12 Maggio 2025

La Storia della Cappella

La Cappella Sansevero, chiamata anche Santa Maria della Pietà o Pietà dei Sangro (o Pietatella perché, Cappella Sansevero secondo una leggenda, una notte vi sarebbe stato arrestato un ladro che, per ottenere la libertà, aveva chiesto pietà alla Vergine, da qui il nome Pietatella), uno dei monumenti più visitati di Napoli, riscuote un notevole interesse da oltre duecento anni. Secondo la testimonianza dello storico Cesare d'Engenio (1624) la fondazione della cappella potrebbe fissarsi intorno al 1590.
La prima pietra fu probabilmente posta dal duca Giovan Francesco di Sangro di Torremaggiore, valoroso soldato, che in seguito ad un voto dopo il quale venne miracolosamente guarito da una malattia, volle edificare come ringraziamento alla Vergine della Pietà la Cappella, la cui effigie in origine era in affresco su un muro del giardino del suo palazzo; nel 1590 l'affresco fu poi staccato dal muro e collocato nella Cappella. Sulla porta maggiore è collocata una piccola tribuna dalla quale partiva il passaggio tra la chiesetta e il Palazzo de' Sangro distrutto nel 1889. Nel 1608 Alessandro di Sangro, figlio di Giovan Francesco, ampliò l'ambiente primitivo "perché non era capace al concorso di molti, che la frequentavano per gli infiniti miracoli" e destinò la cappella, oltre che ai compiti di culto, a luogo di sepoltura per la sua famiglia.
Il periodo seicentesco è alquanto oscuro perché l'attuale sistemazione dell'ambiente, voluta da Raimondo di Sangro nel secolo successivo, scompaginò in gran parte l'assetto originario per far posto alle nuove opere da lui stesso coordinate. Non si conosce il nome dell'architetto che diresse l'edificazione della struttura originaria, ma probabilmente egli dovette seguire le idee del committente, poiché la semplicità della pianta rettangolare, priva di una vera e propria abside, e volta a dare il massimo risalto alle sculture celebrative ed alla decorazione, escludono un momento ideativo reale.
Ma un primitivo fasto seicentesco dovette esistere nella cappella in quanto Pompeo Sarnelli annotò nel 1697 che la cappella è "grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le Statue di molti personaggi di essa famiglia co' loro elogi".
Qualcosa di questa decorazione seicentesca rimane nel rivestimento in marmi policromi della parete di fondo, ai lati del grande altorilievo settecentesco. Dei molti monumenti ricordati anche dal Celano nel 1692 ne restano solo quattro: quello di Paolo di Sangro posto dal figlio Giovan Francesco primo principe di Sansevero nel 1642 - attribuito con felice intuizione da Marina Picone a Giulio Mencaglia, e per il quale solo molti anni dopo è emerso il documento di conferma - è collocato nella prima cappellina della parete sinistra. Il suo ritratto a figura intera è da considerarsi uno degli esempi più insigni di ritrattistica seicentesca. L'effige con gli attributi militari in primo piano riflette lo spirito eroico di quella ampia parte della nobiltà napoletana che cercò glorie e onori al seguito degli eserciti spagnoli sui campi di battaglia di tutto il mondo.
Vi è poi il Monumento ad un altro Paolo di Sangro (1569-1626), quarto principe di Sansevero, scultura attardata nei modi ancora cinquecenteschi, benché databile al secondo quarto del secolo XVII, posto nella prima cappella a destra. Il Monumento a Giovan Francesco Paolo di Sangro (1524-1604), fondatore della cappella, è collocato dopo quello del Mencaglia e fu voluto dal figlio Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria realizzato nel 1652, il cui ritratto a mezzo busto freddamente stilizzato è posto nella parete sinistra del presbiterio.
Il Principe de Sangro Chi modificò e perfezionò la Cappella Sansevero nel '700 fu Raimondo de' Sangro, principe di Sansevero e di Castelfranco, duca di Torremaggiore e Grande di Spagna, che si distingueva per gli studi, la cultura e l'amore per l'arte. La sua fama è dovuta innanzitutto al suo genio: Raimondo de Sangro, era uno degli ingegni più brillanti della sua epoca, arricchì la Cappella di nuove pregiate opere a partire dal 1745. Raimondo de Sangro nacque a Torremaggiore nel 1710. In gioventù si dedicò con passione a diversi studi. Il suo obbiettivo era di potenziare lo stato in materia militare ma inventò anche straordinarie curiosità artistiche e pirotecniche, il suo interesse si volgeva anche alla tintura delle stoffe, alla società civile con ricerche sulle macchine idrauliche e pneumatiche, alla progettazione di orologi ed altro ancora.
Nominato gentiluomo di camera per Carlo di Borbone e in seguito Accademico della Crusca, nel 1738 il Principe di Sansevero si trasferì a Napoli, nel sontuoso palazzo di famiglia che si affaccia su Piazza San Domenico Maggiore, partecipando attivamente alla vita di Corte e diventando ben presto uno dei personaggi più in vista della Città. Appoggiò la politica illuminata di Carlo di Borbone contro l'oscurantismo del clero e dei nobili, arroccati in difesa di vecchi privilegi. Aderì alla Massoneria ma in seguito l'abiurò, anche se probabilmente solo ufficialmente, per dedicarsi completamente alla ricerca scientifica e alla decorazione della Cappella funeraria di famiglia.
La Cappella rappresentava una esaltazione della sua Casata, sottolineata dall'antichità e dalla santità della sua ascendenza aristocratica come testimoniano i bassorilievi e gli affreschi. Troviamo così sottolineate imprese belliche, qualità morali e tutta una rete di alleanze strette dai di Sangro con alcune grandi famiglie del regno attraverso una serie di matrimoni e di alleanze che rendevano spesso temibile il potere dell'aristocrazia. L'esaltazione della potenza del casato si rispecchia nella Cappella passando dai meriti temporali a quelli spirituali muovendosi dai livelli inferiori a quelli superiori della Chiesa: sugli archi delle cappelle, Francesco Queirolo scolpì sei cardinali protettori della famiglia, ed ancora più in alto, nella volta, alla Gloria del Paradiso, affrescata da Francesco Maria Russo nel 1749, partecipano ben sei santi di Sangro, dipinti in medaglioni. Quella che doveva essere una cappella funeraria si trasforma in un discorso omogeneo e ben orchestrato che, esaltandoli, fa in modo che i meriti e le qualità dei defunti suonino a gloria per la generazione presente e per le future, sostenendo le fortune e l'immagine del casato. Dunque un profondo senso della storia e della continuità, esposto per immagini allegoriche dall'apparenza poco mortuaria. In effetti le sole rappresentazioni di un qualche effetto macabro sono i due teschi e le tibie incrociate, scolpite sul portale laterale della chiesetta, eseguito nel 1744 dal piperniere Matteo Saggese. A quello sulla caducità si affianca, prevalendo, il discorso sull'eternità e sul valore della virtù che dà vita ad un'architettura spirituale che consente un ulteriore livello di lettura, meno esplicito del precedente e fondato sugli ideali massonici. Prima di accedervi occorre ricordare come il principe fu massone fin dagli anni quaranta del secolo e Gran Maestro della loggia napoletana, costretto nel 1751 ad abiurare a seguito dell'editto antimassonico di Carlo di Borbone e degli attacchi dei padri gesuiti Pepe e Molinari. Un'abiura che evitò forse ulteriori persecuzioni agli adepti, ma che non significò la totale rottura dei legami con un mondo tanto vivace culturalmente, aperto verso il moderno e la scienza, libero da pregiudizi di casta. Massoni erano il suo biografo Origlia e molti dei suoi amici e corrispondenti. Anche di autori d'ispirazione massonica furono molti dei testi da lui editi in una tipografia, sita nel suo palazzo, dove pare si stampassero patenti con simboli massonici. Si tratta talora di opere di grande valore estetico, come la sua Lettera Apologetica, dove applicò un nuovo procedimento, da lui messo a punto, per stampare a più colori con una sola impressione di torchio. Attraverso i suoi scritti e quelli di cui patrocinava la pubblicazione ci rendiamo conto che il principe, per quanto attento alla ricerca di spiegazioni scientifiche dei fatti, non giunse ad una concezione materialistica e che per lui cabala ed allegorie avevano un forte valore, come gli insegnavano i testi di alcuni grandi massoni europei, da Alexander Pope al marchese d'Argens al Ramsay. E a questo universo, dai significati esoterici, fece ricorso nel dettare le allegorie dei mausolei nella cappella. Come ha scritto Rosanna Cioffi, in un discorso pronunciato nel 1745 per accogliere nella loggia napoletana alcuni apprendisti, il de Sangro pose l'accento sulle virtù necessarie al massone per realizzare perfettamente una sorta di architettura spirituale che consenta la rinascita simbolica ad una vita non sottomessa alle passioni, bensì ispirata all'uso della ragione e all'esercizio della virtù.
Nel 1750 Raimondo iniziò l'opera chiamando a Napoli alcuni dei migliori artisti italiani dell'epoca, tra cui il Corradini, il Querolo, il pittore Nicola Maria Rossi,il pittore e scultore Francesco Celebrano, Paolo Persico e Francesco Maria Russo, che si adoprarono al massimo per edificare questa splendida costruzione.
La facciata, in verità, è alquanto modesta ma, dalla piccola porticina alla calata San Severo o dalla Porta Grande, si entra in un ambiente talmente affascinante da risultare simile ad un'apparizione fiabesca; una lapide è datata 1766, ricordo dell'anno in cui il principe ritenne di aver portato a termine la sua opera.
Il veneziano Antonio Corradini ed il genovese Francesco Queirolo, chiamati dal de Sangro per contrapporli alla Scuola artistica locale di tendenza popolareggiante ed episodica, portano in questo singolare monumento l'esperienza internazionale del Rococò piegata e distorta a rappresentare la strana mitologia aristocratica e illuminata del Principe di Sansevero e la sua volontà di stupire. La cappella è costituita da un'unica navata rettangolare, con quattro arconi per lato che delimitano le quattro Cappelle; tra gli archi acuti e il cornicione si trovano dei capitelli corinzi in stucco, disegnati dallo stesso principe ed un breve presbiterio rialzato su di un gradino di fondo.

L'ambiente è sovrastato da una volta a botte decorata dal grande affrescoGloria del Paradiso, opera di Francesco Maria Russo che, proveniente da una famiglia di artisti specializzati nell'allestimento dei fondali teatrali, rappresentò il soggetto con gusto scenografico tipica della tradizione napoletana dell'età barocca. Il Russo concepì un impianto prospettico basato su una sorta di contrapposizione tra la raffigurazione della copertura architettonica del soffitto e la rappresentazione della Gloria, che inverosimilmente si sovrappone alla struttura architettonica. Per l'ornamentazione dell'affresco il Russo si servì probabilmente degli studi sulla prospettiva del gesuita padre Pozzo, come si nota nell'affresco della finta cupoletta che sovrasta l'altare maggiore. L'opera non soddisfece le aspettative del committente.

Gloria del Paradiso
Gloria del paradiso
Golria del Paradiso (particolare)
Particolare

Dello stesso Russo è la tomba che Raimondo di Sangro fece fare per sè. Non si può escludere che il disegno della tomba sia stato ideato dallo stesso Principe e fatto disegnare e realizzare dal Russo. L'iconografia della parte superiore del monumento si rifà ad una tradizione tipica dell'aristocrazia napoletana che amava ricordare, nella tipologia funeraria, le cariche militari del defunto. Il ritratto di Raimondo di Sangro, a differenza di quello del figlio, fu eseguito con la tecnica della pittura oloidrica di invenzione del Principe stesso. Purtroppo la resistenza al tempo agli agenti atmosferici non è stata eccellente trattandosi di colori ad acqua con l'aggiunta di particolari collanti. Nella parte inferiore del mausoleo troviamo una lapide con una lunga iscrizione celebrativa circondata da un fregio vegetale a rilievo. Si dice che questa lapide in marmo, una volta rossa e con lettere a rilievo, non sia stata realizzata mediante incisione ma che sia stata realizzata con tecniche di colorazione e corrosione del marmo ritrovate dal Principe. Nel mausoleo di Raimondo di Sangro è conservata l'antica pavimentazione in marmo che originariamente ricopriva la chiesa. Lo schema del disegno di base consisteva in quadrati concentrici collocati in lieve prospettiva ed abbinati a svastiche, anche esse collocate un po' di traverso, con relative propaggini ad angolo retto che si collegavano tra loro senza mai interrompersi. Al centro, sempre in marmo policromo, era collocato lo stemma di casa di Sangro con corona principesca, ornamenti vari ed il motto di famiglia:
UNICUM MILITIAE FULMEN
Nel ricreare gli ambienti della cappella Raimondo ripensò i mausolei di alcuni suoi antenati in modo da aggiungervi la propria tomba, quella del primogenito Vincenzo e delle rispettive mogli.
Superando il classico mezzobusto del defunto, Raimondo di Sangro progettò per ogni antenato una statua allegorica rimandando il referente fisiognomico ad un piccolo ovale al di sopra di questa. Il di Sangro scelse per le sue virtù il più convenzionale codice di rappresentazione allegorica, risalente alla fine del `500. E' interessante ricollegare le virtù qui rappresentate con quelle che ogni massone deve possedere per edificare se stesso. Questo dimostra che di fatto la pubblica abiura delle sue frequentazioni massoniche non comportò la cancellazione del credo massonico, anzi alcuni autori chiamati a completare l'opera erano massoni. Il primo artista che affrontò organicamente il lavoro fu il veneto Antonio Corradini, legato ad ambienti massonici, che giunse a Napoli nel 1749 circondato da grande fama per aver lavorato per casa d'Austria. All'anziano maestro va attribuito l'intero corpus plastico dei bozzetti, realizzati seguendo le indicazioni del principe.
Di sua mano potè completare entro il 1752, anno della sua morte, solo alcuni gruppi e precisamente la Pudicizia, il Decoro e la Mestizia. Il gruppo della Pudicizia, fu eseguita nel 1751 quando lo scultore, famoso in tutta Europa, giunse a Napoli ormai molto anziano (morirà infatti l'anno successivo). È stato notato come quest'opera per la sua sensualità si adatti più ad una "galleria" che non a rappresentare la principale virtù di Cecilia Gaetani dell'Aquila,madre del principe, ma la fusione tra gusto profano e sacralità costituì la cifra di questo particolare periodo artistico. E' posta ai piedi del pilastro sinistro dell'arco grande che separa l'abside dal resto della chiesa. La statua poggia su di un piedistallo semi cilindrico sul quale il bassorilievo detto "Noli me tangere" raffigura Gesù risorto che appare alla Maddalena. Il ritratto di donna Cecilia è collocato, in un medaglione, su una piramide che sovrasta la statua. La pudicizia è rappresentata da una donna ricoperta da capo a piedi di un velo tanto sottile e trasparente che lascia apparire chiaramente l'espressione compunta e serena del viso e le opulente forme matronali. Solo le mani e i piedi, cinti da calzari, sono scoperti. Da una mano all'altra ricorre, lungo il corpo, in una piega più pronunziata del velo, un festone di rose, a terra è poggiato un grande vaso di profumi e dal suolo spunta un tronco reciso e fiorito, a significare la morte ed il superamento della stessa.
Il Decoro, anch'esso del Corradini, è rappresentato da un giovane nudo, con i fianchi avvolti in una pelle di leone. Al di sopra della nicchia della statua è collocato un bassorilievo con i profili affiancati delle terze principesse di Sansevero.

Sempre del Corradini èil mausoleo di Giovan Francesco Paolo, rappresentante un angelo dal volto mesto che si china a manifestare il dolore per la giovinezza spenta anzitempo del terzo principe di Sansevero. Dopo la morte del Corradini subentrò nell'impresa Francesco Queirolo, che proseguì l'esecuzione generale dell'apparato attenendosi ai bozzetti del suo predecessore.

Il mausoleo di Giovan Francesco Paolo
Il mausoleo di Giovan Francesco Paolo

Le opere realizzate da questo artista sono numerose: i medaglioni di sei cardinali; la Liberalità, dedicata a Giulia Gaetani; L'Educazione dedicata a Geronima Caracciolo; la Sincerità dedicata a Donna Carlotta Gaetani dell'Aquila, moglie di Raimondo, gli Altari di Santa Rosalia e Sant'Odorisio; e infine il virtuosistico Disinganno delle cose mondane detto anche la liberazione dell'errore.

Questo monumento fu ricavato da un unico blocco di marmo, compresa la fitta rete di corde annodate che aderisce solo in alcuni punti alle membra dell'uomo. Probabilmente lo scultore scolpì prima la rete e poi infilò gli attrezzi dentro le maglie per ottenere le membra del prigioniero. Il tema del disinganno è ripreso nel bassorilievo sottostante che raffigura Cristo che dona la vista ad un cieco. Questo è forse il complesso scultoreo che più fa riferimento alla fede massonica del committente. Per giungere alla verità occorreva liberarsi dalle passioni e proprio a questo allude il Disinganno, scolpito dal Queirolo come un uomo che si libera da una rete che lo avviluppa con l'aiuto del genio della ragione. Nel basamento Gesù ridà la vista ad un cieco, allusione alla conquista della vera luce. Quindi l'allegoria non si riferisce soltanto alla vita ed alla conversione del padre del principe come vuole la tradizione, ma anche ad uno dei momenti dell'iniziazione massonica, quando il candidato si qualifica come un cieco che chiede la luce.

Il disinganno delle cose mondane
Il disinganno delle cose mondane
Particolare della deposizione di Cristo
Particolare della deposizione
di Cristo

Tra gli artisti che completarono il corredo monumentale e decorativo della cappella, il napoletano Francesco Celebrano si segnala per il rilievo della Deposizione di Cristo dalla croce. Sul monte Calvario, ai piedi della Croce, la Madonna accoglie nel suo grembo, con immenso sconsolato amore, il corpo del figlio appena deposto. L'abbandono del corpo del Salvatore, col capo reclinato sul petto, è ben reso, come pure bene espressi sul volto sono i segni della sofferenza e della rassegnazione. La Maddalena stringe tra le mani la destra del Cristo morto e la bacia devotamente, mentre intorno le fanno corona la terza Maria e San Giovanni.

In alto, intorno alla Croce, si raggruppano dei cherubini e la mistica colomba; in basso, sopra il gradino della mensa, due angioletti reggono rispettivamente una piccola croce ed il sudario del Redentore, la cui immagine del volto funge da sportello del ciborio. Tornando alle allegorie massoniche, la Deposizione rappresenta anche l'adepto che si definisce come un cadavere che cerca di risorgere, soggetto che, accanto a quello della morte reca insito il tema della resurrezione. Sotto la mensa dell'altare è figurata una caverna, ad un lato della quale si scopre il Santo Sepolcro: vicino ad un cherubino svolazzante un angioletto intento a sollevarne il coperchio.

Cherubino (particolare)
Cherubino
(particolare)

Dello stesso autore vanno ricordati il Dominio di se stesso, ed il singolare monumento di Cecco di Sangro, posto in alto al centro della parete di ingresso, la cui statua incombe dall'alto con la spada sguainata, quale custode della cappella. Il monumento ricorda un episodio della vita di Cecco, che si fece rinchiudere in una cassa di munizioni per poter assalire di sorpresa i nemici. Due strani grifi sostengono sulle ali una cassa ferrata con coperchio a mezz'aria: un guerriero, con la visiera dell'elmo sollevata ed una gamba giù all'esterno, sta per balzare fuori con la spada sguainata. Nel crollo del 1889 questo monumento subì gravi danni e nei successivi lavori di restauro la testa venne fissata in maniera errata. Va menzionato poi l'artista Paolo Persico, autore della Soavità del giogo maritale.
Fortunato Onelli scolpì invece Lo zelo della religione.

Ma l'artista che emerge vigorosamente tra quanti hanno lavorato nella cappella è Giuseppe Sanmartino, il cui straordinario Cristo Velato del 1753 non fu elaborato su modello del Corradini come inizialemente si credeva. Il volto esanime del Redentore è avvolto nella sacra Sindone. Questo velo, tutto piegoline risulta talmente leggero e all'apparenza così intriso del sudore della morte, che sembra aderire al corpo mostrandone i minimi particolari, come la contrattura del volto sfigurato dalle sofferenze, le membra martoriate, l'incavo del ventre denutrito, la piaga del costato e le lacerazioni delle mani e dei piedi. La statua del Sanmartino, di prodigiosa abilità tecnica, è certo l'opera più famosa della scultura napoletana e non c'è stato storico o cultore dell'arte napoletana del Settecento che non si sia sentito in dovere di esprimere la sua opinione. Nel celeberrimo Cristo velato possono essere viste allegorie massoniche. La scultura che doveva essere collocato nella cripta, concepita come una grotta, simbolo della massoneria, avrebbe rappresentato la morte ma anche la rinascita. Il velo che lo ricopre si ricollega ai riti massonici relativi all'iniziazione dei Gran Maestri che vi partecipavano coperti da un velo che cadeva solo al termine del rituale.

Il Cristo Velato (particolare)
Il Cristo Velato
(particolare)

Il Cristo Velato (particolare)

Macchine Anatomiche (particolare) Proseguendo nella visita alla cappella scendiamo una stretta scaletta e arriviamo nella cavea, un angusto ambiente posto al di sotto del livello del suolo. In questo vano sono state collocate due vetrine contenenti scheletri completi che mostrano le viscere nella cavità toracica e nell'addome, mentre lungo le ossa si vede uno sviluppo impressionante di vene e arterie. La leggenda vuole che il Principe avrebbe iniettato un liquido mercuriale a due suoi servitori, al fine di metallizzare l'intero sistema arterioso e venoso dei due corpi. Al di là degli aspetti fantastici, in realtà le due macchine anatomiche sono il frutto degli esperimenti scientifici di Raimondo di Sangro, che a giusta ragione viene considerato tra i grandi profeti dell'illuminismo.Il sistema arterioso e venoso, collocato su una vera struttura ossea, stupisce per la verosimiglianza e l'accuratezza, sicuramente avanzate rispetto alle conoscenze dell'epoca.Per questo motivo le due macchine anatomiche sono state oggetto di controverse opinioni e di accesi dibattiti sul metodo della loro realizzazione. Tra le altre scoperte attribuite al Principe segnaliamo la carrozza anfibia, il tessuto impermeabile, i cannoni leggeri, l'archibugio a carica antivento ed il lume eterno che traeva la sua fonte energetica da un particolare liquido, tutte frutto di una ricerca tecnologica effettuata da un uomo di grande ingegno e versatilità.
Macchine Anatomiche Ma a sua perenne memoria resta soprattutto la Cappella di Sangro, così ricca da poter essere considerata un vero museo della scultura del `700 e resa ancor più suggestiva dai profondi rimandi interni e dalle sottili allegorie che devono essere intese in chiave massonica ad esempio il simbolo di resurrezione ma, nella statua della Pudicizia, capolavoro del Corradini, anche dell'antica sapienza velata ed intangibile per chi non sia iniziato ai suoi misteri (Cioffi). Ancora allusioni massoniche troviamo nel Dominio di sé stesso, nello Zelo della Religione, nella Sincerità, nel Decoro, nell'Amor Divino, nell'Educazione, nella Liberalità, nella Soavità del giogo coniugale, tutte virtù attribuite a varie donne della famiglia ma espressamente citate, nel 1745, fra quelle che Raimondo riteneva essenziali per la formazione del perfetto massone. Ed ancora legati a significati esoterici erano il pavimento ed il soffitto: il primo, di cui restano pochi elementi non più in situ, recava un disegno labirintico, allusivo del percorso iniziatico, realizzato in bianco e nero, colori del bene e del male; il soffitto, affrescato dal Russo nel 1749, mostra la colomba bianca, rappresentativa dello Spirito Santo ma, in alchimia, della materia prima da cui avrà origine la pietra filosofale, con sul capo il triangolo, simbolo divino ma anche del fuoco e della stessa massoneria. A difesa ideale di questo mondo si pone Cecco di Sangro, che esce armato da una cassa sorprendendo i nemici. Quest'immagine rievoca uno storico fatto d'armi ma richiama, con la sua presenza armata sull'ingresso, una delle cariche fondamentali di una loggia: il cosiddetto fratello copritore che, vegliando all'ingresso, doveva assicurare che la loggia restasse coperta agli occhi dei non appartenenti alla società segreta. (Cioffi). Come si vede, la concezione della cappella si sviluppa su due livelli di lettura, secondo un disegno che Raimondo mise a punto nel 1750 con la collaborazione di Antonio Corradini, scultore di simpatie massoniche, reduce dall'Austria. Con la sua chiamata, e poi con quella del genovese Queirolo, il principe dimostra, ancora una volta, la sua volontà di raccordarsi ad una cultura diversa, di respiro europeo, e di realizzare un progetto originale e senza precedenti a Napoli. Al progetto iniziale egli rimase fedele anche quando, morto Corradini e allontanato il Queirolo, dovette ripiegare su alcuni scultori napoletani come Celebrano e Paolo Persico, meno capaci dei precedenti, ma comunque in grado di trasformare in immagini i sogni del principe.

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