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ogni categoria merceologica vi sono dei prodotti o delle soluzioni tecniche che,
periodicamente, ne fissano il cosiddetto stato dell'arte.
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Progetti che stabiliscono
il miglior compromesso possibile tra le diverse esigenze funzionali, di manutenzione,
affidabilità, costo e, perché no, estetica.. E'
inevitabile che, soprattutto se sostenuti da una buona domanda di pubblico, questi
diventino una sorta di punto di riferimento per i concorrenti, che si trovano
quasi costretti a copiarne la tecnologia, almeno fino a quando qualche altra geniale
intuizione non sposterà più in là il confine, divenendo il
nuovo leader... Se per esempio
dico "Common rail", vi viene in mente niente? Nel
ristretto campo dei fuoribordo, sino agli anni '60 sono convissute parallelamente
scuole diverse, che poi però hanno iniziato a convergere tra di loro quando
il mercato si è fatto estremamente competitivo ed il consumatore più
esigente. Ebbene, buona parte
delle soluzioni in voga ancor oggi sono state pari pari riprese da un unico prodotto,
che tra l'altro, nelle sue varie versioni è rimasto sul mercato per quarant'anni:
Il Merc 500, che molti identificheranno più agevolmente se cito la sua
più abominevole versione, il 25 Superamerica. Il
monoblocco Thunderbolt, da 40 Cu (circa 650 cc), primo quattro
cilindri in linea della storia dei fuoribordo, esordì infatti nel
1949, sul Mark 25, alias "KG9". |
Si trattava di un motore
molto singolare, dotato di soluzioni e scelte tecniche molto originali anche per
l'epoca. Oltre ad adottare l'inconsueto ed
azzardato frazionamento, era privo dei più elementari dispositivi che già
allora erano consueti nei motori di medio/grossa taglia, quali l'invertitore e
persino l'avviamento a riavvolgimento automatico, reso disponibile solo in un
secondo tempo come accessorio. In secondo
luogo adottava uno strano comando dell'acceleratore, a barra, ma senza manopola
rotante, costituito da una seconda barra collegata "a forbice" a quella
principale, una via di mezzo tra quello di un'automobile e la leva del freno di
una moto, soprannominato "dead man". In pratica se il conducente,
aprendo la mano, faceva mancare la pressione sulla leva interna, il motore si
fermava... versione rudimentale dei successivi interruttori di sicurezza.
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Ma
dove decisamente la Kiekhefer Mercury seguì una pratica apparentemente
incomprensibile fu nella determinazione della potenza erogata. |
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Il motore infatti fu classificato come "25+"
. A chi chiedeva cosa significasse quel "+" , i venditori rispondevano:
"la potenza erogata da questo motore dipende dal regime cui viene utilizzato:
per convenzione noi la rileviamo a 4000 giri; se viene fatto girare più
in alto, il valore può risultare superiore". In realtà
il blocco motore Thunderbolt, grazie alla corsa corta e ai piccoli pistoni, poteva
raggiungere e mantenere senza fatica i 5200 giri, regime di rotazione a cui erogava
una quarantina di cavalli! In
pratica ci troviamo al cospetto del primo depotenziato della storia...Chissà
se Karl Kiekhaefer immaginava che trent'anni dopo la sua creatura avrebbe conosciuto
una seconda giovinezza proprio riproponendosi come falso 25 hp...! Ma
quale motivo aveva Mercury per adottare una simile politica? Semplicemente
esaltare l'aspetto "sportivo " dei propri prodotti... Permettere cioè
ai suoi clienti di dire "Con Mercury mi basta un 25 per lasciare indietro
i 35 della concorrenza". Analoga operazione era stata fatta in precedenza
con il 10 Lightning ( in realtà un esuberante 15), ampiamente. utilizzato
nelle gare di classe "C". Per
l'uso normale, però, il KG9 risultava troppo estremo, soprattutto se messo
a confronto con il pacioso 25 Bigtwin, con cambio completo, acceleratore a manopola
rotante, telecomandi e avviamento elettrico optional, che OMC avrebbe immesso
sul mercato l'anno successivo. |
I tecnici
Mercury si rimisero al lavoro e nel 1954 il KG9, che nel frattempo aveva guadagnato
almeno il riavvolgitore, rinacque prima come MK50 e, l'anno successivo, si affermò
come MK 55, versione lievemente ritoccata in alcuni dettagli, disponibile in versione
manuale od elettrica. | |
Il MK55 da 40 hp, ( dal
1960 Merc 350) assieme al gemello MK 58 da 44 Cu e 45 hp ( poi Merc 400/500),
rimasto a listino sino al 1962, è uno tra i fuoribordo più diffusi
ed apprezzati del mercato americano. Tuttora ne circolano numerosi esemplari,
a conferma della sua modernità che gli consente di non sfigurare nel confronto
con le "nuove leve". Si noti
la differente forma della capottina tra le due versioni delle foto, rispettivamente
un Mk 55 del 1957 (sotto) e un MERC 450 del 1961 ( a fianco) |
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Nel 1963 la fusione del piede fu in parte modificata
con l'adozione dello scarico nel mozzo dando vita al MERC 500 "jet prop"
e al "fratellino" Merc 350 bicilindrico, ottenuto "segando in due"
il monoblocco del nuovo 65 Hp da 1000 cc. La
struttura generale del piede però rimase la stessa, al punto da mantenere
il medesimo millerighe di calettamento per l'asse elica, tanto che le nuove eliche
"a tubo" possono comunque essere montate anche sui vecchi mk 55). |
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Un
ulteriore restyling della calandra, nel 1965, per permettere un "pulito"
alloggiamento al suo interno dei collegamenti per i telecomandi, diede al Merc
500 l'aspetto usuale, rimasto pressoché invariato sino al 1990. In
realtà , però, il Merc 500 continuò ad essere sviluppato
in tutte le sue componenti, dal volano al piede, anche se solo il confronto diretto
tra le varie versioni può evidenziare le "mille piccole differenze" Ma
quali sono i motivi della presunta modernità di questo motore? |
La prima cosa che salta
all'occhio è il profilo del piede, con le piastre anticavitazione arretrate
e sagomate a delta, le prese d'acqua basse e laterali, il comando del cambio con
alberino rotante ed asse elica cavo, Ad
un ulteriore esame si notano però anche il gambale con il condotto di scarico
coassiale (dentro i gas, attorno l'acqua), il perno di ribaltamento predisposto
per permettere il passaggio del cavo della timoneria, l'anodo di zinco sagomato
a pinnino regolabile per la compensazione della coppia dell'elica, i supporti
elastici Dyna Float annegati nel gambale e pressoché invisibili. E
infine altre finezze, come il collarino che nasconde la flangiatura del monoblocco,
lo zampillo spia laterale del raffreddamento e la barra di guida che utilizza
gli stessi attacchi ( interni) dei comandi a distanza, in modo da poter venir
installata o rimossa in meno di dieci minuti... |
E
che dire della calandratura che riveste il monoblocco, aderente come un guanto,
specialmente se la si confronta con i contemporanei catafalchi dei principali
concorrenti? |
( C'è
chi con le carenature dei "piccoli" V4 OMC, come il 60 hp qua a sinistra,
ci ha fatto la vasca per i pesci rossi...) |
Ok,
dei pregi abbiamo parlato ampiamente... vogliamo ora trovare i difetti? |
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| Innanzitutto l'accessibilità
alle parti interne, l'altra faccia della compattezza. Se
è vero che la calandra superiore poteva rapidamente venir rimossa grazie
alle due levette laterali "snap-on", la candela inferiore rimase sempre
e comunque sacrificata nella minuscola vasca ed i carburatori nascosti dietro
l'imponente spinterogeno (dall''80 in poi il passaggio all'accensione elettronica
statica risolse almeno questo problema)- Forse
per questo nel '90 la Mercury intervenne con un pesante restyling che dette al
rinnovato Super America un aspetto anonimo, privo di maniglie di movimentazione,
con la sua brava capottona in vetroresina "a sarcofago" ed una decina
di kg in più. Già, perché
nonostante la sua complessità e la struttura interamente metallica, capottina
compresa, il Merc 500 fermava la bilancia intorno ai 70 kg (65 per le versioni
degli anni '60 e ancor meno per i Mk 54/58), ampiamente al di sotto dei concorrenti
bicilindrici e allineato coi "30" attuali. In
secondo luogo il consumo. In nessuna delle sue versioni il Thunderbolt ha mai
brillato per parsimonia... ma che vi aspettavate da un motore da corsa?
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E
se ne volessi uno? Il
Mark 55/58, per quanto ancora facilmente reperibile negli States, è da
noi pressoché estinto. Trovandolo, però, poi
oltreoceano si possono trovare tutti i ricambi
e persino i manuali d'uso originali. Altrettanto
dicasi dei primi Merc 500 a spinterogeno. Più facili da trovare sono invece
i modelli più recenti con Power box elettronica, per non parlare degli
"scatoloni" Superamerica, che la nuova legge sulla nautica ha fatto
ormai cadere in disgrazia . |
| A mio
avviso i modelli migliori, anche dal punto di vista estetico, sono quelli dei
primi anni settanta, che però hanno un grave difetto: l'albero di trasmissione
in acciaio NON inox. Ciò significa che su esemplari usati in acqua salata
si possono manifestare fenomeni di corrosione e, cosa ancor più grave,
"incollaggi" tra la base del collo d'oca ed il millerighe dell'albero
di trasmissione, che rendono impossibile lo smontaggio del piede, per esempio
per sostituire la girante. Attenzione,
poi, all'intercambiabilità delle parti, che a dispetto delle apparenze,
è molto scarsa tra modelli di anni diversi. Mercury purtroppo ha apportato
pressoché ogni anno lievi modifiche ai rapporti di trasmissione, agli impianti
di accensione, alle fusioni, per cui il "cannibalismo" tra esemplari
apparentemente simili risulta assai arduo. Una
buona alternativa per un collezionismo "in piccolo" è il modello
in scala 1:9 che ALTERSCALE
ha recentemente presentato. Costa 189$, ma li vale tutti ... |
Enrico
D. Venezia ©
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