Cominciammo con i servizi interni al campo, Bruno si offrì subito per prestare la sua opera all'ospedale; Franco invece fu destinato alla cucina e alla distribuzione del cibo.
A me fecero affiancare due infermieri addetti alla medicazione dei ricoverati. Due volte al giorno facevamo il giro delle tende ricovero, si cambiavano le fasciature, si lavavano e disinfettavano le ferite. Uno dei due infermieri era una delle suore che, oltre ad insegnarmi a medicare le ferite fisiche cominciò a spiegarmi quello a cui Madre Teresa teneva più di tutto, la medicazione dell'anima.
Infatti la suora, che poi scoprii che era del Canton Ticino e parlava benissimo sia l'italiano che il francese, mi parlò del pensiero di Madre Teresa che ricordava a tutti:
C'è molta sofferenza nel mondo: fisica, materiale, mentale. La sofferenza di alcuni è da imputare all'avidità di altri. La sofferenza materiale e fisica è quella dovuta alla fame, alla mancanza di una casa, alle malattie. Ma la sofferenza più grande è causata dall'essere soli, dal non sentirsi amati, dal non avere nessuno.
Con il tempo ho capito che l'essere emarginati è la malattia peggiore di cui un essere umano possa soffrire.
Compresi meglio che cosa si faceva in quel luogo.
La sofferenza fisica era curabile con bende e medicazioni, un pasto caldo, un tetto ed una coperta.
Ma la sofferenza più grave era l'altra, quella spirituale, quella dell'anima, e io dovevo imparare a curare anche quella.
Mi ritornarono alla mente periodi della mia vita. Mio padre fra la vita e la morte, lo stringermi attorno a mia madre ed ai miei fratelli.
Gli amici che mi sono stati vicini, lenirono la mia sofferenza.
Osservavo la suora, partecipavo con lei alla consolazione dei malati, degli abbandonati, imparai a guardare nel profondo degli occhi delle persone per cercare di capire, vedere la solitudine, l'emarginazione, l'abbandono in cui erano spiritualmente.
Una carezza, lo stringere la mano guardandole in viso, bastavano per provocare in loro almeno un sorriso, era sempre un sorriso che rivelava la sofferenza fisica, ma l'altra sofferenza scemava.
Madre Teresa ci disse un giorno:
- Siate gentili e misericordiosi. Fate in modo che nessuno venga da voi senza andarsene migliore e più felice. Siate espressione vivente della bontà di Dio: bontà nei vostri occhi, nel volto, nel sorriso, nel saluto. Ai bambini, ai poveri ed a tutti coloro che soffrono e sono soli donate sempre un sorriso felice. Donate loro non soltanto le vostre cure, ma anche il vostro cuore.
Io imparai a metterlo in pratica.
Ogni tanto mi chiedevo perché mi aveva destinato a quel ruolo, possibile che lei avesse visto dentro il mio animo? che lo avesse fatto apposta dopo il colloquio che avemmo quella sera nella tenda?
Domande, domande che rimanevano senza risposte, io però non mi assillavo più di tanto, quello che avevo davanti agli occhi era più urgente, e le domande un giorno o l'altro avrebbero trovato risposta.
Passai tutto il giorno a girare per le tende, una ciotola di riso condito con una strana salsa a mezzogiorno e poi ancora per le tende fino a sera.
La sera a cena mi ritrovai con Franco e Bruno seduti al tavolo, eravamo spossati, ma la stanchezza fisica era poca cosa, mentre ci scambiavamo le nostra impressioni e racconti della giornata, quando parlavamo della sofferenza vista in quella gente, la nostra stanchezza era niente, quasi ci vergognavamo a dire che avevamo male alle gambe, alle braccia o alla schiena, la nostra non era sofferenza, erano capricci se confrontati con la vera sofferenza.
Nella tenda, dove ritornai per riposare la notte, trovai la donna con il bambino che avevamo raccolto il primo giorno. Stava parlando con la suora che le aveva portato la cena, al mio entrare la suora mi chiamò e mi chiese se ero disposto a dare il latte al piccolo, la madre mi fissava con un leggero sorriso, acconsentii, presi il piccolo in braccio e la suora mi passò il biberon. Cominciai a dare il latte al piccolo, come la sera precedente, a piccole poppate, ma questo era più avido e faticavo a togliergli il biberon dalla bocca. Sentii la madre e la suora ridacchiare sommessamente mentre mi guardavano lottare con il piccolo che si era fatto più furbo e stringeva il biberon con i suoi due primi dentini. Alzai gli occhi sorridendo anch'io, la stanchezza se n'era andata.
Dormii la seconda notte tutta d'un fiato, senza sogni, fino al mattino quando mi svegliarono per la riunione del mattino nella mensa.
Così passavano i giorni, mi stavo affinando nel consolare la sofferenza dell'animo, cominciavo a capire che le cure fisiche erano ben poca cosa se non si curavano anche le sofferenze morali.
Ricordo, un giorno arrivò al limite delle tende un'auto signorile nera e lunga, un modello americano con le tendine nella parte posteriore mentre la parte dell'autista era scoperta. L'autista scese e chiese qualcosa ad un inserviente del campo, quest'ultimo chiamò altri due con una barella, si avvicinarono all'auto, l'autista aprì gli sportelli e gli inservienti aiutarono a scendere una donna dall'abbigliamento signorile di forgia indiana, la sdraiarono sulla barella e la portarono agli ambulatori.
Seppi dopo qualche giorno che era la moglie di un ricco possidente, che come ultimo atto "d'amore" era stato quello di farla accompagnare al lebbrosario invece di scaraventarla in una strada come facevano molti altri. La lebbra era appena agli inizi e c'erano buone possibilità di fermarla in tempo prima che facesse danni gravi.
Trovare uomini, donne o bambini allontanati brutalmente dalle case perché si scopriva essere lebbrosi, era una cosa frequente, bastava girare per le strade, quelli che potevano muoversi arrivavano al campo da soli, tutta Calcutta e anche la regione intorno sapeva cosa si faceva dalla Madre Bianca, sapevano che lì avrebbero trovavano accoglienza, cure, riparo, un pasto caldo. Arrivano, attendevano il loro turno con dignità e calma. Non ho mai visto nessuno fare ressa, né per le cure neppure per avere da mangiare, sempre con calma e con lo sguardo dignitoso, anche quelli che erano considerati i "paria".
Un giorno, passando per una via secondaria di Calcutta dove gli abitanti vivevano abbastanza dignitosamente, sentimmo un vociare da dietro un vicolo accompagnato da abbaiare di cani.
Ero andato con lo sherpa un infermiere e la suora per prelevare un uomo anziano che viveva da solo e nessuno lo accudiva, lasciammo la suora sul camion con l'anziano e andammo a vedere cosa succedeva.
Per Istinto o, non so per quale motivo, presi dalla cabina del camion lo zainetto con i medicinali che conteneva sempre anche delle focacce di pane bianco e soffice.
Nel vicolo c'erano quattro ragazzini di circa 7 o 8 anni che dai bidoni dei rifiuti di una bettola stavano combattendo con tre cani per dei rifiuti, uno dei ragazzini teneva una pagnotta di pane raffermo e mezzo ammuffito da una parte mentre un cane ringhiante tirava dall'altra parte.
Lo sherpa e l'infermiere scacciarono i cani con delle urla e qualche calcio, cedettero con riluttanza, si allontanarono di decina di metri ma rimasero in attesa.
I ragazzini veniva dai quartieri poveri, per abitudine girovagavano nei vicoli dietro ai locali dove sapevano di trovare nei rifiuti qualcosa di commestibile, lo sherpa parlò loro, io mi avvicinai estraendo dallo zaino quattro focacce e ne porsi loro una a testa, presi il pane ammuffito dalle mani del bambino che il cane aveva lasciato al nostro arrivo, e lo buttai verso i tre animali i quali, affamati forse anche di più dei bambini, gli saltarono addosso ringhiandosi l'un l'altro.
Non solo i bambini soffrivano la fame ma anche gli animali.
I bambini divorarono letteralmente le focacce, sembrava non masticassero nemmeno.
Lo sherpa spiegò loro che se volevano mangiare un pasto potevano venire al campo di Madre Teresa, sapevano dov'era, ma avevano paura a causa dei lebbrosi. Ma lui spiegò loro che i lebbrosi erano nelle tende e alla mensa sarebbero potuti entrare senza problemi e che noi, dopo tanto tempo che eravamo lì, non eravamo stati contagiati. Annuirono quasi sollevati. Da quel giorno li vidi molte volte entrare o uscire dalla mensa allegri e vocianti.
Qualche volta vennero anche i loro genitori e la madre si offrì ad aiutare per le pulizie in cucina in cambio di un pranzo di riso al giorno.
Madre Teresa sembrava onnipresente, si vedeva sempre, di giorno, di sera, anche di notte.
Mi veniva il dubbio che non riposasse mai, consolava gli ammalati, per ognuno c'era una buona parola, se qualcuno di noi era stanco o affranto arrivava lei, sembrava avvertisse i nostri momenti di frustrazione e una carezza delle sue o un "coraggio" ci dava nuova energia.
Un giorno, arrivarono delle provviste dalla Francia, dodici camion di farina, riso e altri generi alimentari più due camion di medicinali.
Arrivavano sempre aiuti da vari stati, ma questo era un carico eccezionale tutti aiutarono a scaricare i camion, il magazzino venne riempito fino all'ultimo angolo, gli addetti alle cucine gongolarono, questi rifornimenti sarebbero bastati per un intero mese.
Madre Teresa il mattino dopo alla riunione di tutti i collaboratori diede l'annuncio dell'arrivo dei rifornimenti, ci fu un'esplosione di gioia e applausi accompagnati da un ringraziamento generale verso i francesi e verso nostro Signore.
Madre Teresa disse:
- Di fronte alle difficoltà, ai dubbi ed alle obiezioni, abbiate fiducia in Lui. Egli non vi deluderà. Se Dio non fornisce i mezzi, significa che non vuole che quel particolare lavoro venga fatto. Se desidera che venga fatto, ve ne renderà i mezzi. Perciò non preoccupatevi e abbiate fiducia in Lui.
Poi intonò una preghiera che ormai anch'io conoscevo:
eccola:
MANDAMI QUALCUNO DA AMARE
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un'altra persona.
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli
Che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri ed affamati.
Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,
e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.
Ormai era passato un mese da quando ci eravamo fermati.
Io, Bruno e Franco un giorno mentre chiacchieravamo dopo cena ci guardammo l'un l'altro notando il nostro fisico, era la prima volta in un mese che pensavamo ai nostri corpi.
Ci lavavamo, ci cambiavamo di abito, avevamo sempre da mangiare, quello che c'era, molto riso, focacce, qualche zuppa, ma stranamente nessuno di noi aveva fatto caso a com'era il cibo.
Ci nutrivamo e basta.
Pensai alle volte che a casa lasciavo il pranzo o la cena perché non mi andava quello che mia madre mi preparava e finiva buttato al cane, in quel campo ci avrebbero mangiato tre persone.
Eravamo dimagriti, un bel 5 o 6 chili a testa, eravamo belli asciutti e abbronzati, ci mettemmo a ridere.
Pensate - disse Bruno - a casa facevamo i difficili su quello che mangiavamo, lo sport per tenersi in forma, i divertimenti che sembravano necessari come l'aria che respiravamo; qui invece, i divertimenti non ne sentiamo il bisogno, abbiamo mangiato di tutto senza fare gli schizzinosi, siamo in perfetta forma fisica e abbiamo pure fatto del bene a tanta gente.
Che vita abbiamo fatto finora? - Rifletté Bruno a voce alta - io e Franco abbiamo ciondolato in giro per le scuole, poca voglia di studiare. Solo tu Giuliano, anche per l'incidente di tuo padre, hai avuto da sudarti la vita, ma noi? Signorini mantenuti dai papà, con la puzza sotto il naso, mentre qui la gente moriva, noi ci lamentavamo perché il papà ci dava pochi soldi per la pizza, o perché non ci prestava l'auto, oppure perché la minestra di mamma faceva schifo, e qui la gente moriva di fame.
Rimanemmo in silenzio.
I nostri occhi si incrociarono più volte. Non c'era niente da dire.
Dietro di noi una voce che conoscevamo bene e che forse aveva ascoltato i nostri discorsi disse:
- Qualcuno tempo fa mi ha chiesto: "cosa farai quando non sarai più superiora?". Io gli ho risposto che ho sempre una mente per pregare e che sono insuperabile a lavare bagni e latrine. Non è importante ciò che facciamo, ma con quanto amore lo facciamo. Se Dio desidera che pulisca i bagni, che mi prenda cura dei lebbrosi o parli con il presidente degli Stati Uniti, per me fa lo stesso. Io gli appartengo.
Perciò non crucciatevi per quello che non avete fatto nel passato, Dio ha voluto così, siate docili nelle Sue mani e Lui guiderà il vostro cammino verso la via che vi ha preparato.
MADRE TERESA - (parte quarta) Il Ritorno
Cerchiamo oggi di riflettere sull'amore che Dio riserba per voi e per me.
Il suo amore è così tenero; il suo amore così grande, così tangibile,
così vitale che Gesù venne proprio a insegnarci... come amare.
L'amore non è qualcosa che si fossilizza, ma qualcosa che vive di continuo.
Le opere di amore e che attestano amore sono una via per la pace.
E dove comincia questo amore?
Proprio nei nostri cuori.
Dobbiamo sapere che siamo stati creati per cose più grandi,
non per essere un numero qualsiasi nel mondo;
non per conseguire lauree e diplomi, questa o quella carriera.
Siamo stati creati per amare e per essere amati.
L'amore ha un orlo al suo vestito, che sfiora la polvere,
spazzando via le macchie dalle strade e dai vicoli e poiché può, deve farlo.
L'amore, la forza della vita, il motore del mondo, qualsiasi tipo di amore, cominciando dall'Amore verso Dio e di conseguenza quello versi i propri cari, verso la persone che ci sono vicine, l'amore verso il prossimo, chiunque esso sia, non si ama solo chi ci ama ma si ama, anzi, si deve amare anche chi non ci ama, chi soffre, chi è abbandonato, perseguitato, afflitto.
Ma soprattutto l'amore passa attraverso di noi, pulendoci, spazzandoci, illuminandoci per poi essere riversato su tutto ciò che ci circonda, su tutto il creato, uomini, animali, piante, perché tutto ciò che esiste, fu creato con e per Amore.
Quando Madre Teresa parlava dell'amore, si illuminava, quasi si trasfigurava. Quella piccola e anziana donna aveva dentro di sé una voglia immensa di amare; lo dimostrava con i fatti, giorno per giorno, attimo per attimo, e contagiava chi gli stava accanto.
Oh quale contagio fu meno evitato di questo, quale malattia che io e i miei amici non volemmo curare; come ci ammalammo volentieri della voglia di amare, malattia che ci faceva svolgere i nostri lavori quotidiani senza farci sentire la fatica, se non quella fisica che passava con una notte di sonno, anzi l'amore che imparammo a donare si auto alimentava, sgorgava continuamente, ci imbeveva e ci dava forza.
I giorni passavano, fra bambini malnutriti che trovavamo nella periferia di Calcutta, uomini e donne ridotti a scheletri, abbandonati o allontanati perché malati, arrivavano anche da paesi e città vicini, dalle campagne.
La rete intessuta da Madre Teresa era ampia, ma per lei era sempre poco.
Avevo imparato, anche non conoscendone la lingua, a consolare gli animi degli afflitti, bastava l'atteggiamento, l'espressione del viso, per riuscire a rasserenarli e magari strappare loro un leggero sorriso, riuscirci era la mia più grande ricompensa.
Il giocare con i bambini, che solitamente erano raggruppati in un'area predisposta anche per fare un po' di scuola ai più grandicelli, era il mio riposo. Anche Bruno e Franco venivano a giocare. Eravamo riusciti a procurarci qualche pallone e artigianalmente costruimmo delle altalene e degli altri giochi, e ai maschietti insegnammo un po' di calcio.
Una sera riuscimmo ad organizzare perfino una partitella con tanto di pubblico e tanto di trofei, fatti in legno da un intagliatore che viveva al campo. Fu una festa, per un'ora tutti, piccoli e grandi dimenticarono le loro pene. I bambini correvano, a piedi nudi, come onde dietro al pallone, vociando allegramente, i grandi facevano il tifo per l'una o per l'altra squadra.
Io e Franco eravamo i due portieri mentre Bruno faceva l'arbitro. La fine fu un abbraccio collettivo, valanghe di gol (presi apposta con goffaggine) fecero ridere sia i tifosi che i giocatori.
Madre Teresa, che aveva assistito, alla fine ci abbracciò tutti e tre e ci disse:
- Per raggiungere il cuore delle persone dobbiamo agire: l'amore si dimostra, si mostra con i fatti. La realtà é più avvincente dell'idea astratta. Voi questa sera avete raggiunto i cuori della gente, avete dato loro una risata e gli avete fatto dimenticare la sofferenza, la fame e i disagi, vi voglio bene perché avete un cuore grande.
Piangemmo, non so ancora il perché, ma tutti e tre ci siamo messi a piangere come dei bambini, le lacrime, era gioia? Era soddisfazione? Era uno sfogo di tensione? Non lo so! Ma sgorgarono come un fiume in piena e nessun sforzo riuscì ad arginarle.
Lei non disse nulla, forse sapeva il perché, ci accarezzò e ci lasciò sfogare.
Madre Teresa riservava le sue attenzioni ai bisognosi ed ai sofferenti sia fisicamente che moralmente.
La sua vocazione le impediva chiaramente di mettere momentaneamente da parte gli esseri umani per concentrarsi ad elaborare manovre economiche da suggerire ai politici che incontrava: non poteva fare tutto Lei.
Non si stancava di ripetere che bisogna completarsi a vicenda: quello che non fanno gli uni lo facciano gli altri.
Per quanto riguarda i rapporti con politici che magari non riconoscevano certi diritti umani, ricordava sempre che Gesù frequentava ogni sorta di gente, soprattutto quella lontana dalla morale cristiana:
- Il medico esiste per i malati, non per i sani. Era solita ripetere.
Madre Teresa non diffuse un'immagine negativa di Calcutta, anche perché non amava mostrarsi ai media.
Per la religione cristiana, come per Madre Teresa, la vita è il primo valore.
Non aveva vanità, non pretendeva di essere ascoltata in conferenze, non amava le platee.
L'attenzione che i media le riservarono misero semplicemente in luce i disagi della gente del territorio di Calcutta dove lei operava.
Fu, per il suo lavoro, anche criticata: alcuni ritenevano che la sua personalità fosse troppo forte e che quindi le consorelle non godessero di sufficiente autonomia.
Altri l'hanno accusata di non combattere la povertà alla radice, ma soltanto tamponando, in senso assistenzialista, ma Lei era sempre e comunque dolce ed amorevole con le consorelle, con gli ammalati e con chiunque incontrasse.
Prima di tutto venivano loro, non smetteva mai di ricordarlo. Le opere arrivano sempre prima delle parole, e alle suore diceva sempre:
- La Missionaria della Carità deve dare, ma soprattutto deve darsi.
A chi le faceva notare il fatto che Lei e le consorelle lavorassero a contatto con credenti di diverse religioni rispondeva:
- Non abbiamo assolutamente alcuna difficoltà a lavorare in paesi con diverse fedi religiose. Trattiamo tutti come figli di Dio. Sono nostri fratelli e mostriamo per loro grande rispetto. Ognuna delle nostre opere, se fatta col cuore, avvicina chi la fa e chi la riceve a Dio.
Alla sera era consuetudine fermarsi a dialogare con Lei, Le piaceva ascoltare gli accadimenti della giornata, era sempre attenta agli umori dei suoi collaboratori e, molte volte anche Lei raccontava degli episodi accadutegli.
- Oggi un bambino di Calcutta festeggiava il suo compleanno, e chiese ai genitori di dare a Me il denaro che avrebbero dovuto spendere per il suo regalo. Sono venuti a portarmelo, ma da quello che i genitori mi hanno dato, credo che la richiesta del loro figlio abbia fatto aumentare la loro spesa.
- Quel bambino insegnò l'amore ai suoi genitori.
Era un piacere ascoltarla.
Insisteva sul discorso delle piccole cose, non sugli atti eclatanti, era refrattaria nei confronti dei media e degli eventi pubblici ai quali era invitata e da questi ne era anche criticata.
Secondo queste critiche, la Madre avrebbe potuto esercitare la sua grande influenza sui politici per convincerli a cambiare la struttura di molte leggi che sfavoriscono i poveri.
Ma i potenti, secondo il suo pensiero, le leggi le dovevano fare su coscienza, non perché le chiedeva qualcuno di influente.
Anni più tardi, furono loro, i potenti della terra, a invitarla e ad aiutare la sua missione.
Un'altra volta ci raccontò:
- Non dimenticherò mai il giorni in cui, camminando per una strada di Londra, vidi un uomo seduto, che sembrava terribilmente solo. Andai verso di lui, gli presi la mano e la strinsi. Lui allora esclamò:
"Dopo tanto tempo, sento finalmente il calore di una mano umana".
Il suo viso s'illuminò. Sentiva che c'era qualcuno che teneva a lui.
Capii che un'azione così piccola poteva dare tanta gioia.
Pendevamo dalle sue labbra, non so se Lei ne fosse consapevole, ma ci osservava attentamente quando parlava, ci si sentiva addosso il suo sguardo penetrante, caloroso e incoraggiante.
Per Lei eravamo dei libri aperti, riusciva a capire come ci sentivamo, ci consolava se ci sentivamo tristi, ci incoraggiava, ci lodava, perché nella nostra tristezza o nel il nostro abbattimento non avremmo consolato chi lo era più di noi.
Una sera, durante una pausa, nessuno parlava, eravamo in silenzio con pensieri che correvano per la testa, così tanti da non riuscire a tirarne fuori uno, Lei, che ci stava osservando attentamente, ruppe il nostro silenzio dicendo:
- Anche se non apro bocca posso parlarvi con gli occhi per mezz'ora buona. Guardandovi negli occhi posso dirvi se nel vostro cuore c'é pace oppure no. Ci sono persone che irradiano gioia e nei loro occhi si scorge la purezza.
Verso la metà di settembre, avevamo perso la nozione dello scorrere del tempo, arrivarono degli aiuti dall'Italia e dalla Svizzera.
Insieme al carico di aiuti alimentari e medici, dall'aereo sbarcarono una dozzina di giovani volontari che volevano prestare la propria opera nei luoghi gestiti da Madre Teresa e dalle suore della carità.
Furono accolti con gioia da tutti, c'era sempre bisogno di aiuti, la notizia fece in breve il giro del campo e al pomeriggio tutti ci affrettammo per aiutare a scaricare i camion ed accogliere i nuovi venuti.
Che sorpresa fu quando fra i nuovi venuti vedemmo il padre di Bruno!
Nonostante avesse un volto preoccupato, ci precipitammo tutti e tre ad abbracciarlo e lo investimmo contemporaneamente di domande, di racconti, di richieste sui nostri parenti.
Sorrise nel sentirsi sommerso di tutto questo e, credo, soprattutto nel vederci sani e salvi.
- E' più di un mese che non sappiamo niente di voi! Ci disse con un po' di enfasi, cominciavamo a preoccuparci.
- Scusa papà - rispose Bruno - ma con tutto quello che c'è da fare qui non ci siamo ricordati di telefonarti.
Il padre di Bruno ci squadrò ad uno ad uno lungamente, lasciandosi andare in un commento sommesso:
- Per stare bene, state bene, siete allegri e pimpanti e pure belli abbronzati; però come siete dimagriti! Ma vi danno da mangiare qui?
- Certo! non abbiamo saltato un pasto - rispose Franco - qualcosa da mangiare lo abbiamo avuto sempre come tutti quelli che vivono qui.
- Avete qualcosa di diverso... non riesco a capire cosa... - mormorò quasi fra sé - il vostro viso... soprattutto i vostri occhi; dovete raccontarmi tutto!
- Ci metteremo giorni! Ne abbiamo una montagna di cose da raccontarle - esclamai.
- Intanto vieni con noi, - disse Bruno prendendo suo padre per mano - dobbiamo farti conoscere una persona.
Trascinammo letteralmente il papà di Bruno verso l'infermeria, dove sapevamo ci fosse Madre Teresa, trovatola glielo presentammo.
Lei gli strinse calorosamente la mano e poi:
- Sono tre bravi ragazzi, - disse rivolta al padre di Bruno - hanno un cuore grande e in questo periodo lo hanno dimostrato prendendosi cura di tutti quelli che ne avevano bisogno.
- Da come li conoscevo io prima che partissero per l'India - rispose il papà di Bruno - sembra che mi stia parlando di tre sconosciuti.
- Sono venuto fin qui - proseguì - perché non avevamo notizie da un mese e fra poco iniziano le scuole.
- Papà - esclamò Bruno - abbiamo imparato più qui in due mesi che in anni di scuola!
- Su, su, - intervenne Madre Teresa - non preoccupatevi, sistemeremo tutto!
Il padre di Bruno aveva alloggiato in albergo a Calcutta e ci chiese se volevamo seguirlo che per la notte avrebbe preso una camera anche per noi.
Al nostro rifiuto ci disse di preparare le nostre cose che ci avrebbe riportato a casa al più presto.
Ci avviammo verso i nostri dormitori, in silenzio, senza scambiarci una parola, i miei pensieri erano in tumulto e forse anche quelli dei miei amici. Il lavoro da fare, l'assistenza, le medicazioni, non ci avevano lasciato mai in ozio, per questo non c'erano stai pensieri rivolti al mondo "normale" al nostro mondo, eravamo così impegnati che non avevamo pensato, se non raramente, alle nostre case e ai nostri genitori, loro stavano bene, lì invece c'era un'infinità di persone che stava male, che non aveva affetti, che non aveva di che vivere.
Entrando nella tenda fui accolto dai gridolini del piccolo, ormai mi conosceva, sapeva che avrei giocherellato con lui, lo feci anche quella sera. La madre del piccolo, che stava molto meglio e aveva voluto fermarsi a dare il suo piccolo aiuto nel campo, mi fissò, anche la suora che era lì mi guardò, parlarono fra loro, me ne accorsi mentre facevo ridere il piccolo.
Mi voltai verso di loro mentre deponevo il piccolo nel suo giaciglio, le guardai con aria interrogativa, la suora mi disse quasi subito:
- Non hai il solito spirito, anche la madre del piccolo se n'è accorta.
Spiegai gli ultimi avvenimenti, la suora mi ascoltò attentamente traducendo all'indiana quello che dicevo, quando finii mi abbracciò e mi disse:
- Non ti dispiacere, il mondo non è solo qui, nel tuo animo c'è del buono e questo non importa dove lo fai, l'importante è che tu lo faccia con lo spirito sereno.
La notte passò veloce, senza sogni, mi alzai con un dolce senso di pace nel cuore.
Ci mettemmo una giornata, non tanto per preparare le nostre poche cose, ma per salutare gli amici e tutti quelli che avevamo conosciuto nei mesi trascorsi lì. Il mattino dopo, diedi un bacio in fronte al piccolo ancora addormentato, salutai sua madre e la suora.
La madre del piccolo mi disse qualcosa che non capii, la suora intervenne e tradusse:
- Brahma, Shiva e Visnù ti hanno dato un grande cuore, io pregherò la sacra trimurti che ti perseveri e ti assista sempre e andrò a bagnarmi al fiume sacro Gange pregando per te.
Mi commossi, la abbracciai e uscii dalla tenda col cuore in tumulto.
Madre Teresa salutandoci ci disse:
- Non preoccupatevi di quello che dovrete fare, cercate una strada da percorrere nel vostro intimo, se sentite nel profondo del vostro cuore il segno che è quella giusta, quel segno vi verrà inviato da Dio, e allora percorretela senza timore, Lui vi aiuterà.
E ancora:
- Anche se scrivete solo una lettera ad un cieco, o se vi sedete ad ascoltare una persona, o imbucate la sua corrispondenza, o fate visita a qualcuno o gli portate un fiore o gli lavate la biancheria o gli pulite la casa: saranno piccole cose, ma agli occhi di Dio tutto è grande.
Ci abbracciò tutti e tre, avvertii quell'ondata di calore e pace a cui ero abituato, sarei rimasto fra le sue braccia fermando il tempo, se lo avessi potuto fare, ma il ricordo di quella sensazione mi ha seguito per tutta la vita, se chiudo gli occhi mi sembra di riviverla anche ora.
Mentre io, Franco e Bruno ci avviavamo all'auto che ci avrebbe portato all'aeroporto, Madre Teresa si intrattenne con il padre di Bruno per una decina di minuti, non seppi mai cosa gli disse, ma il suo viso mi parve diverso, più rilassato, sereno; ci diede una pacca sulla spalla a tutti e tre e disse solamente:
- Andiamo!
Il viaggio ci sembrò breve, troppo breve, non riuscimmo a fare una parola, ci siamo guardati negli occhi molte volte. Come me, anche i miei amici si stavano facendo la stessa domanda: "e adesso? Cosa faremo? Che ci succederà?" nonostante le parole di Madre Teresa, mi sentivo come spaesato, preoccupato per il ritorno a casa. Ero ansioso di rivedere la mia famiglia, ma nel contempo provavo una strana sensazione di... vuoto... disagio... non riuscivo a capire cosa mi passava per la mente, era allo stesso tempo vuota e piena di un fascio di sensazioni ognuna all'opposto dell'altra, e il volti dei miei amici, dimostravano i miei stessi sentimenti/preoccupazioni. Il padre di Bruno invece aveva un viso rilassato, un po' assente, mi sembrava fra le nuvole, ma tranquillo. Conoscevo quella sensazione, aveva parlato con Lei e Lei lo aveva conquistato.
Il volo, l'atterraggio, il viaggio in macchina fino a casa, la corsa verso la porta, mia madre sulla soglia, le sono volato fra le braccia.
Mi madre mi ha stretto, e ha subito la stretta del mio abbraccio poi, mi ha allontanato lentamente, mi ha guardato fissamente in viso e poi:
- Devi raccontarmi molte cose, lo vedo dal tuo viso.
- Certo mamma!
Mio padre, che è sempre stato di poche parole, mi ha abbracciato senza parlare, mi ha guardato in viso e mi ha detto:
- Certo che hai fatto una bella dieta, vieni, fra poco è pronto il pranzo, io e tua madre poi abbiamo "fame" di sentire quello che hai da raccontare.
Mio fratello rientrò dal lavoro poco dopo le 12,00, mentre mia sorella rincasò da scuola alle 13,00, fu una festa.
Mia sorella, di sette anni, che mi era affezionata, praticamente da quando è nata le ho fatto da baby sitter, è venuta in braccio a me e ha pranzato senza mai scendere dalle mie ginocchia, mio fratello invece mi osservò attentamente, curioso anche lui di sapere tutto. Chiese a i miei genitori di aspettare la sera, voleva ascoltarmi ma doveva andare al lavoro il pomeriggio.
La sera, dopo cena, sentivo a pelle il desiderio di sapere della mia famiglia, ci sedemmo attorno al tavolo e iniziai a raccontare tutto, nessuno mi fece domande, ascoltarono il fiume che usciva dalla mia bocca, dal mio cuore, dalla mia anima, da tutto me stesso, particolari, sensazioni, tutto quello che trasmettevo. Nessuno guardò l'ora, non avvertimmo il trascorrere del tempo.
Alla fine, nessuno parlò, la mia famiglia mi guardava senza proferire una sillaba, notai gli occhi lucidi di mia madre e, perfino mio padre, lo vedevo commosso. Andammo a dormire in silenzio.
Quella notte sognai Madre Teresa e la sua calda e rugosa mano che mi accarezzava, ero ancora a Calcutta con il mio cuore e la mia anima.
MADRE TERESA - (parte quinta) la nostra vita dopo il ritorno.
Sentirsi spaesati a casa propria, nel paese dove hai vissuto per anni è una strana sensazione, mi sembrava di essere in un altro mondo, di essere quasi inutile.
Con Franco e Bruno mi ritrovavo per scambiarci le sensazioni di quei giorni e, come me, anche loro si sentivano strani. Capivo però che stavano vagliando le proprie vite per decidere quella che poi sarebbe stata la loro strada.
Grazie alle nostre famiglie, al Parroco del paese che ci venne a trovare per sentire il racconto del nostro viaggio, del nostro operare e soprattutto delle situazioni di bisogno in cui versavano i poveri dell'India.
La nostra descrizione di Madre Teresa lo affascinava, volle sentirla più di una volta e, credo che ci invidiasse, alla fine gli sfuggì un:
- Come vorrei esserci stato anch'io!
Ci chiese la disponibilità di raccontare tutto ai giovani e ai paesani che ci avessero voluto ascoltare, avuta il nostro consenso si diede da fare per organizzare delle serate con la nostra presenza rivolte a giovani, genitori e a tutti gli abitanti che volevano conoscere quello che né televisione né giornali mostravano. Lo pregammo solamente di organizzare piccoli gruppi di venticinque - trenta persone perché si poteva più facilmente colloquiare e rispondere alle varie richieste di particolari.
Madre Teresa ci disse infatti:
- Parlate di noi, spiegate quello che facciamo, nel mondo c'è moltissima gente che non sa niente, che non ci conosce, che ignora quello che succede qui, o perché i giornali e le televisioni non ci fanno apparire, ma anche perché molti fanno finta di non conoscere o non lo vogliono sapere per far tacere la propria coscienza.
E noi lo facemmo! Per circa due mesi parlammo, raccontammo, spiegammo. Non solo ai nostri paesani, ma anche a chi, dai paesi vicini, voleva partecipare, tutti, chi entrava lo faceva sapendo cosa raccontavamo, molti sono ritornati altre volte. Poi, come succede sempre, l'interesse cominciò a scemare.
Una sera, a casa di Bruno, ci fu la prima svolta. Bruno ci comunicò la sua decisione:
- Entro in convento!
- Cosa??? - esclamammo io e Franco all'unisono saltando in piedi dalle rispettive sedie come due molle.
- Sì, avete capito bene – proseguì Bruno con calma - è da quando siamo tornati che ci sto pensando, ne ho già parlato con i miei, anche loro si sono comportati come voi ma la mia decisione è ormai presa, ho già contattato il convento francescano di Venezia, posso partire quando voglio.
Mentre ci comunicava la sua decisione, non smisi un attimo di guardare fissamente il suo viso, la fermezza che vedevo nei suoi occhi mi fece capire che era convinto di quello che aveva deciso di fare.
Non c'era niente da discutere, approvazioni da dare o altro da dire, ci stringemmo tutti e tre in un abbraccio, lungo, caloroso, di solidarietà e comprensione. Ebbi l'impressione che la Madre fosse lì al nostro fianco, con la sua dolce aura e il suo ancor più dolce sorriso a benedirci e a benedire soprattutto Bruno.
Le settimane seguenti sfumarono troppo brevemente per noi che volevamo e avevamo tanto da dirci, e comunicarci, fino a che il 2 di ottobre, salutammo Bruno che partiva. L'ultimo abbraccio, silenzioso, commosso, ad un carissimo amico anzi di più ad un fratello che ci disse:
- Strano che io parta proprio oggi, il 2 ottobre è il giorno dedicato agli angeli custodi, mi sembra quasi di sentire il mio che sta cantando di gioia, e contemporaneamente ho l'animo sereno, ci rivedremo statemi bene e pregate per me.
- Anche tu per noi - risposi
- Anche per me che fra un paio di mesi parto - aggiunse Franco.
Io e Bruno lo guardammo di scatto:
- Come?
- Sì, aspettavo per dirvelo, no! Non entro in convento come te Bruno, ma ho contattato un'associazione umanitaria di laici che lavora nelle favelas brasiliane, mi faranno fare un corso di preparazione di circa tre mesi e a gennaio dovrei partire per Rio de Janeiro.
Abbassai la testa, quasi mi vergognavo, i miei amici avevano trovato una strada da percorrere, a me niente, nessuna idea nessuna ispirazione, vocazione o altro.
Bruno e Franco notarono il mio comportamento e subito capirono:
- Non ti preoccupare - mi disse Bruno - ricordi quello che ci disse Madre Teresa? "non affannatevi a trovare una strada o il vostro destino, quando Dio vorrà che vi dedichiate a qualcosa ve lo farà capire e ve ne darà i mezzi" perciò stai tranquillo, quello che dovrà essere per te sarà al momento giusto senza che tu ti affanni a cercarlo.
- Non ci perderemo di vista - aggiunse Franco - ci scriveremo, ci manterremo in contatto e, qualche volta, vedrai che ci ritroveremo tutti assieme.
S e g u e
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