21 marzo 1999

Basilica di Bagnolo
Quarto concerto di Primavera

In questo primo giorno di primavera ricordiamo tutti i giovani che ci hanno lasciato nell'attesa di incontrarli nella luce

Primavera forse
Forse nell'aria intorno non brilli più, e nei campi arati, con ottuplice esattezza, più non esulti come ai tempi non lontani della fame vinta con fatica, senza veleni.
O forse è la piccola isola a doppi vetri che i figli fuggono lungo la notte a distruggere la profondità dello sguardo ormai stanco. Noi non sappiamo più, dolce Primavera, se il latte è fatto da mucca o di quote e non c'è risposta alcuna agli sportelli anonimi della banca intesa dei nostri sogni, al fast food della nuova conoscenza veloce. Forse è Primavera: praterie immaginarie comunque ci incalzano e cavalli che corrono liberi, la nuova frontiera del mondo che sempre rinasce, il sospiro delle stelle che si adunano nel cielo a miriadi; anche noi ritorniamo oggi a tessere l'encomio della Primavera che ogni anno inanella il tronco largo della vita.
Corrono a fiumi sulla striscia d'asfalto automobili che non fanno poesia, belle solo tra spot e tra di loro: ti liberano il tempo cosė come lavastoviglie che non fa rima con niente; più tempo in affanno per aver più tempo libero, perché?
Primavera: palpita ancora inesorabile alle gemme la vita che non si spegne.
L'albero cui tendevi
Rimane ancora qui la tua presenza: l'albero cresciuto cui tendevi la mano, la tastiera fredda che tace e il campo dei giochi con la palla in corner colorata e immobile; tutto rimane: la somma esatta e inesorabile dei sogni, il grande poster, e l'oggettistica di morte, i doni dei nonni per le previste iniziazioni della vita.
Siamo ancora qui, a vigilare il seme che muore con lacrime di carestia e tentazioni di visionari. Quando la tua voce risuona nei labirinti della nostra mente rivediamo i tuoi occhi di cervo ferito e il sorriso dovuto alle labbra della giovinezza.
Lasciarti è stata la nostra fine del mondo, il nostro domani per fuggire sui monti e abbandonare la macina che gira; lasciarti è stato per noi come la città abbandonata e la carrucola caduta nel pozzo.
Lasciarti è stato il nostromondo senza Ulisse e senza eroi, senza miti e senza poemi, è stato la nostra Auschwitz quotidiana: non ci resta che il Cristo doloroso sul calvario dei dubbi e delle notti agitate dai sensi di colpa. Non ci resta altro che una compassione senza limiti per le ferite del mondo.
Non ci resta che il pane spezzato.
Nomi scritti
Sergio, Alberto, Elena, Chiara, Alvise, Francesco, Giulia, Roberto, Giovanni, Giacomo, Maria, Lucia,... i vostri nomi sono scritti in questo infinito azzurro di Primavera che tutti cerchiamo con caratteri di vento e musica di pace. I vostri nomi stanno scritti nell'invisibile silenzio di un Dio che parlando tace e che, principio e fine, nulla abbandona di quanto ha generato. Con voi tessiamo l'elogio alla creazione che passa e si rinnova; non ci ferma al pianto duro che come scrosci d'acqua irriga i solchi.
Abbiamo appreso l'infinita arte del pessimismo che non basta a significare l'attesa di una madre e l'affanno d'un padre. Abbiamo appreso con voi l'infinita arte della promessa che si compie. E siamo qui a vegliare, sentinelle al gelo della notte; siamo qui a coltivare la speranza che non muore, in fondo ai vasi quasi asciugati dalla tragedia di vivere.
Noi restiamo qui in piedi come ogni madre alla croce a pretendere con la flebile voce dei poveri il compimento delle promesse. Vogliamo che sia consolato chi piange, liberato chi č prigioniero, ascoltato chi bussa, perdonato chi perdona; noi vogliamo con la forza che un Dio ci ha donato. I vostri nomi abbiamo letto in un cielo di speranza.
 

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