C’era una volta un
falegname di nome Mastro Ciliegia a cui capitò fra le mani,
mentre stava riparando la gamba di un tavolo, uno strano pezzo
di legno.
Mentre il falegname si accingeva a tagliarlo, il pezzo
di legno cominciò a lamentarsi. Impaurito, Mastro Ciliegia pensò
bene di liberarsene subito, dandolo ad un suo amico di nome
Geppetto, che voleva costruirsi un burattino.
Geppetto, che di
mestiere faceva il ciabattino, tornò a casa contento con
sottobraccio il pezzo di legno, pensando al nome che avrebbe
dato al burattino: "Lo chiamerò Pinocchio!", si
disse, "questo nome gli porterà fortuna!"
Arrivato nel misero
sottoscala che gli serviva da casa e da bottega, cominciò ad
intagliarlo, ma ad un tratto: "Ahi! Mi fai male!", si
sentì dire.
Con sua grande
meraviglia, il pezzo di legno era animato.
Il buon uomo,
emozionato, continuò il suo lavoro: modellata la testa, gli
fece i capelli e poi gli occhi, che subito si misero a guardarlo
fisso. Aveva appena fatto il naso che questo cominciò a
crescere e per quanto lo tagliasse, rimaneva sempre lungo. La
bocca appena intagliata cominciò a ridere e poiché Geppetto
protestava arrabbiato, gli tirò fuori la lingua. Ma questo non
era ancora niente: quando il ciabattino gli ebbe fatto le mani,
il burattino gli portò via la parrucca e quando ebbe le gambe
per prima cosa gli tirò un calcio.
Geppetto con le lacrime agli
occhi, esclamò: "Che birba di un figlio! Non ti ho ancora
finito e già cominci a mancare di rispetto a tuo padre!"
Poi prese il burattino
sottobraccio e un passo dietro l’altro, cercò d’insegnargli
a camminare. Pinocchio, sgranchite le gambe, poco dopo si mise a
correre per tutta la stanza e Geppetto dietro, senza poterlo
raggiungere, finchè il burattino aperta la porta, scappò nella
strada.
Ma Pinocchio correva più
svelto di lui e benché il povero ciabattino continuasse a
urlare: "Fermatelo! Fermatelo!", fra la gente che
assisteva divertita alla scena, nessuno si mosse.
Per fortuna un
carabiniere, sentite le grida, si mise a gambe larghe in mezzo
alla strada e bloccò il fuggitivo, riconsegnandolo al padre.
"Ti tirerò le orecchie!", disse ancora trafelato per
la corsa Geppetto al burattino, ma si accorse che non avrebbe
potuto punirlo in questo modo, perché si era dimenticato di
fargliele.
Pinocchio, che si era molto spaventato nel trovarsi
tra le manacce del carabiniere, chiese scusa a Geppetto di
essere scappato e questi lo perdonò. Anzi, appena a casa gli
fece un vestitino di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza
d’albero ed un berretto di mollica di pane.
Il burattino abbracciò
il padre: "Voglio andare a scuola, diventare bravo e
aiutarti nella tua vecchiaia!", esclamò felice.
Geppetto, commosso,
rispose: "Ti ringrazio dei tuoi buoni propositi, ma non
abbiamo neanche i soldi per comprare il sillabario!"
Pinocchio si fece
triste anche lui, mentre Geppetto, rimasto pensieroso, si alzò
d’un tratto in piedi e infilatasi la vecchia casacca di
fustagno, uscì correndo di casa.
Poco dopo tornò con in
mano un sillabario, ma senza la casacca. Fuori nevicava.
"E la casacca,
babbo?"
"L’ho
venduta!"
"Perché l’hai
venduta?"
"Perché mi faceva
caldo!"
Pinocchio saltò al
collo di Geppetto per baciare un padre così buono.
Aveva smesso di
nevicare e Pinocchio col sillabario nuovo sotto il braccio, si
avviò per andare a scuola pieno di buoni propositi.
"Oggi
voglio subito imparare a leggere, domani a scrivere e dopodomani
imparerò a fare i conti. Poi guadagnerò dei soldi e comprerò
una bella giacca nuova Geppetto. Se la merita."
Il suo fantasticare fu
interrotto dal suono improvviso di una banda e Pinocchio
dimenticando la scuola, si trovò in una piazza piena di gente
che si affollava intorno ad un baraccone dai colori vivaci.
"Cos’è quel
baraccone?", chiese ad un ragazzetto.
"Non sai leggere?
E’ il Gran Teatro dei Burattini!"
"Quando si spende
per entrare?"
"Quattro
soldi", rispose l’altro.
"Chi mi da quattro
soldi per questo bel libro nuovo?", chiese a voce alta
Pinocchio.
Un rigattiere lì
vicino comprò il sillabario e Pinocchio potè entrare nel
teatro. Povero Geppetto, com’erano stati vani i suoi
sacrifici!
Era appena entrato nel
teatro, che una delle marionette che si muovevano sulla scena,
si accorse della sua presenza e cominciò a urlare: "C’è
Pinocchio! C’è Pinocchio!"
"Vieni qui! Vieni
con noi! Evviva Pinocchio, nostro fratello!", si misero a
chiamare tutti i burattini in coro.
Pinocchio salì sul
palco in mezzo ai nuovi amici, mentre in platea il pubblico
protestava per tutta quella confusione.
Uscì allora
Mangiafuoco, il burattinaio, un omone spaventoso a guardarsi,
gli occhi truci iniettati di sangue: "Cosa succede!
Basta così! Tutti in riga, stasera faremo i conti!"
La sera Mangiafuoco si
mise a tavola, ma quando si accorse che gli mancava della legna
per finir di cuocere un bel pezzo di montone, si ricordò
dell’intruso che aveva interrotto lo spettacolo.
"Vieni qua,
Pinocchio! Mi servirai come lega da ardere!"
Il povero burattino
cominciò a piangere e ad implorare: "Babbo mio, salvami!
Non voglio morire... non voglio morire!"
Mangiafuoco nel sentire
le invocazioni di Pinocchio, domandò sorpreso: "Il tuo
babbo e la tua mamma sono sempre vivi?"
"Il babbo sì, la
mamma non l’ho mai conosciuta!", rispose Pinocchio con un
fil di voce.
L’omone cominciò ad
intenerirsi: "Chissà che dispiacere sarebbe per tuo padre
se ti buttassi nel fuoco... Ma devo finire di cuocere il mio
montone! Vuol dire che brucerò un altro burattino! Gendarmi!
Venite qui! Portatemi Arlecchino ben legato!"
Pinocchio nel vedere
l’altro burattino che stava per essere bruciato al suo posto,
si mise a piangere più forte di prima.
"Pietà
Eccellenza! Pietà! Vi chiedo grazia per il povero
Arlecchino!"
"Qui non c’è
grazia che tenga!", urlò Mangiafuoco inferocito.
"Io voglio
mangiare della carne bene cotta!"
"In questo
caso", gridò fieramente Pinocchio rialzandosi in piedi,
"non è giusto che Arlecchino debba morire al mio posto!
Bruciate me!"
Mangiafuoco rimase
perplesso: "Guarda! Guarda!", si disse, "un
burattino eroe non l’avevo mai incontrato!"
Tirò su col naso e
disse con tono più gentile: "Sei proprio un bravo ragazzo!
Quasi, quasi..."
Pinocchio cominciò a
sperare: gli occhi terribili del burattinaio lo fissarono a
lungo, finchè finalmente: "Va bene! Va bene! Per stasera
mangerò il montone mezzo crudo, ma la prossima volta, guai a
chi tocca!"
Fra i burattini ci fu
subito gran festa per la grazia ricevuta. Mangiafuoco si fece
raccontare da Pinocchio la sua storia ed impietosito per la bontà
di Geppetto, regalò al burattino cinque monete d’oro.
"Portale a tuo
padre, poveretto! Digli di comprarsi una casacca nuova e
salutalo tanto da parte mia!"
Pinocchio felice lasciò
il Teatro delle Marionette, ringraziando Mangiafuoco per la sua
generosità.
Stava tornando a casa
di corsa, quando incontrò un Gatto mezzo cieco ed una Volpe
zoppa e non seppe resistere alla tentazione di raccontare loro
la fortuna capitatagli.
I due, nel vedere le
monete d’oro architettarono subito un piano e gli dissero:
"Se vuoi davvero far felice tuo padre, dovresti portagliene
molte di più. Noi conosciamo un campo magico, dove potresti
seminarle e raccoglierne il giorno dopo dieci volte di più!"
"Ma non è
possibile!", domandò Pinocchio stupito.
"Te lo spiego
subito", disse la Volpe.
"Nel paese dei
Barbagianni c’è un campo chiamato da tutti "dei
miracoli", dove se in una piccola buca metti uno zecchino
d’oro, il giorno dopo trovi un bell’albero carico di monete
nuove!".
Pinocchio,
ingenuamente, si lasciò convincere dai due falsi amici e finì
all’Osteria del Gambero Rosso per festeggiare il loro incontro
e la futura ricchezza.
Dopo la cena ed un
breve riposo avrebbero dovuto ritrovarsi tutti e tre a
mezzanotte, per raggiungere il Campo dei Miracoli, ma Pinocchio
svegliato dall’oste all’ora fissata, seppe che il Gatto e la
Volpe erano già partiti da tempo, lasciandolo solo.
Non gli
rimase che pagare la cena con una delle monete d’oro ed
avviarsi attraverso un sentiero nel bosco verso il campo magico,
quando improvvisamente...
"O la borsa o la
vita!", gli imposero due brutti ceffi incappucciati di
nero.
Pinocchio, che aveva nascosto le monete sotto la lingua,
non rispose. Inutili furono i tentativi dei due per sapere dove
fossero i soldi.
Pinocchio zitto non
parlava, nonostante i due minacciassero di impiccarlo. I banditi
misero intorno al collo del povero burattino una corda che si
stringeva sempre più.
"Babbo mio
aiutami!", fu l’ultimo pensiero di Pinocchio.
Il Gatto e la Volpe,
poiché erano loro i due briganti incappucciati, si
allontanarono minacciando: "Resterai appeso finchè non ti
deciderai a parlare. Torneremo fra poco a vedere se hai cambiato
idea!"
Ma una fatina che
abitava lì vicino sentì le invocazioni...
Da una finestra del suo
castello, la Fatina dai Capelli Turchini vedeva Pinocchio
dondolare scalciando, appeso ad una quercia del bosco.
Impietosita, battè tre volte le mani e di colpo un Falco ed un
Cane apparvero come per incanto.
"Svelto!", disse la
Fatina al primo.
"Vola sulla
quercia e col tuo becco taglia la corda che trattiene quel
povero ragazzo!"
E al secondo: "E
tu prepara una carrozza e portalo qui con tutti i
riguardi!"
Detto fatto, Pinocchio,
che sembrava morto, si trovò al castello in un bel letto caldo,
mentre Corvo, Civetta e Grillo, tre medici famosi, erano
chiamati a consulto dalla Fatina.
Una medicina molto
amara, consigliata dai tre saggi medici, guarì subito
Pinocchio.
La Fatina allora, carezzando il burattino, gli
chiese: "Raccontami cosa ti è successo!"
Pinocchio cominciò la
sua storia senza parlare della vendita del sillabario, ma quando
la sua benefattrice gli chiese dov’erano le monete d’oro,
disse d’averle perse, mentre sapeva di averle nascoste nel
frattempo in tasca.
Subito il suo naso
cominciò ad allungarsi sempre di più, mentre la Fatina ridendo
gli diceva: "Hai detto una bugia, si vede subito dal naso
che ti si allunga!"
Pinocchio rosso dalla
vergogna, non sapeva più dove mettere quel naso ingombrante e
si mise a piangere. La Fatina allora, impietosita ancora una
volta, battè le mani e un nugolo di picchi arrivò subito a
beccare il naso, che tornò così normale.
"Ricordati di non
dire più bugie, altrimenti il tuo naso si allungherà di
nuovo!", gli raccomandò la Fatina.
"Adesso va da tuo
padre e portagli le monete!"
Pinocchio,
riconoscente, l’abbracciò e partì di corsa per tornare a
casa.
Ma vicino alla grossa quercia nel bosco, ritrovò il Gatto
e la Volpe e disubbidendo alle promesse fatte, ingenuamente si
lasciò di nuovo convincere a seppellire le monete nel Campo dei
Miracoli.
Il giorno dopo ritornò
fiducioso, ma ahimè, le monete erano scomparse!
Pinocchio sconsolato
ritornò a casa senza le monete che Mangiafuoco gli aveva dato
per Geppetto. Ma il babbo, dopo averlo sgridato per la lunga
assenza, lo perdonò e la scuola accolse il burattino che
sembrava aver messo finalmente giudizio.
Ma di nuovo comparve
qualcuno a portarlo sulla cattiva strada: era Lucignolo, il più
svogliato della classe.
"Perché non vieni
con me nel Paese dei Balocchi, dove non si studia mai e si gioca
tutto il giorno?"
"Ma esiste davvero
un paese così?", chiese Pinocchio incredulo.
"Stasera passa il
carro che mi porterà là", disse Lucignolo, "vuoi
venire?"
Pinocchio, dimenticando
le promesse fatte al padre ed alla Fata Turchina, si stava
mettendo ancora nei guai.
Venne mezzanotte ed il
carro arrivò per prendere i due amici ed altri due ragazzi che,
come loro, non vedevano l’ora di arrivare in un paese dove non
esistevano più libri, né maestri, né scuole.
La carrozza era
trainata da dodici pariglie di ciuchini tutti della stessa
grandezza, che invece di essere ferrati come le atre bestie da
tiro, avevano alle zampe stivaletti da uomo di pelle bianca.
Tutti salirono sulla
carrozza e Pinocchio, più felice degli altri, montò su un
ciuchino. Il Paese dei Balocchi li aspettava!
Nel Paese dei Balocchi
tutto era proprio come Lucignolo aveva promesso: i ragazzi si
divertivano, senza mai studiare, era proibito parlare di scuola
e a Pinocchio non sembrava vero di poter sempre giocare.
"Che bella
vita!", diceva Pinocchio tutte le volte che incontrava
Lucignolo.
"Vedi che avevo
ragione?", ribatteva soddisfatto questi.
"E’ vero
Lucignolo! Se oggi sono felice è tutto merito tuo. E pensare
che il maestro mi diceva di non frequentarti..."
Ma una mattina,
svegliandosi, Pinocchio ebbe una brutta sorpresa: lui che aveva
le orecchie solo disegnate, perché Geppetto non aveva fatto in
tempo a intagliarle, si accorse, toccandosi, che durante la
notte gli erano cresciuti un magnifico paio di orecchi pelosi.
Ma non era tutto!
La mattina dopo erano cresciuti ancora di più.
Pinocchio dalla vergogna, si infilò un gran berretto di cotone
ed andò a cercare Lucignolo. Anche l’amico però aveva in
testa un berretto che gli scendeva fino al naso.
I due ragazzi
si guardarono a lungo, pensando alla stessa cosa; insieme si
tolsero i berretti e si misero a ridere nel vedersi a vicenda
così buffi con quelle lunghe orecchie pelose.
Ridevano,
ridevano ma tutto ad un tratto Lucignolo impallidì e cominciò
a barcollare: "Aiuto Pinocchio! Aiuto!"
Ma anche Pinocchio
stava già barcollando e si mise a piangere: il viso dei due
ragazzi cominciò a prendere la forma di un muso, mentre sentiva
il bisogno di camminare a quattro zampe.
Stavano diventando due
grigi somarelli; continuavano a lamentarsi per questa
trasformazione, ma ormai invece di gemere, ragliavano. Quando il
padrone del carro che li aveva condotti nel Paese dei Balocchi
sentì il raglio dei nuovi asini, si sfregò le mani tutto
contento.
"Ecco due nuovi
somari da portare al mercato. Ne ricaverò almeno quattro monete
d’oro!"
Questo era dunque il
triste destino di tutti i ragazzi che lasciavano la scuola per
passare le giornate solo a giocare.
Lucignolo fu venduto ad un
contadino, Pinocchio invece fu comprato dal padrone di un circo
che voleva ammaestrarlo per farlo poi saltare e ballare, come gi
altri animali della compagni. Com’era dura la vita del somaro!
Da mangiare, fieno e quando questo era finito, paglia, E
frustate! Frustate tutti i giorni per imparare i difficili
esercizi del circo.
Finchè un giorno, costretto a saltare nel
cerchio, cadde malamente e si azzoppò.
Il direttore del circo
chiamò allora il garzone di stalla: "Non so che farmene di
un somaro zoppo! Portalo in piazza e rivendilo, anche per
poco!"
Nessuno voleva
comperare un ciuco così malconcio, finchè si fece avanti un
ometto: "Lo compro solo per usare la pelle! Vorrei farne un
bel tamburo per la banda del mio paese!"
Per pochi soldi
Pinocchio cambiò padrone e nel sentire la triste fine che lo
aspettava ragliò a lungo lamentosamente.
L’uomo condusse il
ciuco sulla riva del mare, gli mise un grosso macigno al collo e
legò una zampa con una lunga corda, poi con una spinta lo buttò
nell’acqua.
Con in mano la fune si
sedette sullo scoglio, aspettando che il ciuco morisse affogato
per poi scorticarlo e togliergli la pelle.
Sott’acqua Pinocchio
sentiva la fine vicina: in un lampo ripensò ai dispiacere che
aveva dato a Geppetto, alle promesse non mantenute ed invocò
ancora una volta la Fata ai Capelli Turchini.
La Fata sentì il
richiamo e vedendo che Pinocchio stava per affogare, gli mandò
intorno un branco di grossi pesci che si misero a divorare tutta
la carne del somaro finchè arrivarono all’osso, ossia al
legno di cui era fatto Pinocchio.
A quel punto i pesci
smisero di mangiare mentre Pinocchio sentiva la fune tirarlo
fuori dall’acqua.
Invece dell’asino
morto, l’uomo sbalordito vide quindi apparire a fior d’acqua
il burattino vivo, che si dimenava come un’anguilla.
Riavutosi un po’ dal
primo stupore balbettò, quasi piangendo: "E il ciuco che
ho gettato in mare, dov’è?"
"Quel ciuchino
sono io!", rispose il burattino ridendo.
"Tu? Non credere
di prendermi in giro! Se mi arrabbio io..."
Pinocchio pazientemente
gli raccontò allora la sua storia: "…ecco perché
tirando la fune avete trovato un burattino vivo, invece di un
somaro morto!"
"La tua storia non
mi interessa!", urlò imbestialito l’uomo.
"Io so che ho
speso venti soldi per comprarti e rivoglio i miei quattrini! Se
non ho più il mio ciuco, ti porterò al mercato per rivenderti
a peso come legna da ardere!"
Pinocchio che si era
slegato, gli fece allora uno sberleffo e con un bel salto si
tuffò in acqua, allontanandosi a nuoto.
"Addio padrone! Se
avete bisogno di un po’ di legna stagionata per il vostro
camino, ricordatevi di me!"
Pinocchio felice di
essere di nuovo un burattino di legno, nuotava allegramente,
allontanandosi dalla spiaggia. Ben presto fu un puntino lontano
in mezzo al mare.
Ma le sue disavventure
non erano finite: un enorme, mostruoso pescecane emerse dal mare
alle sue spalle.
Pinocchio atterrito, si
accorse della smisurata bocca che lo inseguiva e cercò di
sfuggire, nuotando il più velocemente possibile, ma il mostro
si avvicinava sempre più.
Cercò anche di cambiare direzione ma
invano, raccolse allora tutte le sue forze per una fuga ormai
impossibile: sentiva dietro di sé il risucchio dell’acqua che
entrava nell’immensa apertura.
D’un tratto si trovò
inghiottito con violenza insieme a tanti altri pesci che avevano
avuto la sventura di trovarsi davanti al terribile pescecane.
Pinocchio fu sballottato con violenza dal vortice d’acqua
nella gola del mostro, fino a rimanerne stordito.
Quando rinvenne si trovò
nel buio più profondo, mentre sentiva sopra di sé ad
intervalli lo spaventoso ansimare delle branchie del pesce.
Cominciò ad inoltrarsi carponi per quella che gli sembrava una
strada in discesa, urlando: "Aiuto! Aiuto! Nessuno viene a
salvarmi?"
D’un tratto intravide
un fioco chiarore e via via che si avvicinava, si accorse di una
fiammella che brillava lontana. Finchè, cammina cammina...
"Babbo! Com’è
possibile...?"
"Pinocchio! Figlio
mio! Sei proprio tu!"
I due si abbracciarono,
piangendo dalla commozione e fra i singhiozzi, cominciarono a
raccontarsi le loro disavventure. Geppetto con le lacrime agli
occhi, carezzava la testa del burattino e cominciò a
raccontargli come era capitato nella pancia del pescecane.
"Ti ho cercato
dappertutto, poi visto che non ti trovavo sulla terra, mi ero
costruito una barchetta per cercati in mare, ma prima una
burrasca mi capovolse, poi il pescecane mi inghiottì. Per
fortuna ogni tanto questo mostro ingoia anche i resti di navi
affondate dalle tempeste ed allora trovo fra i rottami quello
che mi serve per sopravvivere!".
"Però siamo
ancora vivi!", disse Pinocchio quando ebbero finito di
raccontarsi le loro peripezie, "…e dobbiamo fuggire da
qui!"
Il burattino, prese per
mano Geppetto e facendosi luce con la candela, cominciò a
risalire lungo il corpo del mostro.
Arrivarono nella gola
spaziosa del pescecane e qui si fermarono pieni di paura, ma per
loro fortuna di notte questi dormiva a bocca aperta perché era
malato d’asma.
"Ecco, è il
momento di scappare!", bisbigliò Pinocchio e poco dopo il
burattino nuotava veloce, reggendo sulle spalle Geppetto.
Per loro fortuna, il
giorno prima il pescecane si era avvicinato alla spiaggia, così
poco dopo riuscirono a raggiungere la riva.
Albeggiava e Geppetto
tutto bagnato era mezzo morto dalla paura e dal freddo.
"Appoggiati al mio
braccio, babbino caro, non so dove siamo, ma vedrai che
troveremo di nuova la strada di casa!"
Vicino alla spiaggia
c’era una vecchia capanna di frasche abbandonata, dove trovarono
un primo rifugio. A Geppetto era venuto un gran febbrone e
Pinocchio uscì.
"Vado a cercarti
del latte!", disse.
Un belare di capre lo
guidò nella direzione giusta e poco dopo si trovò davanti ad
un contadino, ma senza i soldi per comprare il latte.
"Il mio somaro è
morto, se farai girare al suo posto la macina del mulino per
mezza giornata, avrai il latte che desideri!"
Così per giorni e
giorni Pinocchio ogni mattina si alzava presto per provvedere la
mantenimento di Geppetto.
Tornarono finalmente a casa e
Pinocchio lavorava fino a tardi, fabbricando canestri e panieri
di giunco per guadagnare da vivere per sé e per il padre.
Un giorno venne a
sapere che la Fatina, colpita da mille disgrazie, si trovava
malata all’ospedale.
Per aiutare la sua benefattrice, rinunciò
ad un vestito nuovo e le mandò i soldi per curarsi, anche se a
costo di grandi sacrifici.
Una notte Pinocchio
fece un bellissimo sogno in cui gli apparve la Fatina che lo
ringraziava e la mattina appena sveglio si accorse allo specchio
di essere un altro. Vide l’immagine di un bel ragazzo dai
capelli castani e dagli occhi celesti.
Geppetto lo abbracciò
felice.
"E il vecchio
Pinocchio di legno dov’è?", gli chiese subito il ragazzo
ancora incredulo.
"Eccolo là!",
gli rispose allora Geppetto, "quando i ragazzi da cattivi
diventano buoni, cambiano vita ma anche aspetto!"