DICHIARAZIONE MUTOIDE NUMERO TRECENTOTRENTATRE

E fu così che i mutoidi non vollero sapere più nulla dei pianti dei piatti di Pieraccioni e dei panni sporcaccioni, del latte ventriloquo, inutilmente versato, degli occhielli un pó lucidi delle calzature rinate ai crucci della luce dispotica, degli accenti commerciali e dei pediluvi universali in plenilunio, dell’acqua che rende stupidi anche i sassi, delle ancore innamorate che si ripresentano al punto in cui le abbiamo lisciate, degli anaconda velenosi e pettegoli.

Confusero il lutto con il Lotto, le andate con i ritorni, l’indiscernibile pappa reale con l’anarchica coccoina, il fulmine idrofobo con il fulmicotone idrofilo, l’aceto con l’acetone, gli accenti dell’Ace con i peccati incancellabili, le grandi labbra con il silenziatore assoluto.

Rinunciarono all’euforia, al rumore, alle pasticche de Re Sole, alle cose che fanno tendenza. Di giorno si confusero tra i sempliciotti e contadini presepietti di tempi presenti. Di notte congiurarono con il plumbeo fantasma del pretendente e spodestato piuccheperfetto contro l’imperativo assoluto dominatore di strisce gialle, parcometri, pianeti, prebende, riccometri, satelliti, circonferenze e corsie preferenziali, dischi orari, centrifughe, compassi e matte del mazzo.

Abbandonarano i sette cacciavite dei Pellacani alle sviste dei pellicani orbi di botte e bottini, gli squatters analcolici ai bitters amari, le frange scompigliate delle bionde armate alle squadre immobili superdotate di eterne ed erette righe "t".

Ritoccarono i baffi alla giuliva oca Gioconda. Da spie professioniste finsero di ignorare l’unica salvia di salvezza. Restaurarono le pezze sulle camicie, la catena appenninica delle pizze da asporto, il gusto di lascivia con solo della saliva. Accompagnarono il sofferto soffritto nelle magie della cipolla Lolita giocatrice capricciosa che combina cose improponibili in una odissea nelle spezie di una generazione perduta e sognatrice.

Difesero i mobili di sangue blu dai condonati conati della sega elettrica, le spume al gusto del Tamerlano dalla nuova glaciazione di ghiaccioli al tamarindo. Accusarono nuovi dolori ai colpacci, il furore degli zeri bucati e la solitudine della radice quadrata della sola liquirizia sputacchiata e sparacchiata dalla Grande Bocca di un Bacco in preda al delirium tremens.

Inneggiarono alla sciatica baldanzosa del dottor Balanzone e alla prostata propositiva di Pantalone. Parteciparono ai trasecolanti finesecolari traslochi di travestiti aviotrasportati e subitamente autogettanti. Ormai senza fronti e fortini o frontiere da difendere si precipitarono a pisciarsi addosso in una pausa autoarticolata, con il silenziatore.

Si giocarono a campionati di pugnette il feroce ragno di Iberna, in ibrido cashemire; si astennero da mettersi le date nel naso per il semplice motivo che tutti i calendari scordati a casa erano uguali e impercettibili; fucilarono in massa le sedie elettriche in nome della rivoluzione di quelle eclettiche con le quali cagare seduti sui campi inviolati.

Violentarono una madonna cannone lacrimante fondi di caffè e diesel imbestialito; lamentarono la fuga notturna, e a capriole, dalle proprie cantine, dei cotechini in pigiama caduti in disgrazia, e ormai, senza visto. Azzopparono tutti i malcapitati e malaugurati Malaguti, esclusi i presenti sempreverdi. Ricusarono i capitali stranieri che aggiravano le barriere ben disposte dai portieri, i pallonetti a forma di capitelli, i capitoli colpiti ed i pali mai letti delle difese lente e spregiudicate, gli appelli di Apelle e le intemperanze, ad effetto, dei suoi figli clonati e illegittimi.

Fecero una smorfia alla regola che vuole che i goals segnati in trasferta valgono il doppio, soprattutto se pesanti. Schivarono gli sci e le pozze, le fuoriserie in processionaria e i buchi neri di tacco, i cocci delle palle scoccinellate sui vetri cotti, i rimpalli e i rimbalzi dei tunnel, i sobbalzi di Borsa e i soppalchi predatori eternamente in caduta libera. Presero a costellazioni di sputi da corsa le auto agitate che non volevano suicidarsi con i loro gas di scarico.

Travestirono i fischi da fiaschi, Formentini da formentone, Olivia Newton John da spinacio, John Travolta da tavola, Bocelli da uccello simpatico, tutte le olive del mondo da parole olivastre e grappoli d’uva, tutte le tette pari da tute bleu, i galattodi da galeotti, le cornacchie da cornamuse, le pernacchie perniciose da vernici, le matrone ovovipare da distinto e maramaldo marrone. E le cuocettero a fuoco lento, felici e contenti del loro way of life.

GENNAIO 1999

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