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Libri - Recensioni THE MASTER romanzo di Colm Tóibín Fazi Editore , € 15, 00 L’ultimo romanzo di Henry James è un falso, l’ha scritto Colm Tóibín. L’ultimo romanzo di Colm Tóibín è un falso, l’ha scritto Henry James. Bisogna leggerlo questo romanzo enorme e inconsistente, fatto d’atmosfere minuziose, precise fino ad essere impalpabili. C’è tutta la cura del dettaglio jamesiano, l’enormità del vivere, la sua complessità, le sue contraddizioni, le sue piccole e grandi nefandezze anche, il tutto spalmato come burro su una tartina all’ora del tè, per 365 pagine. La biografia del Maestro (The Master), Henry James, è un pretesto da dimenticare se si vuole entrare veramente nel respiro grande di questo libro, bisogna invece leggerlo come un romanzo di Henry James, appunto, il cui protagonista si chiama proprio Henry James. È un viaggio nell’animo di un un uomo. Un uomo che è la sua opera. E non è poco. Alcune pagine svettano mirabilmente dall’apparente placidità, o forse meglio dire dal trattenuto tormento del protagonista, aprendo sguardi su spazi altissimi e abissali. Il momento del concepimento e della creazione di “Giro di vite” è da brivido tanto quanto l’originale. Ma anche l’apparizione di una macchia viola su una tovaglia bianca diventa un’apparizione tragica, simbolicamente di grande impatto, tanto quanto e forse più del corpo sfracellato della donna che si è lanciata dalla finestra, a Venezia, per un amore/non amore, corpo che non vediamo, che James non vede, ma che in quella tovaglia bianca sporcata appare come un fantasma concreto, un referto da morgue, sul tavolo da pranzo. Così Tóibín dalla banalità di una macchia, riesce a darci lo sconvolgente orrore di vite stese immacolate, destinate a macchiarsi, nonostante tutti gli sforzi perché tutto proceda come se nulla accadesse, proteggendosi con un bon ton esasperato, a costo di piccole crudeltà continue. Ma la vita scorre dentro, anche quando, come James, la trascorri cercando solo d’osservarla, indisturbato, mentre la scrivi. Ozarzand
BAYT AL-RIH (Casa del Vento) racconto di Elvira Seminara Armando Siciliano Editore, € 6,00 Questo piccolo libro di Elvira Seminara, va letto almeno due volte. Non per che sia difficile, ma proprio perché lo si legge con facilità. La prima volta lo si può leggere, lasciandosi condurre dalla incantata levità della narrazione, seguendo con tenerezza e col sorriso la fiaba del piccolo Orlando sognatore e visionario, che produce in noi lettori, risvegliandolo, il ricordo dello stupore infantile di fronte alle misteriose cose del mondo, che la vita e l’età adulta c’hanno fatto dimenticare; così si giunge al finale con le stesse orecchie a punta del protagonista, guardandosi allo specchio con lui e, vedendolo ridere, sorridere anche noi.La seconda lettura, come per tutte le fiabe, apre le porte di simboli più profondi, e, mi sembra, di leggeri ammonimenti. Perché il sonno del protagonista diventa emblematico di un’empasse, assumendo la forma d’una perdita del mondo reale, in favore d’un mondo immaginario, follemente o “follettescamente” desiderato (e forse, mi piace supporre, è per questo che il bambino si chiama proprio Orlando). Allora subentra un filo di tristezza, una venatura di malinconia sulla visione del vecchio dalle mani rugose e con le orecchie a punta, che ride della propria metamorfosi, ma forse sta anche, un poco, burlandosi di noi, che sovrapponiamo ancora la nostra immagine alla sua, col timore d’esserci perduti qualcosa che lui ha raggiunto, ma noi sentiamo scorrere un sottile brivido per quel bambino diventato vecchio senza vivere. Dopo qualche tempo, ancora, varrà la pena rileggerlo, magari a voce alta, raccontarlo ad uno più esperto di queste cose, a un bambino, che con le sue domande e osservazioni, o forse sarebbe meglio dire sintesi elementali, ci dirà altre cose, che né la prima, né la seconda volta, avevamo colto, nascoste come stavano nella casa del vento di Orlando, distratti dalla nostra lettura attenta, dalle interpretazioni adulte; perché, si sa, gli elfi e i bambini si capiscono subito, di soppiatto ci guardano e ci vedono un po’ strani, un po’ noiosi, amano, perciò, nascondersi e spesso sbucar fuori a sorprenderci. Ozarzand
Il Tragediometro e altri racconti di Helene Paraskeva Fara Editore, € 7,00 Il mondo di Helene Paraskeva, è intriso di grecità classica e d’ironia, vale a dire che del mondo classico adopera con mano leggera i simboli e gli schemi “favolosi” e simbolici immettendovi una curiosa punta di sapidità che attua una critica acuta, sebbene mai pedante, dell’oggi. Non c’è dunque tragedia nei racconti de “Il Tragediometro”, che già dal titolo segnala la sua particolare propensione alla storia vissuta con leggerezza senza alone alcuno di rimpianto, a volte anche con punte di puro distacco nel narrare le vicende di una protagonista che cambia, perché si muove nel tempo e nei luoghi, ma è sempre la stessa, e sembra, nello scriversi, staccarsi sempre da qualsiasi compiacimento, anzi, mettendoci sempre nella prospettiva di un chiaro e solare sguardo. Sono belli questi racconti, perché mimano la vita, con semplicità e, come sempre le cose semplici fanno, ci portano piccole ma profonde riflessioni, sul quotidiano, sull’esistenza come viaggio, sulla coesistenza come scontro e resistenza, sull’esserci, sempre e comunque, sempre con salacità e ostinazione, senza mai lasciarsi andare; leggerli è il regalo di un sorriso e di un pensiero sul mondo e sulla vita. Ozarzand
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