Dannazione

Chiuso fra cose mortali

(Anche il cielo stellato finirà)

Perché bramo Dio?

 

Vanità

D’improvviso è alto

sulle macerie

il limpido stupore

dell’immensità.

 

Mattina

M’illumino d’immenso.

Ungaretti e l'infinito

Chi siamo, perché viviamo? Che cosa c’è dopo la morte, oltre il mondo?

Nessuno sa dare risposta a queste domande, ma forse i poeti sanno esprimere meglio degli altri queste domande.

Giuseppe Ungaretti, in "Dannazione", vuole esprimere la dolorosa consapevolezza dei limiti dell’uomo, della fragilità di ogni cosa esistente, ma al contempo il profondo desiderio che l’uomo ha di superare questi limiti, di giungere all’assoluto, al perfetto, a Dio, forse.

La sensazione che il poeta esprime nel primo verso è quella di un uomo che si sente mortale, imperfetto, chiuso fra cose mortali.

Anche il cielo stellato, immenso, apparentemente immutabile, un giorno finirà, poiché è costituito da materia.

L’uomo, quindi, è consapevole dei suoi limiti, della sua impotenza a superarli.

Ma allora, si domanda il poeta nell’ultimo verso, perché bramo Dio?

In queste poesie Ungaretti rappresenta la precarietà della vita umana, il dolore cupo della distruzione che viene squarciato dalla luce e dalla serenità; ma la dolcezza della vita dura solo un momento e poi svanisce nella morte.

Lo squarcio di luce viene definito dal poeta "stupore dell’immensità".

Viene riferito al cielo quello che in realtà è il sentimento dell’uomo, quasi smarrito di fronte al rivelarsi dell’infinito; ma in netto contrasto con lo splendore e l’immensità dell’universo, appare la figura dell’uomo curvato, piegato su di sé, contrariamente a quel cielo alto su di lui.