Dopo le storie di Vime contro le suore e il prof. Tibaldo, prosegue la saga a fumetti (e non) dei miei professori più strani. Questa volta tocca a Carlo Ambrosini.
Grazie a Facebook ho contattato alcuni miei vecchi amici
dell’Istituto Europeo di Design… e tra un ricordo e l’altro è
saltata fuori una mia foto con altri studenti e Carlo Ambrosini. Aver rivisto quella foto, mi ha fatto tornare in mente una
storiella che mi è capitata e che ho deciso di mettere per scritto. I
CONSIGLI DI CARLO AMBROGINI Una volta finito l’Istituto Europeo di Design, ero stato assunto
come assistente di computer grafica presso la mia stessa scuola, ma
ovviamente ero anche a caccia di un lavoro più stabile o magari altri
lavori come riempitivo, così, dopo aver passato in rassegna varie
agenzie pubblicitarie e alcuni editori, ho provato anche a chiedere un
consiglio anche al mio ex professore di fumetto, tale Carlo AmbroGini
che all’epoca disegnava alcuni albi di Dylan Dog. Dopo aver preso un appuntamento mi recai nello studio milanese di
Carlo AmbroGini dove lavorava insieme ad altri disegnatori. Nello studio giravano anche alcune signore e dei bambini (nipotini
di qualcuno) a cui Carlo AmbroGini stava insegnando come disegnare un
albero su un foglio da disegno. Mi era sembrato subito un ambiente
sincero e familiare. Poi sono andato con AmbroGini in una stanza con una scrivania dove
gli ho esposto le mie idee. In pratica non mi proponevo come fumettista, ma semplicemente come
soggettista, ovvero quello che propone l’idea della storia, che viene
poi elaborata dallo sceneggiatore e infine disegnata dal fumettista. Aprii una cartelletta e passai ad AmbroGini una mia storia di alcune pagine scritta qualche anno prima… in realtà non era una storia con Dylan Dog come protagonista, ma secondo me si poteva adattare bene. In
pratica era la storia di una setta, i cui componenti erano stati uccisi
e sepolti in un sotterraneo che poi era stato murato. A
distanza di molti anni, la casa viene venduta a una coppia di sposi e
casualmente il marito scopre il sotterraneo liberando così il primo
degli spiriti. In
seguito ad una festa dove gli sposi presentano la loro casa agli amici
ci saranno vari omicidi mascherati da incidenti, ogni omicidio serve per
liberare uno degli spiriti. La cosa
risulta sospetta e così la moglie decide di chiedere aiuto (a Dylan Dog
o) all'investigatore di turno che dopo aver risolto l'arcano e
passato alcune peripezie risolve il caso. La storia sembrava essere piaciuta a Carlo AmbroGini, ma aveva
alcune perprlessità. Carlo AmbroGini infatti, era un abile oratore, capace di incantare con le
parole (tanto bravo che se dovesse parlare con Mara Carfagna la
convincerebbe ad approvare i PACS domani stesso.) In pratica mi stava dicendo che la mia storia era buona, ma NON per un personaggio come Dylan Dog.
Secondo Carlo AmbroGini infatti, ogni personaggio dei fumetti
aveva una sua logica e una sua morale… La morale di Dylan Dog era
quella che il vero mostro non era mai il vampiro, il licantropo o il
fantasma, ma il VERO mostro era in realtà l’uomo o (più
genericamente) la società moderna. Ovviamente questo concetto che io ho esposto in quattro righe,
AmbroGini l’aveva fatto in mezz’ora, con vari discorsi e giri di
parole. Dopo questo bel discorsetto AmbroGini tira fuori dal cassetto una
sua storia e me la fa leggere. La storia era un'esperienza personale di AmbroGini intitolata "MARGHERITE": Ogni volta che AmbroGini andava al lavoro, passava davanti al cimitero monumentale e vedeva una signora che vendeva i fiori. Però questa signora aveva qualcosa di speciale e anche se AmbroGini non la conosceva la osservava tutti i giorni, a volte gli sembrava triste, altre volte gli sembrava allegra, a volte sembrava più giovane e altre volte più vecchia, a volte sembrava grassa e altre volte più magra. La morale ovviamente era che ognuno non vede gli altri per quello che
sono realmente, ma per come ce li costruiamo nella nostra mente.
(pregiudizio, desiderio, ecc) Dopo che io avevo letto la sua storia, Ambrogini mi dice che anche
quell’idea non era “buona” per Dylan Dog (per gli stessi motivi
spiegati sopra) ma che l’aveva scritta semplicemente per il piacere di
scriverla, anche se poi sarebbe rimasta chiusa in un cassetto. In pratica il consiglio di Carlo AmbroGini era di chiudere la mia
storia in un cassetto perché non era adatta a Dylan Dog, esattamente
come aveva fatto lui con la sua storia “Margherite” pur essendo un
professionista del fumetto. Il colloquio finisce, io e Ambrogini ci salutiamo e poi ognuno va
per la sua strada. Poi passano gli anni… faccio il servizio militare… trovo un
lavoro… e poi nel 1994 esce lo speciale Dylan Dog n°2 (o cosiddetto
Dylandogone) con all’interno una storia disegnata proprio da Carlo
AmbroGini, dal titolo “MARGHERITE” ovvero la stessa storia scritta
da AmbroGini ma con Dylan Dog come protagonista. Ma come??? Secondo AmbroGini questo tipo di storie non era adatta
per Dylan Dog… non c’erano gli elementi necessari, non c’era
questo, e non c’era quello, e soprattutto non era una storia scritta
APPOSITAMENTE per il personaggio in questione. Subito ho pensato che i consigli di alcuni professori (come mi era
già capitato in passato) non erano altro che carta igienica pronta
all’uso e che in realtà cosa è giusto e cosa è sbagliato NON lo
decidono loro. Senza contare che a distanza di alcuni anni uscì un altro numero
di Dylan Dog dove una squadra di calcio vissuta 100 anni prima, voleva
tornare a vivere grazie a dei sacrifici umani, proprio come nel racconto
che avevo proposto IO ad AmbroGini anni prima. Il soggettista non era AmbroGini e ovviamente non mi era stata rubata l’idea, ma la storia era davvero molto simile. Perché allora secondo AmbroGini il mio soggetto non andava bene e poi ne è stato pubblicato uno quasi identico? Sarà mica che tutte le sue teorie sulla “morale del personaggio” sono bypassabili, quando le idee vengono meno? (e soprattutto se ad approvare le idee non è lui) E se il vero mostro fosse sempre l’UOMO anziché il vampiro, il
licantropo, ecc. (come sostiene AmbroGini) non sarebbero trame di una
banalità e ripetitività sconvolgente? Nel mondo lavorativo, soprattutto quello italiano,
l’approvazione di una storia, di un progetto o di un’idea dipende
quasi esclusivamente dalle conoscenze e dagli agganci, piuttosto che dal
vero valore del lavoro… (come spiegato bene in Dylan Dog n°285
Il
ladro di cervelli, dove dei creativi a corto di idee, fregavano idee
innovative dal cervello di persone qualsiasi, che però non avevano i
mezzi per pubblicarle.) Grazie per quello che mi ha insegnato prof. Un caro saluto. Stefano Vimercati
|