Poeti della Luce

Poeti e scrittori per passione

Quella di cui nessuno si accorge - racconto - di Jordian

Anni or sono mi venni a ritrovare testimone nolente d’un avvenimento unico nel suo genere.
Mi trovavo in banca per depositare quel poco denaro che tenterà di cullare la mia vecchiaia. Provvedo personalmente alla lenta edificazione della mia pensione e potete star certi Signori miei che se realmente pensassi di poter condurre una vita al suo decoroso termine col solo aiuto di un’elemosina statale allora io non mi ritroverei qui tutt’oggi ancora.
Mi darò a quei viaggi che fino ad oggi ho intrapreso solo con la mente per pigrizia e mancanza di fondi e per farlo mi accingo adesso come
allora a prender posto in interminabili file innanzi ad uno sportello abitato quasi sempre da svariate forme di maleducazione in giacca e cravatta.
Adesso ditemi, che colpa ho io se le banche son costruite in modo tale che per assicurare la privacy mia e la vostra prevedono solo la pittura di una fetente striscia per terra, la presenza di un cartello con su scritto “Non oltrepassare” e nulla più?
Ah! Io non l’ho mai superata questa linea dell’etica. Dato che mai ho nutrito desiderio di oltrepassare lo stretto confine degli affari miei. Ma perché nessuno mai ha pensato nel
vero rispetto di un’autentica privacy di costruire semmai banche più larghe? Si più larghe, avete sentito bene signori miei, in modo da non dover necessariamente sentire le operazioni bancarie di quel povero diavolo che abbiamo accanto invece d’aver di fronte? Eh si ! Nell’altro sportello alla nostra sinistra oppure alla nostra destra intendo. Fu difatti li alla mia sinistra che io fui costretto ad ascoltare ciò che ascoltai e non di fronte come la nostra bella società crede superficialmente di dover vietare.
Lì io ebbi piacere di conoscere indirettamente un singolare individuo. Un rapitore di banche.
Un assassino? Un uomo senza
cuore? Un violento ed assiduo frequentatore di carceri?
No signori.
Un intellettuale. Un rapinatore di banche di categoria riflessiva.
L’uomo sulla quarantina indossava un’impeccabile abito grigio atto a dar risalto ad impeccabili e signorili movenze da gentiluomo ed era anche lettore del Corriere di cui possedeva una personale copia in bella mostra. Possedeva un bel paio di baffi neri oltre ad un curioso rispetto del turno altrui che lo faceva attendere urbanamente con il suo numeretto in mano.
La sua ordinata capigliatura brizzolata lo faceva apparire come un ingegnere o meglio un insegnante di letteratura in procinto di incassare
il suo assegno. La sua posizione nella fila risultava parallela alla mia cosicché ebbi modo di notarlo molto prima ch’egli giungesse al termine del suo turno. Subito egli mi incuriosì a causa di un rapido tic che lo costringeva sovente a grattarsi il naso. Codesto tic era però decisamente inusuale, l’uomo non si grattava il naso come di solito lo vediamo grattato sulle facce altrui o sulla propria, egli operava sul suo naso un movimento da ragno molto simile a quello che noi facciamo tamburellando con le dita sul tavolo quando non abbiamo null’altro da fare o come quando i bambini per trastullarsi emettono suoni idioti facendo trottare le proprie dite sulla labbra. Una raffica di colpi in sequenza ritmica che quasi lo facevano sembrare il folle batterista del naso suo.
Capii che era fondamentalmente un ansioso reso ancor più nervoso (ma questo non potevo ancora prevederlo) dall’evento che risoluto si accingeva a compiere.
Dopo esser giunto di fronte all’impiegato dello sportello gli mostrò il numeretto come testimonianza del possesso di un’incontestabile onestà morale e gli comunicò su due piedi ciò che in me produsse un immediato quanto vano timore.
- Buongiorno buonuomo – gli sorrise sostenendosi su una
gamba tremante.
L’impiegato alzò gli occhi incorniciati da pesanti occhiali su un viso magnificamente sbarbato. Lo osservò un po’ incredulo riassettandosi la cravatta beige a pallini rosa. Era evidente che non era abituato a sentirsi salutare in quel modo né sul lavoro né altrove.
- Buongiorno a lei! – lo ricambiò con sorriso giubilante.
L’apprendista rapinatore insistette nel sottoporre il suo numeretto all’attenzione dell’impiegato ponendoglielo con una certa grazia sotto al naso. Quanto al suo di naso, cominciò a suonarlo senza più ritegno alcuno.
- Oh si, si vedo – sorrise l’impiegato in preda ad un divertito imbarazzo
– prego mi dica pure.
Rimasi estasiato, forse l’impiegato era educato di suo oppure il rapinatore con una sola frase era riuscito nell’impresa di renderlo tale.
- Questa è una rapina – gli comunicò brevemente e gravemente l’assurdo fuorilegge a bassa voce.
Tra i due scese il silenzio più assoluto. Si pietrificarono come statue marmoree guardandosi perplessi negli occhi spalancati.
Continuavano a fissarsi silenti in attesa di non si sapeva bene cosa e nella totale indifferenza che attorno regnava.
- Che c’è? – chiese finalmente il rapinatore spazientito.
L’impiegato rimaneva perplesso e stralunato.
- C’è che forse non
ho capito quello che ha detto – confessò.
Voltandomi mi lasciai sfuggire una lievissima risata colta con disappunto dall’anziana signora alle mie spalle. Mi volsi nuovamente col timore d’esser stato notato dalla coppia.
L’ansia del rapinatore cresceva a dismisura, a pagarne le spese era il suo naso grattato sempre più di frequente.
Forse stava già considerando l’idea di desistere dall’impresa. Ricordo che in quel momento sperai di cuore che così fosse. Lo sperai per lui.
- Ho detto che questa è una rapina! – sussurrò a denti stretti.
L’impiegato si sollevò dalla sedia e cominciò a scrutare con un
rapido movimento circolare della testa tutti gli altri sportelli occupati dai suoi colleghi.
- Dove? – chiese ingenuamente credendo che l’altro lo informasse di una rapina in corso che per qualche motivo non riusciva a vedere.
- Come dove? Qui! – rispose il rapinatore con stizza indicando il suo stesso sportello.
L’altro sorrise inarcando le sopracciglia.
- Ah si? - gli chiese simulando una spaventata meraviglia.
Mi guardai intorno, nessuno sembrava accorgersi di ciò che avveniva. Un gruppetto di personaggi discuteva amabilmente degli affari propri in mezzo alla sala vicino al lungo tavolo dove alcuni individui compilavano distinte e
documenti. Pacatamente tutti attendevano il proprio turno producendo quel tipico brusio che copriva le singole conversazioni facendole confluire tutte in un unico indistinguibile cicaleccio. Attraverso le porte a vetri vidi la guardia che lungamente sbadigliava. Lo faceva con tale gusto e fiera spontaneità che non ci si sarebbe stupiti più di tanto se persino la sua pistola chiamata in eroico intervento avesse preferito sparare anch’essa sbadigli al posto di pallottole.
Il tabellone dai numeri rossi continuava a contare ed a suonare din don.
Sentii il rapinatore parlare deciso.
- Non faccia lo spiritoso egregio signore, è mio dovere dirle
che sono armato. Avanti tiri fuori i soldi e si sbrighi.
L’impiegato sorrise d’un espressione quasi rassegnata, come di chi possiede troppa esperienza per meravigliarsi ancora delle stranezze umane.
- Sicché lei sarebbe un rapinatore? – gli chiese con ironia.
Il rapinatore rispose d’istinto.
- E lei sarebbe un impiegato di banca? Con quella cravatta? Bah! Mi permetta di dirle che una volta i veri impiegati di banca erano in grado di vestirsi decentemente. Fuori i soldi non mi faccia perdere tempo.
L’impiegato assunse un aria più severa.
- Vada a casa, non faccia perdere tempo lei a
me – lo ammonì serio e risentito.
L’espressione del rapinatore era di chi s’attende già d’esser perennemente deluso dall’intera umanità e dai suoi atteggiamenti.
- Se fossi entrato sventagliando mitragliate all’impazzata ed urlando come un folle di consegnarmi tutti i soldi mi avrebbe creduto? L’avrebbe ritenuto più convincente?
- Sarebbe stato più verosimile. – ammise l’altro.
Il rapinatore si suonò il naso stizzito e contemporaneamente con l’altra mano puntò l’indice contro se stesso.
- E lei crede che io sia così stupido? Non ci tengo affatto a teatrare una simile caciara, lei è infarcito di pregiudizi e luoghi
comuni in merito alle modalità di furti in banca. Il semplice fatto di rendersi visibili facilita enormemente il fallimento di una rapina. Spari, urla, aggressioni, ostaggi come nei film? Bah! Che banali sciocchezze! Corbellerie! Il baccano è la prima causa d’arresto dei rapinatori di banca. Ha mai visto lei un ladro di automobili gridare a pieni polmoni “Fermi tutti! Questo è un furto d’auto!”? Nossignore non si è visto mai. Allo stesso modo dovrebbe essere condotta una rapina in banca. Con silenzio, self control, invisibilità e pacata precauzione. Questa è una banca non è un’osteria.
Lo osservai mentre infervorato
esponeva le sue tesi. Giudicai l’uomo come un fine ragionatore.
- Ma sa che lei è un bel tipo? – rise di gusto l’impiegato – lei si ritiene superiore ai suoi colleghi?
L’altro gli si avvicinò flettendosi sul bancone con un significativo sorriso.
- Vuol sapere la verità? Si! Ritengo che sia così. Si guardi intorno, quanti si sono accorti che vi è in corso una rapina eccetto lei?Lascio il chiasso a chi di solo chiasso s’intende. Ai miei volgari “colleghi” come lei impropriamente li ha chiamati.
- Ha inventato una nuova rapina eh?- chiese l’altro sorridendo
per nulla intimorito.
- Esatto! Quella di cui nessuno si accorge – esclamò con gioia il rapinatore – Una rapina ai danni del suo solo sportello. Tiri fuori i soldi o potrei perdere la pazienza.
L’altro si sistemò sulla sedia con l’aria di chi vuol far sapere a tutti che ha tutto il tempo da perdere che si vuole.
- Non l’è venuto in mente che occorre una pistola per farsi consegnare i soldi in simili frangenti?
Il rapinatore sorrise con divertita superiorità.
- Le ho già detto di essere armato. Lei pensava forse che contassi sulla sua
generosa cooperazione?
Il burocrate si divertiva un mondo.
- Armato di buona volontà? – chiese sorridendo come se si trovasse di fronte ad un patetico ragazzino.
Il rapinatore smise di sorridere, smise definitivamente anche di suonarsi il naso. Lo vidi gonfiarsi di ferito ed autentico orgoglio, piegare amaramente le labbra in un ghigno d’ira faticosamente repressa. Gli occhi lanciavano fiammate degne di quella stessa pistola che il burocrate gli rinfacciava di non possedere.
D’improvviso la sua figura non mi diede più la sicurezza d’un limite non oltrepassabile.
Pensai in quei secondi che potesse seriamente rapinare l’intera banca con la
sola potenza dello sguardo.
Guardai l’uomo allo sportello e mi avvidi che anch’egli cominciava lentamente a cambiare idea.
A denti stretti il rapinatore posò il suo giornale sul bancone continuando a fissare l’impiegato con terribile cipiglio. Lo fece tenendo la mano nascosta all’interno dello stesso giornale. Solo in quell’istante mi avvidi che lo aveva tenuto tutto il tempo a cavallo del braccio destro, un po’ come un buon maggiordomo tiene il suo tovagliolo.
Al pesante contatto del bancone quel giornale non produsse il suono di carta che avrebbe dovuto. Risuonò invece deciso un massiccio rumore metallico.
Proprio sotto il
naso del burocrate egli ne sollevò rapidissimo un lembo e subito lo lasciò cadere.
Io non riuscii a scorgere nulla in quanto lo stesso giornale ne copriva la vista , ma qualunque cosa l’impiegato ne scoprì all’interno riuscì nell’immediato intento di fargli perdere la voglia di scherzare.
E’ straordinario quanto la presenza di armi da fuoco riesca ad eliminare il senso dell’humor sia in se stessi che negli altri. Sembra proprio che alle pistole non piacciano gli scherzi e viceversa.
L’impiegato ed il suo umorismo si misero di comune accordo e chiamarono in causa un’improvvisa serietà.
- Non occorre tenerla
ancora sul bancone per favore. Specialmente se me la punta contro – balbettò il burocrate senza riuscire a staccare gli occhi di dosso al giornale.
- I - so - ldi. – sillabò chiaramente il rapinatore come a voler dire che questa era la premessa principale per togliere la pistola di mezzo.
Il burocrate si arrese ed aprì la cassa.
- Ok, mi passi il sacchetto – gli disse.
I due ritornarono a fissarsi in feroce silenzio come a voler continuare la scena interrotta in precedenza.
Il rapinatore inarcò talmente le sopracciglia fino a congiungerle tremanti sulla sommità di quel
naso che aveva ricominciato a suonarsi. Vidi rivoli di sudore scendergli dalle tempie.
- Quale sacchetto? – chiese incredulo ed aggressivo allo stesso tempo.
Mi voltai per controllare che nessuno si fosse ancora accorto di ciò che accadeva già da svariati minuti. Tifavo inconsciamente per la buona riuscita della rapina e temevo che il suo autore la stesse decisamente tirando per le lunghe. Nessuno sembrava interessarsi di quello sportello, notai come negli altri sportelli la gente la tirasse comunque per le lunghe pur non essendo intenzionati a rapinare la banca.
- Come quale sacchetto? – chiese sconfortato l’impiegato.
Sembrava
in preda ad una delusione tale da farlo piangere maledicendo quel destino che gli aveva mandato un rapinatore di tal fatta.
-Di quale maledettissimo sacchetto parla? – finse di urlare il rapinatore con rabbia raddoppiata.
- Del sacchetto che le occorre per metterci dentro il denaro! – rispose l’altro oramai disgustato da un tale dilettantismo criminale – di quel sacchetto che nei film è sempre nero!
- Ma Santo Iddio! – strepitò l’altro – non mi vorrà dire che voi non avete un fetente sacchetto qualunque? Siete una banca con milioni di Euro e non avete un sacchetto
?
Cercai intorno con lo sguardo un qualunque cestino per l’immondizia od un contenitore qualsiasi per far terminare quella che ormai mi sembrava una rapina impossibile. Non ne vidi alcuno.
- Noi non prevediamo nel bilancio voci di spesa per l’acquisto di sacchetti da rapina! – gli spiegò sommariamente l’impiegato - lei è il primo rapinatore senza sacchetto da quando abbiamo avuto il piacere d’aprire la banca.
Il rapinatore si sporse in avanti come a voler controllare qualcosa alle spalle dell’impiegato.
- Un cestino maledizione! Un maledetto cestino della spazzatura.
- Non mettiamo sacchetti dentro i cestini! Sono senza. - precisò
l’altro con crudeltà come a dire che ben gli stava.
Il rapinatore cominciava già a vedere l’intero mondo attraverso quelle sbarre di prigione dove sarebbe con ogni probabilità andato a finire. Sudava ad ogni suo movimento in preda ad una fretta spasmodica ed incontrollata.
Il naso se lo suonava a pieno regime.
- Naturale! Figurarsi se voi bancari facevate qualcosa di prosaico come mettere un sacchetto dentro un cestino della spazzatura. Ostruzionismo bello e buono ecco cos’è! Prevenzione anti- crimine che non vi costa una lira maledetti taccagni. Mi dia il cestino.
- Ma è impazzito? – chiese
d’istinto l’impiegato battendosi la punta delle dita sulla fronte – se ne vorrebbe uscire di qua fresco come un quarto di pollo con un cestino della mondezza sotto al braccio? Non si è visto mai. Non avrebbe scampo, il poliziotto la fermerebbe immediatamente.
- Mi dia il cestino subito o le sparo e la lascio lì secco come un chiodo sa? – lo ammonì l’altro guardandolo torvo.
Stavo per intervenire per indurlo alla calma e per offrirgli la mia stessa borsa, mossi un passo verso di lui quando lo vidi riflettere di improvviso senza più rabbia alcuna.
-
Ma quanti dannati soldi ha in questa cassa? – chiese come in procinto di giungere ad una felice soluzione.
L’impiegato per due secondi fissò con lo sguardo un punto nel vuoto, poi principiò a contare veloce.
Nel frattempo il rapinatore si guardava intorno con impazienza. Non avrebbe potuto star lì ancora per molto, un uomo col numeretto in mano aveva cominciato a fissarlo in attesa del suo turno.
- Eh si sbrighi dannazione! – comunicò al burocrate con astio.
- Un attimo, un attimo! Sto contando…non mi faccia perdere il conto. Ho quasi finito.
- Quant’è , quant’è? –
incalzò il rapinatore senza ascoltarlo.
- Si ecco – proseguì l’altro dopo essersi umettato il dito ed aver frullato con destrezza le banconote – dodicimila Euro.
- E lei mi fa scervellare per dodicimila Euro? – lo accusò il ladro – Da quando in qua dodicimila euro non entrano comodamente nei pantaloni?
Il burocrate rimase perplesso, sembrava non aver riflettuto seriamente su questo punto.
-Già…- concluse con sguardo assente come parlando a se stesso.
- Presto, presto mi dia tutto quanto. Comunque c’era anche la possibilità di incartarmeli i soldi, non è assolutamente necessario questo suo famigerato
sacchetto.
- Dove si crede di essere in una macelleria forse?
Il rapinatore continuava a voltarsi controllando di tanto in tanto l’uomo che attendeva spazientito col numeretto in mano. Sorrisi quando mi accorsi che il burocrate gli stava ricontando i soldi sopra il bancone.
- Ma che fa me li conta? – ruggì il rapinatore a denti stretti.
- Oh, mi scusi, abitudine …
- Dia qua – l’altro gli strappò via le banconote dalla mano – e si risparmi le formalità.
Si infilò veloce i soldi nelle tasche.
- Arrivederci - tagliò corto il ladro preparandosi ad
uscire.
Il burocrate lo fermò col panico che gli si leggeva sul volto.
- Ma che fa se ne va via così? – chiese col viso atteggiato ad una richiesta di pietà.
- E cosa vuole mai che faccia? Dobbiamo andare a prendere un caffè lei, io ed il direttore della banca?
Continuava a guardarsi intorno freneticamente.
- No – precisò l’altro – dovrebbe invece usarmi la cortesia di evitarmi l’arresto immediato.
Il rapinatore lo guardò con vaga espressione di sorpresa.
- Oggi stesso – proseguì l’altro – quando eseguiranno il bilancio si accorgeranno di certo che mancano
dodicimila Euro no?
- Si. Certo – confermò il ladro – e allora?.
- Bene. Si accorgeranno anche che mancano tutti proprio dal mio sportello. Mi accuseranno di averli rubati! – spiegò l’altro lasciandosi trasportare dalle proprie terribili paure.
Il rapinatore sembrò muoversi a pietà. Sospirò stancamente e con rassegnazione comprese che non avrebbe potuto andarsene in quel modo. Vidi che era dura per lui dover inaspettatamente continuare la rapina di cui nessuno si accorge quando essa era giunta al suo glorioso termine.
- Ma mio caro amico – disse dolendosi di ciò che egli stesso diceva –
cosa potrei mai farci anche se volessi tutelarla?
Il burocrate cercava di immaginarsi una possibile soluzione. Si costringeva a dar senso ai suoi pensieri in balia del panico più assoluto.
- Non so…dovrebbe in qualche modo…che so io…avvisare la direzione che io non c’entro niente. Che non è colpa mia la prego!
- Si, così in galera ci vado io. Bella questa! – sbottò il ladro.
L’altro era posseduto malamente dalla necessità di convincerlo, di doverlo persuadere ad ogni costo.
- Ascolti – disse con pena – nelle altre rapine normalmente tutti sanno chi è il rapinatore. Quest’ultimo
di norma grida tenendo in mano una pistola e minaccia sotto la vista di tutti di farsi consegnare i soldi senza opporre resistenza. Questo caso è differente!
Il rapinatore sorrise d’orgoglio malcelato. Oh si! Ci si poteva giurare che era differente questo caso.
- Qui nessuno sa chi è il rapinatore – continuò il burocrate – non sanno neanche che vi sia stata una rapina in corso mentre tranquillamente attendevano il proprio turno o servivano i clienti. Lei ha pensato bene di eseguire tutto nel silenzio più assoluto!
Il ladro inorgogliendosi sempre più gli si avvicinò guardandolo con una
nuova curiosa espressione.
- Ma non era lei stesso forse a dileggiarmi ed a farsi beffe della mia eccentrica rapina? – gli chiese con un sarcastico sorriso accusatorio.
Il burocrate sbarrò gli occhi come ritenendosi ingiustamente accusato di una certa mancanza di rispetto.
- Oh no, no, la prego. Io ero solo perplesso di fronte all’indubbia originalità della cosa – si scusò con sincera apparenza – Io la ritengo un uomo di grande acume mi creda, forse mi son permesso di sottolineare alcune mancanze di…di…come dire? Pragmatismo ecco! Ma non mi sono fatto mai beffe della sua idea
di rapina…essa è molto originale, di ardua comprensione vede? Ecco…di difficile concezione.
Il rapinatore lo osservava con un sorriso amaro. Silenzioso e chiaro come il sole.
Talvolta non occorrono parole per accusare.
- La prego! – proseguì il burocrate quasi piangendo – non volevo mancarle di rispetto. Non vorrà che venga processato per un reato che non ho commesso? Io ho famiglia! Non mi rovini, non dimentichi che io in fondo l’ho aiutata spassionatamente. Chi dei miei colleghi l’avrebbe mai fatto?
- Giovanotto - si interpose l’altro velocemente – la sua spassionata cooperazione io non l’ho vista affatto, non diciamo
baggianate!
L’altro assunse la stravolta espressione di un prete costretto ad ascoltar bestemmie.
- Come fa a dire questo? – gemette aprendo sconsolatamente le braccia e guardandolo con amarezza - non ho opposto resistenza e Dio sa che avrei potuto farlo!
- Certo che avrebbe potuto – reagì prontamente il rapinatore - allo stesso modo io avrei potuto spararle e non l’ho fatto. Se lei non ha opposto resistenza questo è dovuto alla sola presenza di una pistola. E mi pare anche ovvio.
L’impiegato sembrò amaramente risentito al cospetto di tale ingiustizia . Lo vidi riflettere sforzandosi di trovare le ragioni
per demolire quel ragionamento.
- In questo stesso momento dicendole che deve sbrigarsi ad andarsene prima di attirare su di se l’attenzione, io l’aiuto come altri probabilmente non farebbero mai. E non è la prima volta che glielo dico. Questo mio consiglio non ha niente a che fare con la sua pistola!
L’impiegato non aveva tutti i torti considerato che ciò che diceva era materialmente evidente, il ladro doveva andar via, l’uomo che dietro di lui aspettava il suo turno era adesso pericolosamente vicino e desideroso di incrociargli lo sguardo.
- Inoltre non ho mai premuto il pulsante.- proseguì
fissandolo intensamente .
- Che pulsante? – domandò il ladro giocando la parte del finto tonto.
- Non mi venga a dire che non sapeva del pulsante d’allarme sotto il tavolo. Lo sa benissimo. E’ un qualcosa che sanno anche i bambini – lo attaccò l’impiegato con l’impressione di volersi lanciare in una lunga polemica.
- Va bene, va bene – si scusò l’altro mettendo le mani in avanti e battendo in ritirata - le concedo il riconoscimento di una certa collaborazione.
Il burocrate non sembrò rallegrarsene affatto.
- Deve andare via di qui e tutelarmi, fra poco la
scopriranno – lo incalzò – vada via oppure mi metto a gridare!
Lo vidi riempirsi i polmoni di volontà, guardarsi poi intorno con atteggiamento minaccioso.
- No! No! – finse di urlare il ladro per frenarlo – per carità non gridi! Va bene ho trovato il modo di tutelarla mi ascolti…adesso io mi incammino verso l’uscita, ma mi fermerò poco prima di uscire in modo che il vostro tarchiato tutore dell’ordine lì fuori non senta ciò che ho da dire qui dentro.
L’impiegato lo fissò incuriosito.
- Dire? Dire cosa? – chiese.
Il ladro rispose al suo sguardo.
- Dirò “Questa è una rapina”. Che altro dovrei dire?
Rimasero qualche secondo in silenzio fissandosi i nasi. Il naso del rapinatore vedendosi osservato costrinse il suo padrone a grattarlo per l’ennesima volta.
- Lei vuole dire “Questa è una rapina”? – chiese l’impiegato leggermente spaesato.
- Esatto. Mi sembra anche che sia un classico nel linguaggio criminale no?
- Si ma…vuole dire “Questa è una rapina” alla fine della rapina? Di solito si dice all’inizio. – gli ricordò.
- Beh…che differenza vuole che faccia? – rispose il ladro con disinvoltura – all’inizio, alla fine, bah. In tutta
onestà io non avrei dovuto dirlo ne all’inizio ne alla fine, non avrei dovuto dirlo affatto durante la rapina “di cui nessuno si accorge” ma…beh...meglio alla fine che all’inizio comunque non crede?
L’impiegato non rispose. Il suo viso esternava una gigantesca perplessa incomprensione ed anche la presenza di giustificati dubbi in proposito.
- Facciamo così – incalzò il rapinatore spinto dall’espressione facciale del suo interlocutore - io dirò “Questa è una rapina, ma è appena terminata!” dopodiché me la darò a gambe. Che ne pensa?
L’altro confermò debolmente con dei leggeri segni del capo.
- Beh…si…non è
malaccio…- in verità non sembrava affatto convinto.
- E mi sembra che così lei non dovrebbe correre alcun rischio o mi sbaglio? – chiese il ladro assetato di risposte.
Il burocrate ci pensò su un attimo.
- Credo di si. Se lei lo dice ad alta voce in modo che tutti sentano, allora la mia innocenza dovrebbe essere al di sopra di ogni dubbio. Non potrebbe mostrare anche la pistola mentre lo dice?
- Non le pare di pretendere troppo? – lo rimproverò il ladro – guardi che non ho nessuna intenzione di farmi riconoscere, la frase verrebbe
detta mentre sono in corsa e coprendomi il viso col giornale. In questo modo però la gente potrebbe ricordarsi del tipo di pistola. Le pistole sono cose difficili da dimenticare.
- No, ma era così sa…- si giustificò il burocrate - per rendersi più credibile. Non vorrei che pensassero ad uno scherzo, con la pistola sicuramente si sarebbero fatti un idea più seria.
- Oh si! – risposte sarcastico il ladro - anche il poliziotto vedendomi uscire con una pistola in mano si farebbe un’idea sicuramente molto più seria di me.
L’altro s’affretto a rinunciare alla proposta senza astio.
- Giusto, giusto…per carità, ha ragione lei, senza pistola è meglio.
La persona che mi stava di fronte aveva finito le sue incombenze finanziarie e quella fu la prima e l’unica volta che provai dispiacere per l’inaspettato arrivo del mio turno in banca. L’impiegato del mio sportello che parzialmente potevo intravedere dietro le spalle del mio predecessore mi invitava visibilmente ad avvicinarmi con la gestualità dello sguardo. Era evidentemente stanco anche lui d’aver a che fare con la stessa persona da troppo tempo. Mi avvicinai ancora prima che l’altro cliente fosse andato via.
- Prego, desidera? – fece il
burocrate con modi spicci e sbrigativi.
Presentai il mio numeretto.
- Ah già! - disse lui piegandosi verso il pulsante collegato al tabellone facendo scattare il numero successivo.
- Un deposito per favore – mostrai la carta d’identità voltandomi verso sinistra per controllare come proseguiva la rapina.
Il rapinatore continuava a garantire che tutto sarebbe andato per il meglio e che l’altro non avrebbe avuto nulla da temere.
- Allora, che ne dice, mi fa andare via si o no? – chiese all’impiegato con un certo fastidio evidente nel tono della voce.
L’impiegato sembrava sempre più dubbioso col passare
dei minuti. Ogni volta che l’altro tentava di muovere un passo verso l’uscita, egli allungava una mano con occhi spiritati come a volerlo trattenere nonostante non avesse nulla d’importante da dirgli. Rimaneva quindi a bocca aperta a guardarlo con un atteggiamento pietoso ed affamato di ulteriori rassicurazioni.
- Non abbia timore le dico! – ripeteva il ladro con veemenza – Non corre alcun rischio, sono io stesso a prendere responsabilità della rapina. Non faccia lo sciocco per Dio! Mi lasci andare!
- Si, va bene – si arrese l’altro – ma per carità non si scordi di dire ciò
che ha da dire prima di uscire.
- Non mi scordo nulla ci mancherebbe – lo rassicurava l’altro.
- Ad alta voce! – precisò l’impiegato sempre con gli occhi spalancati e con le gocce di sudore che gli solcavano il faccione.
- Ma si, ma si! Mi sentiranno non si preoccupi – confermò il ladro frettoloso d’andarsi a grattare il naso altrove.
Durante queste ultime battute finali egli cominciava già ad allontanarsi dallo sportello costringendosi pericolosamente ad aumentare il volume della voce per continuare nolente la conversazione con l’impiegato.
Quest’ultimo cercò di farglielo notare guardandolo torvo e ponendosi
con un gesto secco l’indice sulla bocca.
L’uomo che attendeva il suo turno dietro il ladro aveva assunto un espressione estremamente perplessa e stranita.
- Signore? – chiese l’impiegato del mio sportello.
Vidi il ladro voltarsi cercando di evitare di incrociare lo sguardo dell’uomo alle sue spalle. Quando si avvide che non poteva evitarlo, sorrise in modo smisurato e quasi si inchinò graziosamente
- Prego, prego si accomodi, scusi la perdita di tempo. – gli disse con un sorriso surgelato.
L’altro non rispose continuandolo a guardare con la sua espressione poco rassicurante.
- Signore? – insistette il mio
impiegato spazientito.
- Si? – feci io guardandolo ma cercando al contempo di tenere un occhio sulla scena alla mia sinistra.
Giudicò probabilmente molto stramba quella mia distrazione ed il mio modo di osservare.
- Quanto deposita? – chiese ad alta voce assicurandosi stavolta che io avessi udito.
- Duecento Euro grazie.
Misi il denaro sul bancone.
Mi voltai nuovamente in tempo per vedere il ladro incamminarsi barcollante verso l’uscita con l’aria di uno che aveva appena ammazzato la moglie.
L’impiegato lo seguiva con lo sguardo ricolmo di apprensione e di spasmodica attesa.
Egli quindi giunto alla porta
controllò che l’arma fosse bene nascosta sotto il giornale, prese il fazzoletto e si asciugò il sudore dalla fronte, ripose il fazzoletto e si grattò il naso, si guardò le spalle e scrutò l’ambiente tutt’intorno. Ritenutosi poi soddisfatto dell’anonimità che era riuscito ancora a mantenere ed in preda chissà a quanti e quali altri vortici di pensieri che gli attanagliavano la mente troppo indaffarata, egli afferrò la maniglia della porta, la spalancò ed uscì.
Senza neanche voltarsi indietro.
Senza dire una parola.
Rimasi esterrefatto. Mi voltai per guardare l’impiegato.
Lo vidi mentre osservava allibito le spalle del rapinatore allontanarsi
ed il suo mezzo busto discendere gradatamente verso il basso percorrendo quelle scale che lo portavano verso la libertà.
Quelle stesse scale avrebbero adesso portato l’impiegato verso la galera.
Quando il rapinatore scomparve lo sentii emettere un gemito che mi procurò una pietà mai provata prima. Mi commosse perché fu un flebile rantolo pieno di “o” come un lunghissimo “no” senza una N.
Un lamento prodotto senza muovere un dito ma con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati a constatare incredulo la tragica scomparsa dell’unica persona che avrebbe dovuto salvarlo. Lo sentii anche deglutire con la gola secca a
causa di tutti quei discorsi di raccomandazione che aveva eseguito fino a pochi istanti prima. Per due minuti interi non gli vidi muovere nessuna parte del corpo.
Si era tramutato in un impiegato di pietra.
L’uomo in attesa del suo turno si avvicinò allo sportello scrutandolo spudoratamente come a sincerarsi che fosse ancora vivo. Si piegò verso di lui cercando di incrociargli lo sguardo assente.
Non ottenne alcun risultato.
- Senta? – gli comunicò guardandolo negli occhi.
Nulla, l’impiegato non dava segni di vita. Guardava ancora fuori dalla porta in melodrammatico stato di trance.
L’uomo gli agitò una mano
davanti.
- Mi ascolta? Si sente male forse? – gli chiese con preoccupazione – vuole che chiami qualcuno?
Lo sguardo dell’altro cominciò a snebbiarsi lentamente. Osservò l’uomo come a volersi spiegare in qualche modo la sua presenza improvvisa.
- Ma che le piglia? – gli chiese l’altro.
L’impiegato andava tornando in sé.
- Nulla – rispose.
Si alzò dalla sedia la tirò indietro, vi poggiò poi un piede sopra e si issò sopra di essa con instabile equilibrio.
L’uomo lo guardava allibito.
- Signori! – gridò l’impiegato all’intera sala aggrappandosi al vetro dello sportello per stabilizzare il
movimento della sedia con le ruote.
Tutti i clienti e gli impiegati si voltarono verso lo sportello numero 5 chiedendosi cosa ci facesse quell’impiegato in piedi sulla sua sedia.
- Signori, ascoltate vi prego – proseguì egli a voce alta – siamo appena stati vittima di una rapina.
Tutti si misero a mormorare in evidente stato di tensione voltandosi in tutte le direzioni. Alcuni continuavano a fissarlo inerti spalancando la bocca senza ombra di reazione.
- Vi è stata una rapina ma è appena terminata non temete – si affrettò a precisare – nessuno si è fatto male. La rapina
è avvenuta ai danni del mio solo sportello.
Il mormorio generale raddoppiò di intensità.
Vidi il poliziotto rientrare richiamato in tutta fretta da qualcuno che aveva reagito rapidamente alle parole dell’impiegato. Era adesso all’erta come un furetto con la mano poggiata sulla pistola e senza aver più l’aria di voler continuare a sbadigliare.
- Quando è avvenuta? – chiese energicamente.
- Pochi istanti fa – rispose il burocrate - Un uomo armato è entrato e sotto la minaccia delle armi mi ha costretto a consegnargli l’intero importo di questa cassa.
Sentii passi di corsa avvicinarsi dalla scala interna, poco
dopo vidi il direttore ed alcuni suoi collaboratori raggiungere ansanti il centro della sala.
- Che avviene? – chiese il direttore con due occhi come fanali ed il respiro pesante.
- Una rapina, una rapina – fecero in coro alcuni impiegati.
- Una rapina? Ma di che andate parlando? – li aggredì il direttore – Quale maledetta rapina?
L’impiegato si sentì chiamato in causa.
- Pochi minuti fa – rispose senza convinzione – Un uomo sulla quarantina, ben vestito, ha atteso il suo turno e poi si è fatto consegnare l’incasso del mio sportello sotto la minaccia di
una pistola.
- E nessuno si è accorto di niente? – gli chiese il direttore con tono polemico – Perché non ha schiacciato il pulsante d’allarme?
L’impiegato guardò per terra sconfitto con la sicurezza che tutto fra poco sarebbe stato contro di lui.
- No Direttore...è appunto questo che tentavo di spiegare. So che può sembrare assurdo ma…l’uomo ha rapinato la mia cassa nell’anonimato più assoluto, senza chiasso o baccano. Ha mostrato solo a me la sua arma e…beh… è riuscito a rapinare la cassa senza farsi scoprire…io…non ho potuto fermarlo…avrei voluto ma…ma era armato…ehm…beh…- guardò fuori
distrattamente e si paralizzò interrompendo la sua insicura quanto vana difesa.
Rimase allibito a fissare la porta che dava all’esterno allungando il collo.
Fuori dalla porta vedeva arrivare qualcosa di magnifico. Qualcosa che rianimava d’incanto tutte le sue defunte speranze.
Un miracolo.
- Eccolo! E’ qui, sta tornando! E’ lui! – cominciò a gridare in estasi ballando di gioia sulla sedia – Il rapinatore e’ quell’uomo che sta per entrare! Sia ringraziato Iddio benedetto, è tornato! Oh Dio del cielo ti ringrazio!
Mi voltai e lo vidi anch’io, quel miracolo che portava in dono la grazia all’impiegato.
Il rapinatore
saliva le scale arrancando e sbuffando come una locomotiva lanciata al massimo regime . Tornava perché illuminato chissà quando da un terribile ricordo che gli aveva sconvolto la mente e sconquassato la coscienza da gentiluomo.
Vi è mai capitato di recarvi in cucina per poi accorgervi che vi siete dimenticati per quale motivo vi siete entrati? Dovevate prendere qualcosa. Ma che cosa dovevate prendere?
Solo quando ne uscirete vi ricorderete il motivo per cui vi eravate recati al suo interno.
Il rapinatore si era ricordato improvvisamente di essersi dimenticato quello che non avrebbe mai dovuto dimenticare di ricordarsi.
Succede spesso
a coloro che pensano troppo.
Si era ricordato con orrore di una solenne promessa che si era scordato di mantenere.
Lo vidi entrare come un terremoto, aprire la porta e guadagnarsi il centro della sala a passi pesanti. In preda ad un terribile fiatone e tenendosi un fianco con la mano cercò disperatamente con lo sguardo l’impiegato.
Quando lo localizzò gli sorrise facendogli segno con la mano di aspettare un istante per dargli tempo di riprendere fiato. Poi lo riguardò incuriosito domandandosi anch’egli che ci faceva sopra la sua sedia.
Doveva essere già molto lontano dalla banca quando gli era
venuto in mente quello che aveva scordato.
Non sembrò accorgersi affatto che tutti quanti lo scrutavano con sospetto.
Per alcuni secondi tutta la banca lo ammirò in silenzio mentre si piegava in avanti sbuffando e tenendosi con le mani poggiate sulle ginocchia come un podista all’arrivo di una maratona.
L’impiegato aveva smesso di ballare felice sulla sedia . Adesso si aggrappava al vetro con una mano mentre con l’altra tentava disperatamente di attirare l’attenzione del ladro con gesti e deliranti sussurri che gli intimavano un prudente silenzio.
Fu inutile.
Dopo una serie di singolari smorfie facciali per mitigare la momentanea
carenza di ossigeno il rapinatore prese un lungo respiro e disse raggiante ad alta voce come da programma…
- Questa è una rapina, ma è appena terminata!
Si ritrovò una pistola d’ordinanza puntata sulla faccia.
La rapina era realmente terminata. Tra la curiosità generale venne ammanettato e portato via.
Poco prima essere trascinato fuori dalla banca lo vidi volgere un cenno di saluto verso l’impiegato che ricambiò con un’ombra di tristezza sul viso.
Sperò che lo rilasceranno presto. Non so perché ma sento che un giorno potrei incontrarlo nuovamente in questa banca o magari in una banca estera durante
uno dei miei viaggi senili, mentre tenterà anch’egli vecchio e malandato la felice ed ostinata conclusione della sua “rapina di cui nessuno si accorge”.
Non è da escludersi che potrei anche dargli una mano , non bisogna mai porre limiti al rincoglionimento eroico da terza età.