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ATTO QUINTO

SCENA I

 

Dunsinane, il castello di Macbeth.

 

Entrano UN MEDICO e UNA DAMA DI COMPAGNIA della regina.

 

 

MEDICO - Son due notti che veglio insieme a voi

ma non trovo conferma

a quello che m'avete riferito.

 

DAMA - Da quando Sua Maestà partì pel campo

l'ho vista spesso levarsi dal letto,

gettarsi sulle spalle la vestaglia,

aprire il suo scrittoio, trarne un foglio,

spiegarlo, scriverci sopra qualcosa,

leggerlo, ripiegarlo, sigillarlo,

e tornarsene a letto; e tutto questo

immersa sempre in un sonno profondo.

 

MEDICO - È segnale di grave turbamento

della natura ricevere a un tempo

il benefico sonno,

e comportarsi come essendo svegli.

E in questo suo vagare da sonnambula,

oltre a vederla muoversi

e a compier gli atti che m'avete detto,

non v'accade di udirla dir qualcosa?

 

DAMA - Sì, signore, ma cose

che mai mi sentirei di riferire.

 

MEDICO - A me potete; e sarebbe opportuno,

anzi che vi risolvereste a farlo.

 

DAMA - Né a voi né ad altri; non avendo modo

di addurre testimoni a lor conferma.

 

Entra LADY MACBETH con un candeliere in mano

 

Guardate, eccola, viene.

Questo è proprio il consueto suo portarsi

e, in fede mia, tutta immersa nel sonno.

Osservatela, senza palesarvi.

 

MEDICO - Quel lume come se l'è procurato?

 

DAMA - L'ha a portata di mano. Per suo ordine,

vol sempre avere un lume accanto a sé.

 

MEDICO - Vedete? Ha gli occhi aperti.

 

DAMA - Già, ma il suo senso della vista è occluso.

 

MEDICO - Che fa, ora? Guardate,

si stropiccia le mani.

 

DAMA - Lo fa sempre:

è come se cercasse di lavarle.

L'ho vista insistere a far quella mossa

per quarti d'ora interi.

 

LADY MACBETH - Un'altra macchia!...

 

MEDICO - Silenzio, parla. Voglio prender nota

di ciò che dice, per miglior memoria.

 

LADY MACBETH - Via, maledetta macchia!... Via, ti dico!

Uno, due tocchi...Su, questo è il momento!

L'inferno è tenebroso....

Vergogna, mio signore, che vergogna!

Un soldato, e così pien di paura!

Ma che bisogno c'è d'aver paura

che lo si scopra, se non c'è nessuno

che può chiedere conto a noi potenti?

Però, chi mai avrebbe immaginato

che il vecchio avesse in corpo tanto sangue!...

 

MEDICO - Avete inteso, eh?

 

LADY MACBETH - Il signore di Fife aveva moglie.

Dov'è ora la moglie?...

Ah, saran mai pulite queste mani?...

No, basta mio signore, basta, basta!

Con questi eccessi tu rovini tutto!

 

MEDICO - Andiamo, andiamo, adesso conoscete

anche di più di quello che dovreste!

 

DAMA - Ha detto infatti più che non dovesse,

di questo son sicura;

il Cielo solo sa quello che ha visto.

 

LADY MACBETH - Qui sa ancora di sangue:

non varran tutti i balsami d'Arabia

a profumar questa piccola mano.

(Sospira)

 

 

MEDICO - Che gran sospiro! Deve avere il cuore

colmo chi sa di qual tremenda angoscia.

 

DAMA - Non vorrei in petto un cuor come il suo,

nemmeno in cambio di regale ammanto(74)

che mi ricopra tutta.

 

MEDICO - Bene, bene.

 

DAMA - Preghiamo Dio, signore,

che tutto si risolva per il meglio.

 

MEDICO - Questo è un male che supera i confini

delle mie competenze; ho conosciuto

comunque casi di sonnambulismo,

e i soggetti son morti di santa pace

nel lor letto.

 

LADY MACBETH - Làvati le mani....

La vestaglia....Non esser così pallido....

Te l'ho già detto: Banquo è sotterrato,

e non può più levarsi dalla fossa.

 

MEDICO - Ah, c'è anche questo!

 

LADY MACBETH - A letto, a letto, a letto!

Bussano giù alla porta. Andiamo a letto!

(Esce)

 

MEDICO - Che fa, ritorna a letto?

 

DAMA - Sì, diretta.

 

MEDICO - Fuori si mormora di cose orribili.

Atti contro natura

sono padri di turbe innaturali;

le menti che di esse sono infette

confideranno sempre i lor segreti

al lor guanciale. Più che d'un dottore

qui c'è piuttosto bisogno d'un prete.

E che il signore ci perdoni tutti!

Mi raccomando, tenetela d'occhio:

tenete fuori della sua portata

qualunque oggetto che possa servirle

a nuocere a se stessa. Buona notte.

Costei m'ha messo l'anima in subbuglio

e m'ha inebriato gli occhi di stupore.

Penso qualcosa, ma non oso dirla.

 

DAMA - Buona notte, dottore.

 

MEDICO - Buona notte.

(Escono)

SCENA II

Campagna presso Dunsinane

 

Tamburi e bandiere. Entrano MENTEITH, CAITNESS, ANGUS, LENNOX e soldati.

 

MENTHEITH - Le truppe inglesi, al comando di Malcolm,

del vecchio Siward e del prode Macduff,

son qui presso, assetate di vendetta.

La loro causa è talmente sentita,

da eccitare anche i morti

ad un'assalto rabbioso e cruento.

 

ANGUS - Bene, entreremo in contatto con loro

presso il bosco di Birnam: è in quel punto

ch'essi stan dirigendo.

 

CAITNAS - Qualcuno di voi sa se Donalbano

è col fratello?

 

LENNOX - No, non c'è di certo.

Ho un elenco di tutti i loro nobili:

c'è il figlio di Siward, e molti giovani

ancora imberbi, sol ora venuti

a far la prima lor prova dell'armi.

 

MENTHEITH - E il tiranno che fa?

 

CAITNESS - Si rafforza a difesa del gran Dunsinane.(75)

Qualcuno dice che sia fuor di senno;

altri, che forse meno lo detesta,

lo dice acceso da furia guerriera;

è certo che non gli riesce più

di cinger la sua causa disperata

della cinta della legalità.

 

ANGUS - Sente che gli si invischiano alle mani

i suoi neri assassinii; e le rivolte

son lì a rinfacciargli ogni minuto

l'infranta fede. Ormai tutti coloro

che son rimasti sotto il suo comando

si mouvono soltanto per comando,

non per amore: sente ora il suo titolo

cascargli addosso sempre più sbilenco,

come il grande mantello d'un gigante

addosso al nano che gliel'ha rubato.

 

MENTHEITH - Chi potrà dunque metter sotto accusa

i suoi sensi alterati,

se di colpo si torcon sussultando,

dal momento che tutto quel che ha dentro

si fa una colpa soltanto di esistere?

 

CAITNESS - In marcia dunque; a render obbedienza

a chi per giusto da noi è dovuta:

andiamo incontro al medico

di questa povera patria ammalata,

e insieme a lui versiamo, a risanarla,

il sangue fino all'ultima sua goccia.

 

LENNOX - Se non l'ultima, almeno quanto basti

ad innafiar l'augusta pianticella

su cui fiorisce la regalità,

ed affogare insieme le malerbe.

In marcia, dunque, direzione Birnam!

 

(Escono marciando)

SCENA III

Dunsinane, una stanza nel castello

 

Entrano MACBETH, il MEDICO e altri

 

MACBETH - Non portatemi più rapporti. Basta!

Che disertino tutti, se ne vadano!

Finchè non muove verso Dunsinane

la foresta di Birnam,

di paura su me, nessuna macchia.

Chi sarà mai quel ragazzo di Malcolm?

Non è un nato da donna? Quegli spiriti

ch'hanno il potere di saper discernere

nel futuro degli uomini

così han parlato: "Macbeth, non temere;

nessun uomo che sia nato da donna

mai potrà aver potere su di te".

E allora, thani felloni, fuggite,

andate ad imbracarvi tra le file

degli epicuri inglesi!(76)

La mente che mi guida, e questo cuore

che porto in petto mai si lasceranno

fiaccar dal dubbio e scrollar dal timore.

 

Entra un SERVO

 

Che il demonio ti danni e t'annerisca!

Dov'hai attinto quell'aria da oca?

 

SERVO - Ci sono diecimila...

 

MACBETH - Oche, gaglioffo?

 

SERVO - No, soldati, signore.

 

MACBETH - Va', furfante,

datti dei pizzicotti sulla faccia

e tingiti di rosso la paura,

ragazzotto dal fegato di giglio!

Che soldati, imbecille?

Morte all'anima tua! Quelle tue guance

slavate vogliono dire paura.

Quali soldati, faccia di ricotta?

 

SERVO - Soldati inglesi, se così vi piace.

 

MACBETH - Va', toglimi dagli occhi quel tuo muso!

 

(Esce il servo)

 

Seyton!...(77) Io son terribilmente stufo(78)

di assistere...Ma Seyton, dove sei!...

Questo colpo o mi dà felicità

per sempre, o qui per sempre mi spodesta.

Ho vissuto abbastanza. La mia vita

è giunta al punto in cui sul suo cammino

la foglia si fa secca ed ingiallita,

e tutto ciò che nella tarda età

sarebbe giusto ci fosse compagno:

onore, amore, obbedienza, amicizia

è per me fuori ogni aspettativa;

in loro vece avrò maledizioni

lanciate sottovoce, ma profonde,

adulazioni fatte amezza bocca,

tutto fiato che il povero mio cuore

vorrebbe rifiutare, ma non osa...

(Chiamando ancora)

Seyton!...

 

SEYTON - (Comparendo)

Che mi comanda Vostra Grazia?

 

MACBETH - Quali altre nuove?

 

SEYTON - Tutto confermato,

signore, quanto prima riferito.

 

MACBETH - Combatterò finchè dalle mie ossa

non mi si scalchino le carni a brani....

L'armatura!

 

SEYTON - Non ce n'è ancor bisogno.

 

MACBETH - Voglio indossarla. Spediscimi fuori

altri uomini armati ed a cavallo

a perlustrare la campagna intorno.

E chi ti parla di paura, impiccalo!

Qua la mia armatura!...

(Al medico)

Dottore come sta la mia paziente?

 

MEDICO - Non poi così malata, mio signore;

è soltanto turbata di continuo

da non so che ossessive fantasie

che le impediscono di riposare.

 

MACBETH - Curala, allora, di questo, e guariscila!

Non sai curare una mente malata?

Non sai tu sradicarle dal cervello

una pena che vi sta abbarbicata,

e per mezzo di qualche dolce antidoto

che ridoni l'oblio, nettargli il petto

da quel greve, pericoloso ingombro

che la turba e le appesantisce il cuore?

 

MEDICO - Queste sono affezioni che il paziente

si deve amministrare da se stesso.

 

MACBETH - Gettala ai cani, allora, la tua scienza!

Non voglio più saperne...Avanti, Seyton,

aiutami a indossare l'armatura.

Qua la mia lancia...Seyton, manda fuori...

(dottore, i thani fuggon via da me..)

...ma presto, mandali...Se tu, dottore,

potessi far l'analisi d'orina

al mio paese, conoscerne il male,

e purgarlo così da ricondurlo

al primitivo stato di salute,

t'applaudirei da far che l'eco stessa

continuasse sempre ad applaudirti...

(A Seyton)

Niente armatura. Toglimela, dico.

(Al Medico)

Qual rabarbaro, senna o altro intruglio

che avesse un buon effetto purgativo

potrebbe liberarmi l'intestino

da questi inglesi?...Hai sentito di loro?

 

MEDICO - Sì, signore, me n'han dato sentore

i vostri apprestamenti difensivi.

 

MACBETH - (A Seyton, consegnandogli l'armatura che s'è tolta)

Toh, portamela dietro....

Paura non avrò né di morire

né d'esser sconfitto,

finchè l'intera foresta di Birnam

non si sia mossa verso Dunsinane.

 

MEDICO - (Tra sé)

Mi potessi trovar lontano e libero

da questa Dunsinane, parola mia,

nessun miraggio di ricchezza al mondo

m'alletterebbe a venire fin qui!

 

(Esce)

SCENA IV

Davanti alla foresta di Birnam

 

Entrano con tamburi e bandiere, MALCOLM, il vecchio SIWARD e suo figlio, MACDUFF, MENTHEITH, CAITNESS, ANGUS, LENNOX, ROSS con l'esercito in marcia

 

MALCOLM - Cugini, spero ormai vicino il giorno

in cui ciascuno di noi

potrà dormir sicuro nel suo letto.

 

MENTHEITH - Noi non ne dubitiamo.

 

SIWARD - Che bosco è quello che ci sta davanti?

 

MENTHEITH - La foresta di Birnam.

 

MALCOLM - Dai suoi alberi

ciascun soldato se ne stacchi un ramo

e se lo tenga innanzi a sé marciando:

maschereremo così il nostro numero

e renderemo vano ogni conteggio

delle loro vedette.

 

SOLDATI - Sarà fatto.

 

SIWARD - Tutto quel che sappiamo del tiranno

è che si tien sicuro e fiducioso

a Dunsinane, e s'appresta a resistere

all'assedio che ci accingiamo a porgli.

 

MALCOLM - È l'unica speranza che gli resta.

i suoi seguaci maggiori e minori

gli si son rivoltati,

ovunque si sia loro offerto il destro,

e non c'è più nessuno al suo servizio,

tranne quei pochi che vi son costretti,

anche loro, però, d'animo assenti.

 

MACDUFF - Lasciamo ogni giudizio

alla prova dei fatti. Ora pensiamo

a comportarci al meglio da soldati.

 

SIWARD - S'avvicina il momento

in cui, con ponderata decisione,

ciascun di noi saprà

quel che possiamo dir di possedere

e quello di cui siamo debitori.(79)

Le congetture non son che il riflesso

delle incerte speranze che le nutrono.:

solo i colpi dall'esito sicuro

sono i giudici veri degli eventi.

A questo fine muoviamo alla guerra.

(Escono marciando)

SCENA V

Dunsinane, nel castello

 

Entrano, con tamburi e bandiere, MACBETH, SEYTON e soldati

 

MACBETH - Issate le bandiere sugli spalti,

sempre al grido di "Arrivano"!

La resistenza del nostro castello

si riderà di un'assedio da burla:

restino pure qui, finché la fame

non li divori e li strugga il colera!

Se non fossero stati rinforzati

da quelli che da noi han disertato,

li avremmo già affrontati arditamente

e ricacciati indetro a casa loro.

 

Grida di donne all'interno

Cos'è questo clamore?

 

SEYTON - Sono donne,

donne che gridano, mio buon signore.

(Esce)

 

MACBETH - Io non so quasi più

quale sia il sapor della paura.

Un tempo a udire un grido nella notte

m'avrebbe raggelato tutti i sensi,

e ad ascoltare un macabro racconto

mi si sarebbero rizzati in testa

irti i capelli come se animati

da propria vita. Son sazio d'orrori:

e la ferocia, consueta compagna

di tutti i miei pensieri di massacro,

più non riesce a farmi trasalire.

 

Rientra SEYTON

 

Ebbene, allora, perché quelle grida?

 

SEYTON - È morta la regina, monsignore.

 

MACBETH - Doveva pur morire, presto o tardi;

il momento doveva pur venire

di udir questa parola...

Domani, e poi domani, e poi domani,

il tempo striscia, un giorno dopo l'altro,

a passetti, fino all'estrema sillaba

del discorso assegnato;(80) e i nostri ieri

saran tutti serviti

a rischiarar la via verso la morte(81)

a dei pazzi. Breve candela, spegniti!

La vita è solo un'ombra che cammina,

un povero attorello sussiegoso

che si dimena sopra un palcoscenico

per il tempo assegnato alla sua parte,

e poi di lui nessuno udrà più nulla:

è un racconto narrato da un idiota,

pieno di grida, strepiti, furori,

del tutto privi di significato!

 

Entra una STAFFETTA

 

Tu vieni a usar la lingua. Parla, presto!

 

STAFFETTA - Mio grazioso signore, dovrei dirti

di qualcosa che giuro d'aver visto,

ma non so come dirlo.

 

MACBETH - Avanti, parla!

 

STAFFETTA - Mentr'ero di vedetta in cima al colle

ho rivolto lo sguardo verso Birnam

e m'è parso, d'un tratto,

che si muovesse l'intera foresta.

 

MACBETH - Bugiardo! Miserabile! Che dici!

 

STAFFETTA - S'abbatta su di me la vostra collera,

se non è vero: a tre miglia da qui,

lo potrete vedere da voi stesso.

Ho detto: una foresta che si muove.

 

MACBETH - Se dici il falso, penzolerai vivo

al più vicino tronco,

finchè sarai seccato dalla fame.

Ma se quello che riferisci è vero,

non m'importa se fai lo stesso a me.

(Tra sé)

Sento venirmi meno la fiducia,

e mi s'affaccia il dubbio

sull'equivoco profetar del diavolo

che ti mentisce facendoti credere

di dirti il vero: "Non devi temere

fintanto che non vedrai avanzare

la foresta di Birnam verso Dursinane..."

Ed ora una foresta

si muove veramente verso Dunsinane!

 

(Escono)

All'armi! All'armi! Fuori, fuori tutti!

Se quello che costui m'annuncia è vero,

è inutile tenersi qui arroccati,

o tentare comunque di fuggire.

Io comincio a stuccarmi anche del sole,

e ad augurarmi che crollasse subito

la struttura del mondo...La campana!

Suonate la campana dell'allarme!

Venti, soffiate! Venga la catastrofe!

Potremo almeno dire di morire

con tutto indosso l'armamento nostro!

 

(Escono)

SCENA VI

Dunsinane, piana davanti al castello.Tamburi e bandiere.

Entrano MALCOLM, SIWARD, MACDUFF, con l'esercito; ogni soldato ha in mano un ramo

d'albero

 

MALCOLM - Qui siam vicini abbastanza; fermiamoci.

Gettate via gli schermi di fogliame

e mostratevi. Voi, nobile zio,

guiderete, col mio caro cugino

e vostro degno figlio, il primo assalto;

Macduff ed io ci accolleremo il resto,

secondo i piani.

 

SIWARD - Allora, arrivederci.

Se stasera ci troveremo a fronte

le forze del tiranno,

che ci rimandino indietro sconfitti,

se non sarem capaci di combattere.

 

MACBETH - La parola alle trombe: date fiato

a queste strepitose messaggere

di sanguinosi massacri e di morte!

 

(Escono marciando)

SCENA VII

Altra parte della piana

 

Entra MACBETH

 

MACBETH - M'hanno legato al palo; non ho scampo.

Come un orso assediato dalla muta,

son costretto a lottare fino in fondo....

Chi mai sarà di loro

che da una donna non fu partorito?

Quello debbo temere, e nessun altro.

Entra il giovane SIWARD

 

G. SIWARD - Qual'è il tuo nome?

 

MACBETH - Ti farà paura

solo a sentirlo pronunciare.

 

G. SIWARD - No,

se pur tu avessi un nome più rovente

di qualunque abitante dell'inferno.

 

MACBETH - È Macbeth il mio nome.

 

G. SIWARD - Uno più odioso

non avrebbe potuto pronunciare

per il mio orecchio il diavolo in persona!

 

MACBETH - Lo credo, ma nemmeno più terribile.

 

G. SIWARD - Ah, no! Tu menti, aborrito tiranno!

Ed io ti proverò, con questa spada,

ch'è una menzogna quella che tu dici.

 

(Si battono. Il giovane Siward cade ucciso)

 

 

MACBETH - Tu sei nato da donna,

e delle spade io mi faccio beffa,

quando siano brandite da qualcuno

che sia stato da donna partorito.

 

(Esce)

 

Allarme. Entra MACDUFF

 

MACDUFF - È di qua che provengono i clamori.

Tiranno, mostra dunque la tua faccia!

Se t'ammazano, e il colpo non è mio,

gli spettri di mia moglie e dei miei figli

mi perseguiteranno eternamente.

Non posso menar colpi su quei Kerni,(82)

poveracci, che dan le loro braccia

in affitto per imbracciar bastoni.

O te, Macbeth, oppure questa spada

se ne può pure ritornar nel fodero

col filo ancora intatto...

Ma dev'esser qui intorno: il gran fragore

del cozzare dell'armi me lo dice:

deve trovarsi qui il più grosso calibro.

Ch'io lo trovi, Fortuna. Più non chiedo.

 

(Esce)

 

Allarme. Entrano MALCOLM e SIWARD

 

SIWARD - Di qua, signore..Il castello s'è arreso

senza opporci veruna resistenza.

Le genti del tiranno ora combattono

dalle due parti; i nobili di Scozia

si comportano valorosamente.

La giornata si mostra tutta vostra

quasi spontaneamente, resta poco.

 

MALCOLM - Ci è capitato d'incontrar perfino

nemici che combattono per noi...

 

SIWARD - Entrate pure nel castello, Sire.

 

(Entrano)

SCENA VIII

Altra parte della piana

 

Entra MACBETH

 

MACBETH - Ed io dovrei impersonar la parte

dello sciocco romano a darmi morte

con la mia stessa spada?...

Finchè io veda gente ancora viva,

le ferite stan meglio addosso a loro.

 

Entra MALCOLM

 

MACDUFF - Cane d'inferno! A me, vòltati a me!

 

MACBETH - Fra tutti i miei nemici,

ho schivato finora solo te.

Vattene. Ho l'anima già troppo grave

di sangue tuo.

 

MACBETH - Parole non ne faccio.

La mia voce sta tutta in questa spada,

esecrabil furfane, sanguinario

più di quanto parola possa dire!

 

(Si battono)

 

MACBETH - Sprechi fatica. Sarebbe più facile

per te tagliare a fil di spada l'aria

impalpabile, che trar da me sangue.

Va', lasciala cadere la tua lama

su vulnerabili celate; io vivo

una vita stregata: il suo destino

è di non essere tolta da nessuno

che sia stato da donna partorito.

 

MACDUFF - Dispera allora della tua fattura!

E l'angelo che hai sempre servito(83)

ti dica come Macduff fu strappato

con un taglio dal grembo di sua madre

per parto prematuro.

 

MACBETH - Maledetta la lingua che lo dice!

Perché dicendolo tu hai riempito

il meglio della mia essenza d'uomo.

di paura.E mai più siano creduti

quei ghignanti impostori di demòni

che ci raggirano coi doppi sensi,

che a parole c'intronano le orecchie

di promesse, per poi poterle infrangere,

ed ingannare le nostre speranze.

Io, con te, mi rifiuto di combattere!

(Smette di battersi)

 

MACDUFF - E allora arrenditi, come un vigliacco,

e vivi sol per essere spettacolo

e ludibrio alla gente;

ti appenderemo effigiato ad un palo

con sotto questo scritto: "Ecco il tiranno!"

 

MACBETH - S'è per baciar la terra sotto i piedi

del giovinetto Malcolm,

s'è per essere morso dall'insulto

della plebaglia, non m'arrenderò.

S'anche l'intera foresta di Birnam

è a Dunsinane venuta,

e s'anche tu, che mi sei qui davanti,

non sei stato da donna partorito,

io mi gioco qui l'ultima partita.

Ecco, pongo il mio scudo di battaglia

avanti a me. Perciò, Macduff, in guardia!

E dannato chi dice prima:"Basta".

 

(Escono combattendo)

 

Allarme di ritirata. Entrano, con tamburi e vessilli, MALCOLM, SIWARD, ROSS, LENNOX,

ANGUS, CAITNESS, MENTHEIT e soldati

 

MALCOLM - Voglio augurarmi che tutti gli amici

che al momento non vedo qui presenti

sian sani e salvi.

 

SIWARD - Qualcuno è perduto;

ma, da quelli che vedo intorno a voi,

una bella vittoria come questa

non fu pagata troppo a caro prezzo.

 

MALCOLM - Manca Macduff e il tuo nobile figlio.

 

ROSS - (A Siward)

Vostro figlio, signore,

ha soddisfatto con onore il debito

di valoroso soldato.

Egli è vissuto il tempo necessario

a diventare uomo; e poichè tale

l'ebbe ben confermato il suo valore,

è caduto da uomo

nel luogo stesso dove ha combattuto,

senza arretrar d'un passo.

 

SIWARD - Allora è morto?

 

ROSS - Morto. Ed il corpo è stato trasportato

dal campo. di battaglia.

 

ROSS - Il suo valore non sia la misura

del vostro duolo, ché se così fosse,

la vostra pena non avrebbe fine.

 

SIWARD - Fu ferito davanti?

 

ROSS - Sulla fronte.

 

SIWARD - Sia egli allora un soldato di Dio!

Avessi figli per quanti ho capelli,

non saprei augurar morte più bella

a tutti loro. E sian queste parole

il suono della sua campana a morto.

 

MALCOLM - Egli è ben degno di maggior compianto,

ed io glielo darò.

 

SIWARD - No, basta questo.

È morto bene, ha detto, ed ha pagato

il suo debito; e Dio sia con lui!

Ma vedo giunger qui nuovo conforto...

 

Entra MACDUFF con in mano il capo mozzo di Macbeth

 

MACDUFF - Ti saluto, mio re! Ché re tu sei!

Ecco, guarda, la maledetta testa

del tuo usurpatore: siamo liberi!

Ti vedo circondato dalle gemme

del tuo regno che, tutte, nei lor cuori

ti ripetono il mio stesso saluto;

ond'io le invito a unir la loro voce

alla mia che vi grida: "Viva il Re di Scozia".

 

TUTTI - "Evviva il re di Scozia"

 

(Squillo di tromba)

 

MALCOLM - Non lasceremo passar molto tempo

per soppesar le prove dell'affetto

che ciascuno di voi ha dimostrato,

e con ciascuno di voi sdebitarci.

Thani e parenti miei da questo istante

potran portare il titolo di conte,

e saran loro i primi che la Scozia

abbia mai onorato con tal titolo.

Ciò che resta da fare

e piantato sarà coi tempi nuovi

- come il richiamo in patria degli amici

costretti a rifugiarsi nell'esilio

per sfuggire all'occhiuta tirrannia;

o il processo ai ministri scellerati

di questo truce macellaio ucciso

e della sua demoniaca regina

- che si crede, si sia tolta la vita

di sua violenta mano - tutto questo

e quant'altro che a noi competa fare,

con la grazia di Dio noi compiremo,

nella misura, nel tempo e nel luogo

che meglio converranno. Pel momento

grazie sian rese a tutti ed a ciascuno,

e tutti invito a convenire a Score

per assistere all'incoronazione.

 

FINE



(74) "...for the dignity of the whole body""il petto ("bosom") è contrapposto a tutto il corpo: meglio un corpo senza manto regale, che, nel petto di quel corpo, un cuore in aubbuglio, ammantato di regal dignità.

(75) "Great Dunsinane": è il nome del castello che Macbeth si è fatto costruire su una collina di tal nome nel Perthshire, in Scozia, col concorso - secondo l'Holinshed - di tutti i nobili.

(76) "...and mingle with the English epicures": gli inglesi, per lo scozzese Macbeth sono degli "Epicuri" per via del lusso che - secondo le cronache dell'Holinshed - hanno introdotto nella vita della nobiltà, in contrasto con la tradizionale sobrietà scozzese, della quale Macbeth si sente campione.

(77) Chi sia costui, non si sa. È verosimilmente il soldato "attendente personale" di Macbeth. Secondo certa critica, il nome sarebbe stato suggerito a Shakespeare da "Seton", come si chiamava l'uomo d'arme dei re scozzesi.

(78) "I am sick at heart":"to be sick at heart" è espressione colloquiale equivalente a "to be thoroughly tired/weary (of a thing)".

(79) Frase di significato oscuro. Che cosa abbia voluto far dire qui Shakespeare al vecchio Siward, non si capisce. È tradotta alla lettera. Ciascuno la intenda come può.

(80) Il testo ha "recorded time" ma "tempo" è già il soggetto della frase, e bisognava mantenere il traslato della "sillaba", che introduce l'immagine del discorso.

(81) "Dusty death":"dusty", "polverosa", non s'è tradotto.

(82) Son i nomi, italianizzati, di soldati dell'esercito irlandese del sec. XXII-XIV: "Kerns" erano i fanti d'armamento leggero; "gallowglasses" i mercenari di quell'esercito, provenienti generalmente dalle Isole Ebridi.

(83) Cioè l'"angelo nero" di dantesca memoria ("senza costringer degli angeli neri/che vegnan d'esto fondo a dipartirci", Inferno XXIII, 131-132),: il diavolo.