"
La
neve! C’è la neve! Dobbiamo uscire subito!"
Tutto
procedeva troppo lentamente, quel giorno: lavarsi, pulire i denti, vestirsi,
far colazione. Finalmente, coperti di tutto punto, i due bimbi corsero
all’aperto.
"
Vieni,
facciamo un pupazzo di neve!"
Mentre
Matteo modellava la testa, Marta si dava da fare perché la pancia fosse
ampia e rotonda. Il cappello di papà era quasi troppo piccolo, poiché sulla
testa del pupazzo erano stati messi tanti fili di paglia al posto dei
capelli. Una carota al posto del naso, un pezzo di corteccia d’albero per
bocca e la scopa di saggina infilata nel braccio, rendevano il pupazzo una
vera bellezza. I suoi occhi di carbone brillavano come nere pietre preziose.
Tutti i
passanti si fermavano incantati.
"
Oooh,
che bel pupazzo di neve!", esclamavano i bambini e i grandi sorridevano
ricordando la loro infanzia. Persino il cane del vicino si fermò,
entusiasta.
Al
pupazzo di neve piacevano molto tutte queste attenzioni. Era orgoglioso e
avrebbe desiderato fare capriole, tanto si sentiva felice.
Al
calare del sole Marta e Matteo tornarono a casa: "Brr, che freddo!"
Il
pupazzo, rimasto solo, era soddisfatto. Gli sarebbe piaciuto inspirare
profondamente per diventare ancora più grande e possente. Alla luna, che
osservava dall’alto, sfuggì un sorriso.
Allora
il pupazzo di neve le chiese: "Cosa rotonda e chiara, sei un pupazzo di neve
celeste?"
"
Sono
la luna piena!"
Poi
entrambi tacquero, perfettamente a loro agio in quella fredda notte, piena
di silenzio e pace.
Silenzio e pace.
"
Cip, Cip, Ciip"
"Sto
sognando?", si chiese il pupazzo.
"Chi
svolazza qua intorno?"
"Cip, Cip, Ciiiip"
"Non è
possibile! Un passero! Uno stupido passero che va in giro di notte!", gridò
il pupazzo.
"Va a
dormire, torna subito nel tuo nido!"
"Il mio
nido, il mio bel nido caldo, non c’è più", si lamentò il passero, "la
tempesta se l’è portato via e la neve ha coperto tutto. Aiutami, mio buon
pupazzo, aiutami, altrimenti morirò di freddo!"
"Come?
Proprio io dovrei riscaldarti? Sono fatto di neve e sono tutto ghiacciato!"
"Ci
sarebbe il tuo cappello!"
"Il mio
cappello? E’ troppo grande per la tua testolina!"
Mentre
obiettava, il pupazzo di neve capì: il suo cappello sarebbe stato il nuovo
nido. I suoi occhi di carbone guardavano dubbiosi: di fronte al bel cappello
caldo, stava un uccellino infreddolito.
"Cip,
Cip!"
Sentiva
pigolare sempre più piano.
"
E va
bene, prendilo!", sospirò il pupazzo.
"Grazie! Grazie mille, mio buon amico!"
Tutto a
un tratto il pupazzo scoppiò a ridere.
Chi gli
faceva il solletico? Sentiva qualcosa di soffice, di morbido all’altezza del
ventre.
"
Toh,
un leprotto? Cosa fai in giro in una notte così fredda? Senti che tosse! E
la tua pancia emette strani rumori!"
"E’ la
fame: ho tanta fame!"
"Oh, mi
dispiace. Perché non ti cerchi un campo di cavoli o di carote?"
"I
campi sono pieni di neve. Sono venuto a chiedere aiuto a te."
"A me? Vuoi che vada nei campi in cerca di carote? Carote?! Oddio, il mio
magnifico naso!"
Il
pupazzo di neve era sgomento. Ma davanti a lui c’era una lepre con lo
stomaco vuoto e gli occhi supplichevoli.
"
E
va bene, prenditi la mia carota", acconsentì il pupazzo.
"
Grazie! Grazie mille, mio buon amico!"
Era il
vento della notte che accarezzava la testa del pupazzo? O una stella
cadente?
Il
pupazzo si guardò intorno sconcertato e poi gridò: "Aiuto, al ladro! Mi
hanno rubato i capelli!"
Ma era
solo un topolino spaventato.
"
Vattene!", gridò il pupazzo,
"la mia testa non è una casa per topi! Torna
nella tua tana!"
"
La mia
tana? Ma se è tutta congelata! Aiutami!"
Il
topolino tremava.
"
No!",
gridò il pupazzo.
E il
topo spaurito si nascose sotto i capelli.
"
Oh
Marta, oh Matteo", gemeva il pupazzo.
E poi
si ricordò del cane del vicino.
Sussurrò: "E va bene, prenditi i capelli e fatti una nuova tana. Ma presto,
prima che ti trovino il cane, il gatto o il gufo!"
"Grazie! Grazie mille, mio buon amico!"
Che
notte! Prima il cappello, poi il naso e infine i capelli. Il pupazzo era
triste. Avrebbe voluto essere bellissimo e invece.
La luna
emetteva i suoi raggi, le stelle brillavano e il cielo scintillava come un
fuoco.
Poi il
pupazzo di neve alzò la testa e sorrise.
"
Maledizione! Chi mi punge?"
Il
pupazzo si guardò intorno, ma non vide alcuno.
Forse
aveva sognato?
Ecco,
ancora!
Finalmente vide chi lo pungeva e rimase di stucco.
"
Un
riccio? E in pieno inverno? Cosa ci fai qui? Perché non sei in letargo?"
"Caldo,
santo cielo, che caldo!"
"
Cosa
ti succede, hai la febbre? Fa freddo, non caldo."
"
Certo
che sì, ma un momento fa rischiavo di morire di caldo. Me ne stavo nel mio
letto e d’improvviso è scoppiato il fuoco. La tana, il mio letto: tutto è
andato bruciato. Cosa posso fare adesso, con questo freddo? Aiutami, per
piacere!"
"Perché
io?", voleva chiedere il pupazzo.
E
invece si disse: "Perché non io?"
Non
poteva chiudere gli occhi e far finta di niente.
Sentiva
lo sconforto del riccio e gli porse la scopa.
"
Per
me?", chiese il riccio.
"Tutta
per me? Per accoccolarmici sotto?"
"Sì,
per coprirti e accoccolartici sotto."
"Grazie! Grazie mille, mio buon amico!"
La
mattina seguente il sole era alto nel cielo, luminoso e splendente. Quando
vide il pupazzo di neve, gli regalò un caldo sorriso.
"Non
ridere di me, sole", pregò il pupazzo.
"
Ridere
di te? Ma scherzi? La luna mi ha raccontato tutto, sei stato meraviglioso!
Tutto il bene che hai fatto non sarà dimenticato, te lo prometto!"
Il sole
emetteva tanti raggi caldi che avvolgevano il pupazzo di neve.
Oh,
come si sentiva bene!
I raggi
lo penetravano e lui si faceva piccolo, piccolo. Si trasformava in mille
tenui rivoli d’acqua che inumidivano la terra e la preparavano alla
primavera.
Quando
più tardi Marta e Matteo corsero in giardino, videro in terra un fiore
bianco e lucente.
"
Guarda, un bucaneve! Un bellissimo bucaneve! Proprio dove c’era il nostro
pupazzo di neve!"
Felici,
i bambini alzarono la testa e sorridendo guardarono il sole.