoce: "Non era solo di una maglia che avevano bisogno, ma di amore e di amicizia. Un amore che giunga attraverso la porta e non sulle ali della fantasia. La gente è buona, ma a volte non riesce a fare il primo passo, non osa. Io la chiamo "P.P.P. - Polverina Primo Passo". Un pizzico di P.P.P. e il resto viene da sé. Bene! Forza adesso. Abbiamo ancora un sacco di cose da fare. Spero che avrai smaltito un po’ dei tuoi chili di  troppo."

Lunetta non se lo fece dire due volte e si precipitò a spintoni tra le sue compagne.

Alzandosi in volo dal tetto, Lunetta era troppo concentrata per vedere più in basso il viso del bambino, con due grandi occhi sbarrati e il naso incollato al vetro che guardava la slitta di Babbo Natale innalzarsi nel cielo stellato. E non vide nemmeno Babbo Natale voltarsi, strizzare l’occhio e salutare con la mano.

"Comunque", disse dopo un po’ Lunetta voltandosi con aria furba, "se non c’ero io a portare quel pacco scordato..."

"Io", disse Babbo Natale schioccando la frusta "non dimentico mai niente, a meno che non serva a far fare un po’ di fatica ad una renna golosa..."

E scoppiò in una risata così fragorosa che coprì il rumore degli zoccoli e dei campanelli, mentre la slitta scompariva all’orizzonte.

 

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