Ogni mattina il piccolo Giotto
porta al pascolo il gregge di suo padre. Cammina distratto,
pensando a un desiderio che vorrebbe tanto realizzare. Un
desiderio che, per ora, non può rivelare a nessuno.
Al pascolo, invece di sorvegliare
il gregge, Giotto passa il tempo a disegnare. Traccia figure di
pecore, alberi e uccelli su tutto ciò che trova: sulle pietre
chiare con un pezzo di carbonella, su quelle scure con un pezzo
di gesso e sulla sabbia con un bastoncino. Sono così belle che
spesso i viandanti si fermano per ammirarle.
"Peccato che basti un colpo di
vento o un po' di pioggia per cancellarle", si rammarica il
pastorello.
Disegna finchè sente in lontananza
le campane suonare al vespro. Allora si affretta a radunare le
pecore per riportarle all'ovile.
Messer Bondone, suo padre, ogni
sera aspetta il suo ritorno. E conta le pecore, non si fida.
"Ha sempre la testa fra le
nuvole!", dice del suo bambino.
Infatti questa sera si arrabbia.
"Ne manca una! Proprio oggi che non
posso andare a cercarla", lo sgrida.
"C'è festa grande in paese, tu però
non verrai. Rimarrai a casa!"
Giotto non è triste per la
punizione, ma per aver perso un agnellino.
"Chissà come passerà la notte", si
tormenta.
Vorrebbe tanto, con un gessetto,
disegnarlo sulla parete nuda della sua camera, ma il padre si
arrabbierebbe di nuovo.
"Non sai fare altro che
scarabocchi", gli direbbe, come tante altre volte.
All'improvviso sente delle voci e
un rumore di passi provenire dalla strada.
Curioso, Giotto si affaccia. Tra la
gente in processione scorge suo padre. Sta per tirarsi indietro
quando, ad un tratto, rimane come incantato: l'ultimo sole si
riflette nell'oro di un bellissimo dipinto.
"Chi l'ha disegnato? E come ha
fatto?", si chiede con stupore.
E' così forte la sua curiosità e
tanta la sua meraviglia, che Giotto disobbedisce al padre. Esce
di casa, s'intrufola tra la gente ed entra anche lui nella
grande chiesa.
"Si chiama Cimabue l'autore della
Madonna con Bambino", sente dire.
Giotto vorrebbe chiedergli dove ha
trovato i colori per fare il ritratto, confidagli che anche lui,
da grande, vorrebbe tanto fare il pittore.
"Cimabue certamente mi capirebbe",
pensa.
Ma non osa avvicinarlo. Osa però
seguirlo quando si allontana...
... e dalla finestra, sbircia
dentro la sua bottega.
"Signor Cimabue!", chiama.
Il pittore si volta.
"Entra, non aver paura", dice al
bambino.
Giotto non ha paura.
"Io sono solo un pastorello, ma
vorrei..."
Il pittore ascolta. Ascolta quel
bambino che gli svela il suo desiderio più grande. E allora
anche lui gli svela un segreto.
"Per dipingere come vorresti tu,
occorrono polveri colorate che si chiamano pigmenti e si
estraggono da minerali e fiori."
Giotto lo ascolta con tanto
interesse e il pittore gli porge una polvere rossa.
"Pestala in un mortaio con un po'
d'acqua. Ora prendi queste uova e in un altro mortaio, sbatti
bene i tuorli. Infine mescolali con la pasta colorata."
Poi, su una tavola di legno
ricoperta di gesso, il pittore traccia una figura e aiuta il
bambino a stendere il colore.
"Questo dipinto, nè la pioggia nè
il vento potranno mai cancellarlo", pensa il piccolo Giotto.
E non gli sembra vero quando il
pittore gli regala un po' delle sue polveri colorate, e gli
promette: "Domani verrò a vedere i tuoi disegni sulle pietre."
A Giotto sembra vero, invece, il
sogno che fa quella notte. Con i colori dà vita alle vecchie
pietre di case e palazzi.
Disegna su grandi spazi e tutti
esclamano: "Ma che bravo pittore è questo bambino. Guardate! Le
sue figure sembrano vive!"
E' un sogno così lungo e intenso
che, al mattino, suo padre deve venire a svegliarlo.
"Su, alzati! E' ora di portare il
gregge al pascolo e di cercare l'agnellino che hai smarrito."
Giotto s'incammina. Sulla spalla
porta una sacca con dentro un po' di polveri colorate.
Tutto il giorno dipinge sui sassi e
sulle rocce. Dipinge con tanta foga che si dimentica di cercare
l'agnellino smarrito, si dimentica di sorvegliare il gregge, non
sente le campane che in lontananza scandiscono le ore.
Inizia a imbrunire. Giotto, come se
si svegliasse da un sogno a occhi aperti, si accorge di aver
fatto tardi.
"Questa sera il babbo si arrabbierà
ancora", pensa.
Sta per radunare le pecore, quando
sente dei passi sul sentiero e la voce del babbo che lo chiama.
Giotto ha paura di essere sgridato
e si nasconde. Ma poi sente altri passi, un'altra voce, dei
saluti e suo padre che esclama: "E' incredibile! L'agnellino
smarrito ieri da mio figlio è qui. E sembra riconoscere sua
madre nel vostro dipinto sulla roccia!"
"Purtroppo non è opera mia", lo
corregge Cimabue.
"Nessun pittore che io conosca è
mai riuscito, finora, a far sembrare una figura così viva. Ma
riconosco i colori che ho dato ieri a un pastorello. Se è vostro
figlio, vorrei parlarvi di lui."
A lungo Cimabue e Messer Bondone
parlano del piccolo Giotto. E continuano a parlarne anche la
sera, a casa.
"I disegni di vostro figlio sono
tutt'altro che scarabocchi", dice Cimabue ai genitori.
"Vi prego, lasciatelo venire a
studiare pitture nella mia bottega di Firenze."
"Ma è ancora così piccolo...", dice
preoccupata la madre.
"E io ho bisogno di lui per badare
alle pecore", dice pensieroso il padre.
"E io vi dico che farò di lui un
grande pittore", ripete, convinto, Cimabue.
"Va bene!", accetta infine Messer Bondone.
"Ma do ragione a sua madre. Ha solo
otto anni. Ve lo manderò quando sarà un po' più grandicello."
Passa qualche anno e il padre
mantiene la sua promessa. Così una mattina, Giotto lascia per
sempre la sua vita da pastorello.
In bottega, a Firenze, impara
velocemente i segreti del mestiere, superando in bravura tutti i
suoi compagni.
"Anche se è il più piccolo,
sceglierò lui come aiutante per il mio nuovo affresco", decide
un giorno Cimabue.
Non è facile fare un affresco e i
due devono lavorare in fretta. Bisogna ricoprire la parete con
un impasto di calce e sabbia finissima, poi tracciare le figure
e, prima che l'impasto asciughi, stendere i colori. Non si può
cancellare niente, nè ritoccare niente, ma Giotto lavora con
mano così sicura che Cimabue, meravigliato, gli lascia finire da
solo il dipinto.
"Ormai l'allievo ha superato il
maestro", pensa.
E non si stupisce quando viene
chiamato proprio il suo giovanissimo allievo ad affrescare la
grande chiesa dedicata a San Francesco, il frate poverello che
sapeva parlare ai lupi, agli uccelli...
Giotto s'incammina quindi verso
Assisi.
Sulla spalla porta una sacca, con
dentro tanti polveri colorate.
E' giunta per lui l'ora di
dipingere affreschi che, questa volta, nemmeno il tempo potrà
cancellare.