LACEDONIA

A Lacedonia un'orda di briganti a cavallo pretende dagli abitanti armi, munizioni e bandiere bianche. I lacedoniesi non si fanno impaurire e rifiutano l'intimazione. Per vendetta, allora, i malviventi incendiano le provviste invernali degli animali e rubano varie giumente.
La guardia nazionale, composta dal sergente Saverio Pescatore, dal caporale Balestriere Michele e dai militi Alfonso Diafora, Pasquale Solazzi e Desiderio Giordano, nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1863. perlustra la contrada Serrone. S'imbatte in una comitiva di briganti. Nasce un conflitto a fuoco. Nella masseria Nuri di Lacedonia viene trovato e arrestato il brigante Antonio Santo di Eustachio, di anni 77, di Candela. Nel conflitto vengono feriti anche altri componenti della banda Crocco (192).
Quattro briganti di quest'ultima banda, Raffaele Albanese fu Michele, di anni 30, Angelantonio D'Elena di Simone, di anni 24, Donatantonio Peluna fu Nicola, di anni 20, di Rocchetta S. Antonio e Antonio Scorze, di anni 20, si costituiscono volontariamente presso il capitano della guardia nazionale di Rocchetta S. Antonio, Tiadoro Gentile .
Questi avevano formato una banda di sei individui che scorrazzava sempre unita presso l'Ofanto nel territorio di Bocchetta. Si procurava da mangiare nelle masserie di Michele la Monaia di Pasquale e Livia d'Erace "cacadiavolo" di Bocchetta S. Antonio.
Tutti vengono interrogati dal Delegato distrettuale.
Il brigante Antonio Santo, poi arrestato, si ammala. Durante l'infermità, egli viene ospitato nella masseria di Angiulli, nel territorio di Rocchetta S. Antonio. I proprietari, padre e figlio, si prendono cura dell'ammalato per otto giorni offrendogli anche da mangiare, come testimoniano i maestri scalpellini di Candela.
Il brigante passa, poi, nel casone di Serrone, vicino 1'Ofanto nel territorio di Lacedonia. I due gli consegnano, tramite un suo "massaro" e loro amico, un cavallo. L'animale viene regolarmente "restituito ai patroni per mezzo del messo da costoro speditoli nella contrada Vigne territorio di Rocchetta S.Antonio" nello stesso giorno della loro resa.
Per questi fatti si denunziano i due alla Giustizia "punitrice" perché ritenuti complici.
Il sottoprefetto di S. Angelo dei Lombardi, prima di eseguire l'ordine, si chiede: costoro sono da ritenersi complici dei briganti ed essere denunziati al potere giudiziario ed essere arrestati? In tal caso essi sono obbligati a restituire i cavalli ricevuti che saranno venduti e il ricavato sarà destinato ai danneggiati dal brigantaggio. Oppure questi non sono colpevoli perché non si ravvisa la correità per non aver somministrato i mezzi ai briganti?
Il prefetto di Avellino, cui è rivolto l'interrogativo, li ritiene conniventi, autorizza, perciò, la perquisizione e, quindi, ordina l'arresto.
Infatti, i complici dei briganti, sostiene il Prefetto, avrebbero potuto segnalare la presenza dei malviventi all'Autorità. Qualora non avessero voluto somministrare volontariamente i viveri, essi avrebbero potuto far nascondere la forza nelle loro masserie e consentire l'arresto dei malfattori.
Nel giorno 20 maggio 1863 la compagnia dei granatieri, stanziata a Lacedonia, attacca un'orda di briganti a cavallo presso il bosco Serrone lungo 1'Ofanto. Dopo uno scambio di fucilate, i briganti scappano. La fuga è così celere e precipitosa "che lo slancio dé soldati era inutile a raggiungerli". Nel conflitto uno dei briganti cade da cavallo. I compagni accorrono in soccorso e lo portano via: non si conosce se il malcapitato sia stato ferito o ucciso. La forza pubblica s'impadronisce di cinque cavalli, due cappotti ed un pistone che si suppone sia di uno di quelli usati dagli Usseri nell'attacco avvenuto presso Calitri.
I carabinieri reali di Lacedonia, su richiesta del delegato mandamentale di P.S. procedono, il 16 agosto dello stesso anno, all'arresto di De Pasquale Federico, carrettiere di Ottaviano (Napoli), perché sospetto di favoreggiamento e di essere complice di un furto avvenuto nella pubblica strada, nei confronti di Pasquale Castelli di Rocchetta S. Antonio. Nella sera del 17 cinque briganti sequestrano, in una loro masseria nel tenimento di Lacedonia, i fratelli Luigi e Saverio Megliola. Gli rubano anche due giumente ed un cappotto. I sequestrati vengono condotti nel bosco di Castiglione.
Alla famiglia viene chiesta la somma di £ 8500 per il riscatto.
Lumi si accorge che è scarsamente custodito dai briganti e, la sera del 25, fugge per luoghi inaccessibili. I malviventi appena si accorgono della fuga iniziano a cercarlo. Non riescono più a ritrovarlo. Si presentano allora nella sua masseria, denominata Lisca, nel tenimento di Lacedonia, appiccano l'incendio e uccidono tre vacche, arrecando un danno di circa £ 8500, somma pari al riscatto richiesto. I carabinieri, appena informati del fatto, subito accorrono con un distaccamento di truppa. L'intervento è inutile perché il fuoco, al loro arrivo, ha già distrutto l'immobile, il fieno, la paglia, la legna e le granaglie.


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