“IL
GOLFO”
21
ottobre 2004
MOSTRA
"CARAVAGGIO:
L'ULTIMO TEMPO, 1606-1610"
di
Achille della Ragione
Finalmente Napoli ridiventa sede di una mostra
d’arte prestigiosa, come ai felici tempi, lontani, di Civiltà del
Seicento e del Settecento, venti anni dopo l’ultima rassegna sul
pittore maledetto. |
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“Caravaggio: l’ultimo
tempo, 1606-1610”, organizzata egregiamente dal sovrintendente Nicola
Spinosa, si inaugura il 23
ottobre al museo di Capodimonte e permetterà di ammirare l’ultimo periodo
di produzione del grande artista, dal 1606, data della prima permanenza
napoletana, al 1610, anno della prematura morte della artista. Saranno
riuniti, per la prima volta assieme, 25 capolavori provenienti da musei di
tutto il mondo, eseguiti tra Napoli, la Sicilia e Malta. Inoltre il pubblico
potrà conoscere un nucleo di dipinti attribuiti negli ultimi anni al Merisi
dalla critica, oltre a derivazioni e copie antiche da originali perduti.
Tra le opere più attese: la Crocifissione di Sant’Andrea del museum of art
di Cleveland e la Salomè con la testa del Battista della National Gallery di
Londra, dove, dopo tre mesi, si trasferirà la rassegna. Mancheranno le opere
maltesi per difficoltà diplomatiche. Assenti, giustificati ma non troppo,
alcuni dipinti trafugati, come ad esempio, la celebre Adorazione dei pastori,
dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, latitante dal 1969, da quando, pare
ad opera della mafia, è passata in qualche scellerata collezione
privata…Gli anni di produzione del Caravaggio esaminati dalla mostra sono
segnati dalle stimmate profonde provocate dall’irreparabile fattaccio
avvenuto nel maggio del 1606 a Roma, quando l’artista, a seguito di un
litigio insorto durante un incontro di pallacorda, uccide l’avversario, un
tal Ranuccio Tomassoni. Comincerà la fuga, per evitare la cattura e
l’inevitabile condanna a morte e la peregrinazione con l’animo turbato dal
pentimento e dalla paura.
La prima tappa è Napoli, “l’immensa capitale mediterranea, più
classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca e orientale,
un’immersione entro una realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente
popolare”(Longhi).
Nella nostra città produrrà alcuni dei suoi più alti capolavori, dalle
Sette opere di Misericordia alla Flagellazione, prendendo dai vicoli di
Forcella e dei Tribunali i realistici protagonisti, dai piedi sporchi e dagli
abiti consunti, che trasformerà negli interpreti immortali delle sue
creazioni.
La originale carica di realismo ed i volti patibolari dei suoi modelli,
saranno causa di più di un rifiuto delle sue opere da parte dei committenti,
come nel caso della Madonna del Rosario, oggi nel Kunsthistorisches di Vienna,
ma eseguita a Napoli, dove il pittore raduna dalla strada i pezzenti più
puzzolenti e perfetti e li getta in ginocchio, innocenti, con le braccia tese
ed invocanti un diverso domani, assieme a dei sorpresi, quanto tetri e
patetici, Domenicani.
E che dire dello sconvolgente dipinto delle Sette opere della Misericordia,
freddo documento programmatico del committente, palpitante di fremiti
partenopei, con il suo assortito connubio tra vita e morte, ricchi e poveri,
miseria e nobiltà. Pregno di citazioni antiche e di immagini quotidiane, con
in alto, immanente, la Madonna attorniata da angeli lazzari che fanno,
irriverenti, la “voltatella”.
Recatosi a Malta, la piccola isola dalla grande storia, il Caravaggio
continua, pur con la morte nel cuore, a produrre e realizza il supremo
capolavoro: la Decollazione del Battista, reportage istantaneo di un dramma
colto nel momento culminante; una tragedia che induce l’osservatore, col
fiato sospeso, ad immedesimarsi nella tragedia, rimanendo sconvolto alla
visione della firma del pittore, apposta utilizzando la pozza di sangue, che
sgorga copioso dal collo reciso del Santo.
Gli anni siciliani sono contrassegnati da tele, avvolte nel silenzio, in cui
tragici guizzi di luce danno l’ allucinante impressione del monocromo, con
la folla dei personaggi pietrificata
dal dramma, che si consuma davanti ai loro occhi attoniti. Questa aria si
respira greve e severa nel Seppellimento di Santa Lucia, mentre nella
Resurrezione di Lazzaro il calore della luce pare fornire un sussulto al corpo
ancora rigido, che resuscita in un drammatico sussulto, allargando
vigorosamente le braccia, ad imitazione repentina dell’eterno segno
salvifico della croce.
Più pacata e familiare l’atmosfera che
si respira nell’Adorazione dei pastori, dove la Madonna, con il suo piccolo
Bambino, poggiata su di un umile tappeto di paglia, pare voglia ricordarci la
lezione di povertà dei Vangeli, sotto lo sguardo rassicurante dei pastori,
che fanno di tutto per assecondarla.
Tornato a Napoli nell’ottobre del 1609 la sua vita avventurosa, che alterna
il pennello alla spada, lo vede vittima di una brutale aggressione alla
Taverna del Cerriglio, da parte di sicari, che lo riducono in condizioni
pietose, “che per li colpi quasi più non si riconosceva”.
Continua lo stesso a lavorare senza sosta, nella cappella Fenaroli in
Sant’Anna dei Lombardi, dove esegue una spettacolare ed originalissima
Resurrezione, lodata per secoli da tutti i viaggiatori del Grand Tour,
purtroppo distrutta nel rovinoso terremoto del 1805. Il logo della mostra è
un David con la testa di Golia, oggi nella Galleria Borghese, dramma senza
parole, in cui il fanciullo con cristiana pietà fissa il capo mozzo del
nemico, grondante di sangue, il quale, particolare inquietante ha le sembianze
del Caravaggio stesso.
Per finire, finalmente restaurata, potremo apprezzare la Sant’Orsola
trafitta dal tiranno, la tela di proprietà della Banca Commerciale, oggi
Intesa, dalla tormentata storia attributiva, documentata da poco con
precisione al maggio del 1610, probabilmente ultima fatica dell’artista.
Infatti il Merisi, avendo avuto notizia che il pontefice era prossimo a
concedergli la grazia, si recò cautamente verso Roma per via di mare, ma il
18 di luglio, presso la spiaggia di Porto Ercole, le febbri malariche ed il
solleone ne spensero la tormentata esistenza.
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