Solito e insolito in noi
La diciannovesima buca
Canticchiava mia madre:
… Se avessi tanti soldati,
quanti n’ebbe Serse armati,
alla morte che sarà,
tutto il mondo è vanità…
Nubi gravitano sull’umanità in genere e ognuno in particolare.
Finalità pretestuose si accalcano sempre più stravolgendo il fondamento della vita. Un detto indiano dice: “all’uomo per vivere bastano un pugno di riso e uno di noci, il più lo uccide”. Lo Zar Alessandro, nel disporre la sepoltura di un agricoltore avido di terra, affermò: ..“seppellitelo in due metri, è questo il terreno necessario all’uomo”. Un detto popolare precisa: “di cento Euro spesi in farmacia dieci servono a noi e novanta a far vivere bene farmacisti e medici”.
Il problema è affrontato anche nella Bibbia quando Javhè dice all’uomo, sfuggito allo sviluppo naturale a seguito del cosiddetto peccato originale, tanto sottovalutato nella vera sostanza:
…“ti guadagnerai il pane col sudore della fronte …”
conscio che era sorto un essere il quale sarebbe stato perennemente insoddisfatto del proprio stato, privilegiando sempre più bisogni, beni, aspettative, egoismi, in conflittualità con se stesso e gli umani futuri.
Perché questa premessa? Solo per constatare che il nostro impegno sia rivolto sempre più a conseguire obiettivi non primari e sovente dannosi all’equilibrio fisico e psichico. Il ragionamento mi è sorto nel trascorrere un pomeriggio in un prestigioso Golf Club del nord Italia, ubicato in uno stupendo convento di mille anni prima, ben tenuto, affrescato con pitture originali, ove l’immaginazione, forse nemmeno tale, ode una parvenza di canti gregoriani e intravede monaci oranti o in meditazione.
In questa struttura Top, ove la difficile accettazione e frequentazione costa cifre da stupire, valenti professionisti, benestanti, industriali, elementi d’élite, affrontano l’alibi d’allontanare gli sviluppi che pur finiranno per coinvolgerli in rapporto al presunto stato e benessere. E con loro sono anche persone palesemente anziane, pronte a giocare le ultime partite nel tentativo di esorcizzare la sorella oscura sempre presente in prossimità della buca finale.
Mi distendo in poltrona al tiepido sole di un Febbraio clemente e osservo transitare nei vialetti le automobiline-lilliput con le quali i big d’ogni livello si dirigono verso i campi da competizione.
Potrebbe sembrare io voglia sminuire un’attività, o sport, considerata superiore nella fascia haute e comune, ma il mio contestare non è per questa in se stessa, quanto per l’innaturale coinvolgimento che ingloba le persone che vi gravitano, tutte di un livello di rispetto, nonché coinvolte nel tentativo di ignorare il vero mondo circostante. E’ evidente non sia il solo mondo del golf a creare un fittizio appagamento singolo o collettivo, molte altre attività, più o meno similari, si aggiungono a questo iter comportamentale. Solo come esempio di ciò che intendo, ed a valere per la generalità di tutti, ricordo che un Direttore Generale di tempi lontani, persona elevata di lignaggio e status finanziario, diceva (ai tempi delle Lire):
…”Vedi Francesco, ci conosciamo da più di venti anni, crediamo in valori comuni, in momenti duri abbiamo svolto anche cosette non innocue. Penso di conoscere tutto di te e tu altrettanto di me, diciamo che ci comprendiamo. Ti è noto che mi retribuiscono bene, direi che ho tutto per considerarmi soddisfatto, eppure non lo sono affatto tanto che, a volte, rimpiango la situazione di venti-trenta anni or sono. Mi sento circondato da un insieme di bisogni e necessità forzate che condizionano la mia vita, quella di mia moglie e dei figli, riuscendo a far si che le mie eccellenti entrate non risultino affatto sufficienti ad affrontare l’attuale stato di vita. Pensa, quando ero solo funzionario e guadagnavo sulle duecentomila mensili (lui, non io che, pur privilegiato, mi attestavo a meno della metà), le uscite già superavano le entrate e ripianavo questi eccessi con gratifiche, cointeressenze, complementi vari, altrimenti sarei andato in dissesto.
Oggi che parliamo di milioni è la stessa cosa. I conti non solo seguitano a non quadrare, ma è sopravvenuto un peggioramento notevole. Infatti lo scoperto d’inizio poteva essere di qualche decina di migliaia di lire, oggi no, l’ammontare che non quadra è ben superiore in importo e percentuale a quello d’una volta. Quasi rimpiango i tempi in cui il nostro break era un panino e birra al bar, o una pizza, o un piatto di bucatini all’amatriciana”…
A questo punto interrompo col mio amico e parlo di noi tutti.
Necessità e occorrenze considerate indispensabili ci condizionano e indirizzano. Abitazioni sempre più ampie, ville e villette superaccessoriate, pluralità residenziali, ubicazioni in zone “In”, servitù, sport, poi figli, nipoti, mogli e noi stessi, a cui si offre il necessario e il superfluo. Studi che durano una vita, lavoro remoto ed ipotetico, dipendenza di figli e nipoti dalle finanze dei genitori e nonni fino alle età in cui noi si aveva la moglie, sposata poco più che ventenni, e figli già grandicelli. Poi vacanze frequenti e costose, crociere, abbigliamento firmato anche per il cane e il gatto di casa. Sperpero alimentare e vita foranea dispendiosa. College, stage, master, per gli eterni studenti di casa, sanità privata, assicurazioni a non finire, auto moderne, telefonini, TV e PC per tutti, spese di rispetto per tabacco e vizietti, oltre quelle per flirt e doppie vite, separazioni, divorzi, tutela prole e così via.
Ne consegue che le super entrate del mio amico-direttore, o di chi a lui simile, non certo da metalmeccanico, pur se ciò riguardi anche loro, si adeguino in automatico a queste necessità, risultando perennemente insufficienti al realizzo delle nostre aspettative.
Tanto che è da chiedersi quale delle due realtà risulti propedeutica all’altra, cioè se sia il guadagno a generare le uscite abnormi o queste ultime a pretendere un potenziamento dell’impegno del soggetto, onde poter introitare sempre di più. Viviamo quindi in una realtà artefatta il cui risultato è di obbligarci a guadagnare e guadagnare, con una applicazione anch’essa sempre più elevata e nevrotica. E questo iter accelera senza sosta e prosegue fino che, tra i traguardi conseguiti o meno, non giunga quello definitivo a chiedere conto del passato e del presente, non più del futuro.
Torno al campo da golf mentre compassati giocatori, seri e silenziosi, transitano spingendo o facendosi spingere da carrelli biruota con l’armamentario da gioco. Li osservo e li immagino come automi di un sistema anch’esso schiavo d’altri, fino a chiudere il cerchio, e li vedo dirigersi, senza sorriso e apparenti sensazioni, verso mete di bandierine, buche, segnali, tutti simulazione dei veri ostacoli della vita.
Il giocatore fra loro anziano ha quasi terminato la gara odierna.
Si è distinto in modo particolare e tutti si complimentano con lui, compreso il giudice di gara, ieratico e compassato, che mi ricorda il monaco priore di “In nome della rosa”. Perfino il Caddy azzarda un: “eccellenti tiri Commendatore, ad majora, gli faccia vedere un finale coi fiocchi, migliore di tutti!” Ed ecco la buca diciotto, l’ultima. Il colpo è magistrale. Di nuovo riconoscimenti, apprezzamento. Poi il giudice-arbitro sconosciuto, dell’Aurea Golf Umpires, sita in una località strana, aggiunge:
…”Commendatore, rimane la diciannove…” …
… “la diciannove? Ma non esiste. Sbaglia! mai stata nei regolamenti”…
…“Esiste, esiste; questi campi li conosco più di quanto lei possa immaginare. Forse non ne è stato informato, come vedo per gli altri che non prestano attenzione e nemmeno ci stanno notando. La diciannovesima è stata istituita dall’Aurea Club riservandola a coloro che hanno dato tutto al golf. Guardi bene e tiri, la buca è dietro il dosso, ove è scesa una tenue nebbia malgrado il tempo splendido, tiri pure Commendatore …”…
… “Perfetto anche stavolta, andiamo e non si meravigli se gli altri non ci seguano. La diciannove la conosceranno anche loro, la conosceranno tutti”…
Se vivessi pur mill’anni,
senza pene e senz’affanni,
alla fine che avverrà?
ogni cosa è vanità.
Questa divagazione di mente, penna, computer, è terminata.
L’apertura e la chiusura, che vedono prevalere la vanità sostanziale e esistenziale, non devono far pensare io intenda la vita passivamente, alla mercè decisionale umana o divina. Tutt’altro! non intendo immedesimarmi in un orientale, un asiatico, un nord-africano, un islamico, un hindù, inerti in attesa che, con l’ausilio di qualcuno di quaggiù o lassù, o di mogli succubi, magari plurime, vadano a compimento i problemi non risolti.
Io dico invece: …”affrontiamoli, cerchiamo di conseguirli tutti, sia i primari, sia i complementari e i cosiddetti superflui. La vita non può essere piatta o insulsa, ciò non lo vorrebbe nemmeno un possibile Ente Superiore. Cerchiamo però di dar loro un equilibrio e priorità, cosa non facile, contando esclusivamente su di noi e non sulle assistenze altrui, evitando il trabocchetto di essere risucchiati in un sistema di vita che, sin dai tempi del primo uomo, cerca di angustiarci l’esistenza, l’unica della quale disponiamo.
Già Javhè anticipò ad Adamo che si sarebbe guadagnato il pane col sudore della fronte, ma di pane Adamo ne pretenderà sempre di più per l’oggi, il domani, il futuro; al pane aggiungerà di tutto, dal necessario, all’inutile, al dannoso. E da li il resto fino ad oggi.
L’uomo, penalizzato da una colpa d’origine irrisa, pur tragicamente reale, è divenuto un infelice con una meta di vita ignorata o rifiutata, pur se la saggezza dei monaci di Lhasa avverte: …“è dal principio che iniziò la fine”… come riportato dal loro discepolo e mio maestro Oscar Chriss Maerth in un suo trattato, ove mi auguro egli abbia errato nell’indicare il possibile destino umano, previsto al catastrofale.
Ah! che può portare un pomeriggio in un campo da golf! A cosa possono condurre i ragionamenti con me stesso, con chi legge, con un amico di un tempo lontano e la constatazione che la comunità umana tutta è avviata su sentieri di vita sovente erronei, lacunosi, chimerici!
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