Era un pomeriggio afoso d'estate. Tutto sembrava immerso in una sonnolenza mortale. La mia famiglia aveva deciso di trascorrere le prime giornate di caldo in uno sperduto paesino di collina, che sembrava sonnecchiare al sole, dopo un rigido inverno.
Per sgranchirmi un pò avevo deciso di andare a fare una passeggiata (in un posto come quello non c'erano altri svaghi, come potrete immaginare).
Contrariamente alle altre volte, né mia sorella né il mio cagnolino mi seguirono e così decisi di visitare il centro vecchio della città. Era carino, si respirava un'atmosfera accogliente; qua e là, ai lati delle stradine, erano aperti graziosi negozietti con le vetrine dipinte e le insegne di legno intagliato: praticamente, un ritorno al passato.
Tra tutte queste piccole meraviglie d'antiquariato, una attirò la mia attenzione. Le imposte erano chiuse, salvo una (probabilmente l’entrata), con scritto 'Biblioteca'. Nonostante la scritta fosse quasi del tutto illeggibile, decisi di entrare a dare un'occhiata, per curiosare tra volumi ingialliti o vecchie edizioni di libri mai sfogliati.
All'ingresso un’anziana signora dal viso raggrinzito leggeva qualcosa e quasi non mi salutò.Guardandola di sfuggita la cosa che più mi colpì fu il suo aspetto trascurato, come se fosse anch'essa un libro ammuffito; non mi meravigliai, però, più di tanto, perché con il carattere che si ritrovava, anch'io mi sarei guardato dal parlarci. Strano come somigli questa situazione al rapporto ragazzo-libro! Ma non è certo colpa dei libri, né tanto meno di chi li ha scritti, se oggi non si legge molto.
Mentre divagavo in tali riflessioni, scelsi a caso un libro e sedetti ad un tavolo. Ovviamente la saletta era deserta. Sfogliavo le pagine sottili del volume e mi accorsi che era una raccolta di poesie. Tra le righe vi erano delle annotazioni, alcuni versi scribacchiati ai margini del foglio. Poi, però, le pagine tornavano ad essere severamente incise con inchiostro nero e regolare.
Notai che gli appunti scritti a matita erano ancora chiaramente leggibili, quindi immaginai che l'autore dei versi che tanto mi avevano attratto fosse ancora in vita e, analizzando meglio la grafia, dedussi che il misterioso scrittore era mio coetaneo.
Beh, potreste pensare che sia un detective professionista, ma non illudetevi, la mia curiosità era più forte anche per la mancanza di ulteriori attrattive.
Proprio per la solitudine in cui mi trovavo, decisi di scrivere, dove gli scritti si interrompevano bruscamente:
"Ciao poeta ignoto, che bei versi quelli che hai scritto. Me ne fai leggere degli altri?". Poi andai via. Il destinatario del messaggio avrebbe avuto una bella sorpresa; avrei sicuramente ricevuto una risposta, sempre se le mie deduzioni fossero corrette. E tali si rivelarono. Dopo due giorni tornai in biblioteca e il mio poeta ignoto mi aveva risposto:
"Chi sei? La mia Musa forse? Voglio saperne di più; non ti rivelerò la mia identità, ma accontento la tua richiesta". Seguiva una stupenda composizione, magico intreccio di equilibrio e dolcezza. Inutile dire che il nostro epistolario continuò, tanto che incominciammo a scrivere vere e proprie lettere. Io le custodisco ancora.
Ci scrivemmo di tutto, parlavamo di quello che ci piaceva, della musica, della scuola, del nostro passato, anche delle più insignificanti sciocchezze come le notti passate a guardare la luna, o i pomeriggi trascorsi a sonnecchiare sotto un albero ogni cosa poteva essere motivo di discussione, e ogni più piccolo dettaglio delineava meglio il suo carattere. Diventammo buoni amici e nonostante io insistessi per incontrarlo, lui rifiutava sistematicamente.
Ma a me non importava, l'importante era che continuassimo a scriverci. Insomma, il nostro scrivere divenne indispensabile ad entrambi. E non solo quello: passando molto tempo in biblioteca, spesso mi capitava di interessarmi a qualche libro, tanto che in poco tempo presi l'abitudine di andare lì, oltre che per scrivere, anche per leggere; le nostre letture erano un modo per conoscerci perché, confrontandole, emergevano tratti della nostra personalità ancora sconosciuti e si andavano radicando in noi le prime convinzioni e interpretazioni della vita, forse ancora immature, ma coerenti.
Le mie vacanze lì stavano per terminare.
Gli scrissi che avremmo avuto ancora poco tempo per stare insieme, esortandolo a incontrarci; ma lui rifiutava, non voleva che ci vedessimo, ma non era curioso?
Allora decisi di prendere io l'iniziativa e cominciai a frequentare la biblioteca più assiduamente, così prima o poi l'avrei sicuramente incontrato, non era certo un fantasma!
Una mattina il mio desiderio venne esaudito. Ero andato a riportare un libro quando, passando per lo scaffale dei volumi di poesia, lo vidi. Mi avvicinai senza che lui se ne accorgesse, poi si voltò e lo abbracciai. Era proprio lui, conosciuto come poeta, scoperto come amico e confidente. Non ci dicemmo nulla, la circostanza non lo richiedeva, ci eravamo scritti talmente tanto! Però i nostri sguardi furono molto eloquenti, e sinceri. Lui mi prese la mano, ci fece scivolare un foglio, poi si avvicinò e mi baciò la guancia.
Fu l'unica volta che ci vedemmo, ma ogni singolo momento è impresso nella mia mente e nel mio cuore in modo indelebile.
Non smettemmo comunque di scriverci, perché, anche se vivevamo lontani, decidemmo di coltivare la nostra amicizia e il nostro grande interesse: la lettura.
E' strano, ma devo solo ad una biblioteca, ad un libro, l'esperienza più originale di tutta la mia vita.
Un foglio stampato si deteriora, ingiallisce, si perde, ma quello che ti ha trasmesso rimane, continua a vivere e matura dentro di te.
Rileggendo successivamente quelle righe, le emozioni ritornano, seppur con una vibrazione diversa, perché le vivi in una situazione differente.
Chi scrive ti dona qualcosa per cui non puoi fare altro che essergli grato, perché ti dà una parte di se' unica e quindi insostituibile.
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