C'era
una volta e una volta non c'era...
...l'imperatore
della Cina da un po' di tempo si annoiava. Conosceva a menadito
tutti i saloni del suo palazzo di porcellana, tutti i fiori che
sbocciavano nei suoi giardini, tutti i cavalli che scalpitavano
nelle sue scuderie.
Un giorno, per caso, leggendo un libro
straniero, scoprì che c'era qualcosa, nel suo regno, che non
conosceva: un usignolo dalla voce dolcissima, nascosto nel folto
di un bosco non lontano dalla reggia, il cui canto, si diceva,
era la cosa più bella del mondo.
L'imperatore andò in collera.
Come! Nel suo impero viveva una simile meraviglia e nessuno
gliene aveva mai parlato! Possibile? Fece subito chiamare le
guardie di palazzo.
"Cercate l'usignolo dalla voce d'oro
che vive nel bosco vicino alla reggia e guai a voi se non lo
trovate: finirete tutti in prigione!. Avete tempo fino a
stasera. Al tramonto l'usignolo dovrà essere qui e canterà per
me."
Le guardie partirono, frugarono ovunque, ma invano.
Allora tornarono a palazzo e cominciarono a chiedere a tutti
notizie del misterioso usignolo. Finalmente, il capo delle
guardie ebbe la fortuna di imbattersi in una servetta che sapeva
qualcosa.
"Certo che conosco l'usignolo! Ogni sera quando
ho finito il servizio nelle cucine reali, vado a casa per
portare qualche avanzo alla mia mamma e, attraverso il bosco,
sento sempre l'usignolo cantare. Ha una voce davvero tanto
bella?", chiese il capo delle guardie.
" Tanto bella
che, quando la sento, mi viene da piangere."
Il capo delle
guardie le promise un posto di capo-cuoca se lo avesse guidato là
dove l'usignolo aveva il nido. La servetta accettò. Poco dopo i
due erano davanti ad un grande albero frondoso. Un trillo
argentino risuonò nell'aria.
"Ecco l'usignolo, là, su
quel ramo! ", esclamò la servetta, indicando il minuscolo
uccellino grigio.
Il capo delle guardie era piuttosto deluso:
"E' piccino", disse l'uomo, "ma canta bene."
Poi gentilmente si rivolse all'usignolo.
"Uccellino,
l'imperatore vuole che tu canti per lui al palazzo reale.
Il mio posto è qui nel bosco, in libertà.", rispose
l'usignolo, "ma se l'imperatore me lo ordina, verrò a
cantare con lui."
Si appollaiò sulla spalla del capo delle
guardie e si lasciò condurre al galoppo fino alla reggia. Poco
dopo, davanti alla corte al gran completo, l'usignolo dava
inizio al concerto. E cantò così bene che l'imperatore
piangeva di gioia.
"Caro uccellino", disse quando
l'usignolo ebbe finito di cantare, "devi restare sempre con
me. Ti tratterò con tutti i riguardi, farò costruire per te un
trespolo d'oro, vivrai nella mia camera."
L'usignolo chinò
tristemente il capino: "I tuoi desideri sono ordini, maestà."
Perchè l'usignolo non si annoiasse, sempre chiuso nel palazzo,
l'imperatore gli permetteva di uscire due volte al giorno, ma
accompagnato da dodici servitori che lo tenevano legato per la
zampina con dodici cordicelle di seta. Non erano passeggiate
divertenti, ma l'usignolo si accontentava.
Passarono i mesi. Un
giorno, l'ambasciatore di un lontano paese portò in dono
all'imperatore una scatola di legno smaltato. Dentro c'era un
meraviglioso usignolo meccanico, tutto tempestato d'oro e di
pietre preziose. Sotto le piume di madreperla c'era una
chiavetta: bastava girarla e l'uccellino cominciava a cantare
una bella melodia, la stessa che gorgheggiava l'usignolo vero.
L'imperatore gradì molto il dono.
"I due usignoli
canteranno insieme davanti alla corte", disse.
Purtroppo, il
concerto non andò molto bene. L'usignolo vero cantava come gli
dettava il cuore, quello meccanico ripeteva le stesse note senza
mai cambiare. L'imperatore si entusiasmò tanto di quella
precisione da ordinare che l'usignolo vero tacesse per far
cantare, da solo, quello finto.
Gira e rigira la chiavetta, il
giocattolo cantò fino a che l'imperatore non volle sentire di
nuovo l'usignolo del bosco. Ma l'usignolo era introvabile. Aveva
approfittato della distrazione dei cortigiani per tornare,
libero ma triste, nel suo nido tra gli alberi.
I cortigiani
dissero che era una bestia ingrata e pregarono l'imperatore di
far cantare ancora il docile usignolo meccanico. Il giorno
seguente anche il popolo poté sentirlo. Molti si
entusiasmarono, ma chi conosceva la voce dell'usignolo vero
affermò che non c'era confronto tra i due, che le canzoni
dell'uccellino dei boschi nascevano dal sentimento, quelle
dell'altro da una molla. E la differenza si sentiva, eccome!
Il
piccolo usignolo, nascosto tra i rami degli alberi, per qualche
giorno non cantò. Poi, riprese a gorgheggiare; se non c'era più
l'imperatore ad ascoltarlo, poteva sempre rallegrare contadini e
boscaioli.
Intanto l'imperatore aveva dimenticato il suo piccolo
amico, preso com'era dall'usignolo meccanico. Lo teneva su un
cuscino di seta, lo caricava di continuo. Un giorno, ahimè,
mentre l'usignolo cantava la sua solita canzone, si udì un
cigolio e poi uno schianto: una delle molle del delicato
meccanismo si era rotta.
Il più bravo orologiaio della
capitale, chiamato in gran fretta, smontò l'usignolo, cambiò
la molla rotta, poi scosse la testa.
"Maestà, ho fatto del
mio meglio, ma ormai il meccanismo è consunto. Se volete che
l'usignolo duri ancora, fatelo cantare solo di tanto in tanto,
una volta l'anno."
"Si, Maestà,
una volta l'anno penso che vada bene", assicurò
l'orologiaio.
Trascorsero cinque anni, poi, un brutto giorno,
l'imperatore si ammalò tanto gravemente da far temere per la
sua vita. Nessun medico riuscì a trovare un rimedio e allora i
vili cortigiani, convinti che per il loro signore non ci fosse
più niente da fare, uno ad uno lo abbandonarono alla sua sorte.
Una sera, mentre l'imperatore giaceva nel suo letto, ecco
giungere la Morte con una spada in pugno: "Devi venire con
me, Maestà: è arrivata la tua ultima ora."