Castello
D’Alessando,
storia
di una fortificazione difensiva del tratturo e del suo sito culturale nel
Contado di Molise.
Sorge
in terra di Molise, nell’antico borgo di Pescolanciano, nome derivante da
“PescumLanzanum” che indicava la roccia (Pescum) ed il suo feudatario
normanno (Lanz).
È opinione ormai
consolidata che il castello sia sorto su un originario sito fortificato
sannitico, seppur documenti che d’archivio evidenziano una presenza fortilizia
solo all’epoca di Alboino, intorno al 573 d.C.
Alcuni
storici ritengono, invece, la sua costruzione essere posteriore alla suddetta
datazione e cioè risalente all’epoca di Carlo Magno, circa l’810, oppure di
Corrado il Salico, il 1024. Alcune testimonianze riferiscono che con la discesa
di Federico II, il territorio di Pesolanciano era governato da un feudatario,
Ruggero di Peschio-Langiano, che ricevette ordine dal suddetto Re di rimuovere i
Caldora di Carpinone, smantellando il loro castello, di assediare Isernia e quei
feudi ostili a Re Federico. Tale spedizione fu di sicuro organizzata nel
fortilizio allora esistente e da esso prese le mosse nel 1224.
Il
feudo, confinante col vicino borgo di S. Maria dei Vignali, abbandonato dopo il
terremoto del 1456, era attraversato da un costiere del “Tavoliere di
Puglia”. Detto percorso “tratturale” (Lucera-Casteldisangro,
Pescolanciano-Sprondasino, Sprondasiono-Castel del Giudice), era utilizzato
non solo dai numerosi pastori e loro animali, ma anche da comuni viandanti e da
pellegrini diretti in terra Santa. Questi tratturi divennero, pertanto, nel
corso dei secoli (XIV-XVIII) itinerari strategici sia sotto l’aspetto
economico, per le entrate fiscali (FIDA) garantite dall’attività di
transito pastorizia, sia perché costituirono il diretto collegamento da Roma ai
porti pugliesi, all’epoca dei pellegrinaggi e delle crociate. Ciò spiega,
quindi, la presenza lungo tali percorsi di torrioni, castelli,
monasteri e chiese ove si celebravano svariati culti e veneravano
Santi protettori: strutture queste che risultano essere state difese da
raggruppamenti di cavalieri Templari, Teutonici e Gerosolimitani.
Il
castello di Pescolanciano, arroccato su uno sperone di roccia ai piedi del monte
Totila, sotto il quale si sviluppò il borgo medioevale con le sue mura
perimetrali con accessi all’abitato tuttora visibili, assolse a questi compito
di difesa e ospitalità sia sotto i feudatari Carafa che sotto gli Eboli, sin
dal XIII secolo. Queste secolari funzioni del borgo e del suo maniero
ricevettero “nuovo impulso” con l’avvento di nuovi feudatari.
Il
feudo di Vignali a Pescolanciano fu, tra il 1576-79, alienato da Andrea d’Eboli
o sua nipote Aurelia a Rita Baldassarre moglie di Giovanni Francesco
d’Alessandro, dell’illustre Casato napoletano del Sedil di Porto che conta
tra i suoi ascendenti un Templare Guidono, crociato in Palestina nel 1187,
valenti ambasciatori del Regno
Angioino e Aragonese, nonché l’illustre giurisperito-umanista del XV secolo,
Alessandro d’Alessandro, discepolo del Fidelfo ed autore dei “Dies
Geniales”. La baronia di “Pescolangiano” con i suoi feudi rustici
limitrofi divenne ducato nel 1654 sotto il sesto barone Fabio Jr. (1628-1676) di
Agapito (1595-1655). A questo personaggio si fanno risalire i primi lavori di
abbellimento, ampliamento e di consolidamento della struttura fortilizia che
fino ad allora doveva essere stata composta da una torre mastio ed una
cilindrica, nonché da un corpo a “bastione” merlato a “scarpa”.
Al citato personaggio e suo padre si attribuiscono una serie di interventi di
modifica dell’originaria configurazione del castello. L’ingresso, in
principio presso la torre mastio lato nord-est, dal quale le persone avevano
accesso probabilmente utilizzando scala retrattile, venne chiuso e riaperto con
ponte levatoio, finito nel 1691. Il cortile esterno, precedentemente a gradoni
rocciosi, fu fatto spianare in questo periodo e vi furono edificate delle
costruzioni dette “pertinenze”, tra cui la “guardiola” con
il suo balcone seicentesco arabescato. Mentre fu costruita una chiesetta
gentilizia al centro del fortilizio, i cui lavori di arricchimento con marmi
intarsiati, decorazioni a stucco e dipinti vennero ultimati nel 1628.
Il
luogo sacro, per volere del duca Fabio Jr., ospitò dal 1673 alcune reliquie del
corpo del martire cristiano
S. Alessandro di Bergamo, pervenute da Roma con bolla papale e celebrate con
antico rituale. Il feudo di Pescolanciano acquisì, sotto i d’Alessandro,
un’importanza maggiore per l’accresciuta economia agricolo-pastorale e,
soprattutto, per il suo ruolo di sede centrale delle varie circostanti terre
acqusite ed amministrate dal Casato, quali Castiglone, Civitanova del Sannio,
Sprondasino, Civitavetere. In detto territorio, intorno al 1645, fu avviata ad
opera del barone Giovanni (1574-1654), zio di Fabio Jr., un’attività di
allevamento di cavalli “saltatori”, razza selezionata per soddisfare
particolari richieste di illustri cavalieri del Regno di Napoli, segnando
l’inizio di una tradizione ippica-cavalleresca proseguita fino al XIX secolo.
Questa attività, gestita dalla famiglia, divenne poi anche materia di trattati
poetici-letterari sotto il terzo duca Giuseppe d’Alessandro (1656-1715). Ad
inizio del XVIII secolo, detto personaggio, abbandonò la vita sociale e
politica della città di Napoli, ove risiedeva, per dedicarsi alla nutrita
passione letterale ed a quella equestre. Dall’unione di tecnica ed arte
poetica, colorata di assiomi esoterici, scaturì l’insigne trattato “Pietra
di Paragone dei Cavalieri”, edita in prima edizione nel 1711 da D. Parrino.
Quest’opera, divisa in cinque libri, sulle regole di cavaliere, curare le
infermità dei cavalli, espletare la professione di spada ed armi, fu, a detta
del D’Afflitto nelle “Memorie degli Scrittori del Reno di Napoli”
(1782), un trattato militare tanto “… che nelle contese di spada, e del
merito di un cavallo, a Lui come ad oracolo si ricorre”.
A
questo personaggio accademico, legato alla corrente poetica del Marini, si
attribuiscono i componimenti poetici successivi, quali “Selva Poetica” del
1713 ed “Arpa Morale” del 1714.
L’indole
artistico-poetica del duca lo spinse a collezionare, negli appartamenti di
questa dimora molisana, una ricca ed interessante pinacoteca di opere pittoriche
(209 quadri risultano elencati nell’inventario del 1715, a soggetto religioso,
nature morte, battaglie, ecc.) di famosi autori, quali il Caravaggio, il Brughel,
Fracanzano, Pesce. Il castello divenne, quindi, riferimento culturale di vari
personaggi accademici del D’Alessandro e continuò ad esserlo con il figlio
Ettore (1694-1741), che fece ristampare, nel 1723, l’opera del padre “Pietra
di Paragone”, ampliata con ulteriori scritti e tavole illustrative tra le
quali varie figure di fisionomie tratte del libro di Giambattista delle Porta.
Il duca Ettore ospitò, durante l’esilio forzato in Pescolanciano per sfuggire
all’ostile occupazione Asburgica (1707-1734), diversi intellettuali contrari
ai nuovi governanti. Tra questi, il gentiluomo casentino Pirro Schettini ed il
poeta Galezzo di Tarsia, le cui rime vennero recepite dal cavalier Basile
dell’Accademia degli Oziosi. La dimora fortilizi dei d’Alessandro riscosse
ulteriore fama e riconoscimenti all’epoca dell’intraprendente iniziativa di
produzione di raffinati manufatti in ceramica ad opera del sesto duca Pasquale
Maria d’Alessandro (1756-1816). Tra il 1780 ed il 1795, la piccola fabbrica di
ceramiche, collocata nelle pertinenze del castello, sfornò prodotti di varie
tipologie e materiali (piatti, vasellame, teiere, zuppiere, nonché busti e
soggetti neoclassici in biscuit), tanto da divenire concorrenziale alla regia
fabbrica di Capodimonte in Napoli. Maestranze napoletane e venete vi prestarono
servizio con proprie rispettive esperienze e professionalità. Una tale audace
attività imprenditoriale, rivoluzionaria per la provincia molisana e per la
secolare economia feudale del Casato, necessitò di sostegni governativi che,
però venendo a mancare, ne segnarono la fine.
Dopo
un periodo di crisi economica e di impegni finanziari assolti dalla famiglia per
restaurare il palazzo gentilizio incendiatosi di via Nardones in Napoli (1798)
ed il dirupo castello, sconquassato dal terremoto del 1805 con gravi danni e
perdite di documenti ed oggetti dell’epoca, il sito culturale di Pescolanciano
tornò a “nuova luce” sotto la guida dell’ottavo duca Giovanni Maria
d’Alessandro (1824-1910). Gentiluomo di camera di Sua Maestà Ferdinando II,
per la sua sentita passione archeologica fu scelto dalla Corte napoletana per
dare ospitalità, tra il 1846-47, allo storico tedesco ed archeologo (poi premio
Nobel nel 1902) Teodoro Mommsen, durante la visita agli scavi di Pietrabbondante.
Il duca seguì con grande impegno ed interesse questi lavori di recupero di
resti monumentali sannitici, tanto da esserne nominato Sovrintendente Regio.
Questa passione per le “cose antiche” incoraggiò Giovanni Maria
nell’opera di completamento dei lavori di restauro del castello in
Pescolanciano. Tali interventi si conclusero nel 1849 con sostanziali modifiche
di alcune facciate ed ambienti interni tanto da trasformare l’antica struttura
fortificata nell’attuale residenza palazziata. La ben nota fedeltà di detto
duca alla dinastia borbonica portò il Casato ad estraniarsi dalla vita
politico-sociale del nascente Regno D’Italia a tal punto da far passare
inosservata alla nuova compagnie accademica l’attività poetica svolta dal di
lui figlio Alessandro d’Alessandro (1862-1943). Numerosi, infatti, furono tra
la fine dell’800 ed inizi del ‘900 i compendi poetici dati alle stampe dal
giovane d’Alessandro: “Modi Flebiles” (1894), “Epigrammi”,
“Bellezza fatale”, “Dall’ultima esperie” (1898), “Il
libero pensiero allo specchio”, “I 33 anni di Gesù” (1904),
“La macchina vivente” (1908).
Infine, il nipote
Mario (183-1963) figlio di Nicola M. III, fu, fin dall’infanzia, provetto ed
appassionato cavallerizzo ed intraprese, sin dalla giovane età, una esclusiva
collezione di carrozze e finimenti, che donò nel 1962 al museo civico di Villa
Pignatelli in Napoli in pieno accordo con il mecenatismo dei suoi antenati.
Nel rispetto di questa tradizione culturale e sociale, è stato fondato, nel 1966, il Centro Studi d’Alessandro, con il fine di valorizzare il maniero di Pescolanciano, nonché le aree monumentali regionali, così come la storia locale e quelle tradizioni socio-religiose molisane ormai in via di estinzione.