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Poeti della Luce

Poeti e scrittori per passione

Una storia sbagliata - di Orchideanera

 

La guerra è una storia sbagliata, come il figlio che cresce nel mio ventre in queste mattine dall’odore acre della polvere da sparo, il cielo freddo, il fumo soffocante della morte a lato. E io qui, ferma, nell’impotenza dell’amore, senza possibilità di scelta, chiusa nella stanza delle donne, il sole pallido che filtra dalla finestra inchiodata e proietta piccole ombre di colore sul pavimento,gli ultimi mesi da vivere come un vegetale in un lungo letargo in attesa del parto. Ho il sapore del sangue in bocca, uno stato di semi incoscienza, il fuoco dentro ,un dolore nelle ossa, la sensazione devastante di non essere più intera, solo il tremolio del polso mi fa capire di essere viva, e quel moscone con l’addome verde che passeggia su e giù, senza interruzione. Vedo tutto senz’ordine,la lampadina che oscilla lievemente ,le mie gambe aperte, le voci e i gemiti dei cacciatori, il tavolo scheggiato che continua a spostarsi a causa dei colpi sordi, i loro occhi umidi, bramosi che risalgono il mio corpo nella totale indifferenza,occhi sconosciuti che godono di me, in trappola. Cerco di concentrarmi su altro,sul recinto di filo spinato oltre il cortile,sul bosco umido lontano, sui campi di papaveri e di grano, sulla sensazione appena sottovoce di essere lontano da qui.. Non provo dolore, sono totalmente fuori da me stessa, spezzata.Non ci sono specchi qui, ma ormai desidero solo non conoscermi, in questo campo di concentramento che non e’ solo un luogo geografico ma una condizione della mente e del cuore. Dormo vestita, non ho voglia di esporre il mio corpo nudo alle altre donne, a quei soldati che entrano all’improvviso e sempre più spesso abusano di me. I miei movimenti sono lenti, indeboliti dalla fame, dall’aria chiusa e dal caldo, i giorni sono lunghi, alla mercè di uomini ubriachi, generali nelle cui vene scorre un sangue sbagliato, uomini che quando appaiono mi fanno smettere di essere una persona e mi trasformano in una cosa da usare. Ho quindici anni ma la guerra mi ha fatto diventare donna presto, il mio viso si arrossa ancora sulle guance se qualcuno mi rivolge la parola, ma non ho più bambole, solo seni piccoli e un ventre grande per ubbidire docile e appagare le voglie degli altri. Il mio legame con la realtà è reciso; vivo nel mio abito corto ,strappato, in uno stato totale di confusione e paura. A volte penso a un rossetto rosso vivo,a una matita per gli occhi, ma il mio essere donna non esiste più, il mio corpo si tende solo al massacro, il sorriso inghiotte l’orrore come se fosse sperma e nella violenza non trovo nulla di cui compiacermi. La notte è solo un’attesa cieca del giorno, le parole cadono nel silenzio come se non fossero mai state pronunciate, ed è un crepuscolo d’alba quando la stanza si riempie dell’odore della carne bruciata: nel mio cuore solo il desiderio di avere qualcuno da odiare. Non ci sono confini al male che mi porto dentro, ho poco margine per la comprensione, solo qualcosa di simile alla morte che batte nel seno in una quasi totale assenza di me. Ogni tanto dò voce al silenzio,urlo mentre si mescola il sangue dei soldati a quello delle donne in amplessi senza senso, a questo scempio indescrivibile,senza più ordine né decoro, intrappolata in un meccanismo che trasforma l’umanità in bestie feroci, l’anima pronta alla vendetta. La tristezza mi penetra nelle ossa, dolorosa, recide mille fili intorno, la vita non si fa vivere ma solo aspettare, e il tempo mi uccide in una congiura di silenzio e depravazione.
E’ una storia sbagliata questo figlio frutto della guerra e degli stupri, concepito nel sole pallido di una giornata invernale, in un vuoto inanimato, in una violenza senza via d’uscita. Non riesco ad immaginarlo vivo questo piccolo seme che mi cresce dentro, non posso pensare che si muova ,che si succhi il pollice, non riesco a immaginare il suo primo vagito qui tra le rovine. E’ solo un peso con cento padri sconosciuti, concepito nella miseria, nudo d’amore, arreso alle sue palpebre trasparenti ,ai suoi capelli scuri, alle sue ciglia lunghe, al suo
lungo respiro affannato. E lo sento che scivolerà fuori di me con tutto il dolore accumulato, insieme a lacrime mai piante.
Il mio corpo tornerà ad essere mio, sazio e alleggerito da un figlio della guerra, mi addormenterò in una grande stanza con le finestre che danno verso il bosco, con nel cuore la speranza che andrà tutto bene.
Tutto questo accadrà un po’ prima del mattino, in un oblio senza sogni, in una lucida sofferenza. Avrò la pelle di marmo , il seno pieno di latte che cola, come se io non fossi più qui.
Quello che non ho
è un figlio mio, con un padre e una famiglia, con le piccole cose che fanno grande gli attimi di ogni giorno.
Lo aspetterò in un’altra vita, in nuove foglie d’edera ingrandite, mentre questa mi passa accanto senza sorrisi.